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"Per tornare a vincere", dal sito www.dsonline.it 

Giovanni Berlinguer, Segretario

10 Settembre 2001



Premessa

Per tornare al governo dell’Italia: una sinistra più riconoscibile, una opposizione intransigente e propositiva.

1. Le ragioni sociali, politiche, ideali della sconfitta
2. Un Congresso di radicale svolta e discontinuità politica
3. I Ds e la società italiana
4. Una sinistra dei lavori, dei valori e della sostenibilità ambientale
5. Un nuovo Mezzogiorno
6. Il federalismo che unisce
7. Ricostruire e allargare l’opposizione, in Parlamento, nel
territorio, nei luoghi di lavoro
8. Un riformismo forte: un mondo più equo e più giusto, un’Europa
più democratica. Economia ed ecologia si tengono
9. Un riformismo forte: un’altra modernizzazione
10. Tornare a vincere: la sinistra e l’Ulivo
11. Tornare a vincere: la sinistra e le donne
12. Tornare a vincere: il partito dei noi, non dell’io


Per tornare a vincere occorre discontinuità di indirizzi e comportamenti politici

Il prossimo Congresso di novembre dovrà segnare una radicale discontinuità di indirizzi e di comportamenti politici da parte dei Ds. Questa consapevolezza è oggi largamente condivisa nel partito. Ma la discontinuità con il passato non può essere un mero espediente tattico e verbale, bensì il frutto di un’analisi severa e rigorosa delle cause della sconfitta dell’Ulivo, del nostro partito, della sinistra nel suo complesso. E, a nostro avviso, discontinuità vuol dire anzitutto superare alcuni seri limiti rispetto all’identità dei Ds come forza di sinistra, convinta delle proprie ragioni e profondamente radicata nel socialismo europeo.

Il successo di una politica, di un’alleanza, di un partito dipendono tanto dai contenuti e dai valori per i quali ci si impegna, quanto dalla coerenza e dalla credibilità con i quali quei contenuti e quei valori vengono perseguiti. Noi siamo stati, nell’ultimo decennio, deficitari, incerti ed oscillanti su entrambi questi fronti.

Noi non abbiamo avuto un generico deficit di riformismo ma un deficit di sinistra, che ha pesato sulla qualità del nostro riformismo, sulla capacità di rappresentare il mondo dei lavori, i diritti sociali e individuali, di misurarsi con le sfide della globalizzazione e dello sviluppo sostenibile.

Riformismo, opposizione intransigente e propositiva sono gli elementi da contrapporre al governo delle destre. Più sinistra e più Ulivo

Per tornare a vincere non si deve rincorrere un moderatismo che cade nella subalternità politica e culturale, ma ci vuole una più riconoscibile moderna sinistra, una opposizione propositiva e intransigente, nel Parlamento e nel Paese, al governo della destra, una più forte coalizione dell’Ulivo e di tutte le forze che si oppongono a Berlusconi.

Queste sono le ragioni principali che ci hanno spinto a promuovere una mozione di centrosinistra, sottoscritta da compagne e compagni che pure hanno avuto posizioni e percorsi diversi nel partito a partire dal Congresso di Torino.

Quello che ci muove è una grandissima preoccupazione per la crisi dei Ds e la sconfitta dell’Ulivo. In pericolo oggi è la sopravvivenza, l’autonomia e il futuro della sinistra italiana. Per evitare questo declino è necessaria una svolta profonda sul piano politico, sociale e culturale.

La svolta è possibile attraverso un bilancio dell’esperienza di questi anni che sappia vedere gli importanti risultati raggiunti ma anche i limiti e gli errori che ci sono stati e, su questa base, costruire quelle scelte strategiche che permettano di dare speranza alla sinistra italiana.

All’indomani della sconfitta sottoponiamo agli iscritti una piattaforma politica per dare una maggioranza di centrosinistra al partito

Le tre consecutive sconfitte (elezioni europee, regionali, politiche) sono uno spartiacque per tutti noi. Tutto è in discussione e non è più possibile rimanere rinchiusi nelle vecchie sicurezze. Essere più di sinistra, per noi, vuol dire essere più chiari e riconoscibili nella nostra idea di società, nella nostra alternativa alla destra.

Per questo abbiamo deciso di incontrarci per cercare strade nuove. Sottoponiamo agli iscritti una piattaforma politica e programmatica, aperta al contributo di coloro che vorranno aderirvi, per dare una maggioranza di centrosinistra al partito. Protagonisti della vita del partito devono tornare ad essere gli iscritti.

Vogliamo contribuire a costruire un Congresso vero che, nel rispetto e nel reciproco ascolto, sappia parlare a tutto il partito, al nostro elettorato e al Paese intero. Un Congresso libero che rompa ogni forma di conformismo e di burocratismo che nascevano anche da una vita interna asfittica costruita su un grande centro “che era il partito” e poi due ali che erano il dissenso. Anche così, con questa nostra scelta di incontrarci, contribuiamo a fare diventare il nostro partito un vero partito del socialismo europeo.

L’unità del partito è un bene prezioso che va difeso e affermato. Il confronto aperto e la democrazia interna la favoriscono, non la minacciano.

Sono questi i motivi per cui riconosciamo di avere comuni orientamenti e proponiamo Giovanni Berlinguer alla guida del partito.




1. Le ragioni sociali, politiche, ideali della sconfitta


L’Ulivo nel maggioritario ha recuperato e mobilitato consensi importanti negli ultimi mesi di campagna per le elezioni del 13 maggio. Ma ha pesato nella sconfitta l’incapacità di costruire alleanze più ampie tra le forze che si opponevano a Berlusconi.

Non ci sono state solo sottovalutazioni ed errori tattici. Ci sono, innanzitutto, ragioni sociali, all’origine della nostra sconfitta. I dati elettorali degli ultimi anni ci dicono chiaramente che il nostro insediamento popolare e democratico è gravemente incrinato: nel mondo del lavoro, tra gli anziani, nel Mezzogiorno del Paese, tra i giovani e le donne e anche nel complesso mondo delle nuove professioni e della piccola e media impresa dove coesistono spesso grandi arretratezze accanto ad elementi dinamici ed innovativi.

Ci sono stati gravi errori da parte del partito, che coinvolgono la responsabilità di molti e in qualche misura di tutti, e ritardi anche nell’azione di governo che non possono essere sottaciuti.

I risultati positivi dei governi dell’Ulivo non ci devono far dimenticare limiti dell’azione di governo

L’azione del governo ha raggiunto risultati positivi e, per molti versi, di grande rilievo. In tanti campi dell’economia, della società, della cultura sono stati avviati cambiamenti imponenti. Tuttavia solo con l’obiettivo dell’Euro e del risanamento è stata piena la capacità di coinvolgere la coscienza degli italiani e di acquisirne il consenso, pur di fronte a pesanti sacrifici. Ma molte parti della società italiana, a partire da quelle più deboli, non hanno capito le nostre timidezze nella tutela e nella promozione dei diritti dei lavoratori tradizionali e atipici, nella difesa, nell’ampliamento e nelle riforme dello Stato sociale, nella rivendicazione della laicità dello Stato e delle libertà civili. Il Sud del Paese non ha colto una significativa discontinuità nelle politiche per lo sviluppo e per l’occupazione. La questione meridionale è stata il tallone d’Achille della nostra azione riformista. Ha così preso corpo un’offensiva politica e culturale della Confindustria, della destra e della Lega tendente a cancellare l’universalismo dei diritti del lavoro, i diritti della contrattazione, i livelli salariali e i fondamentali diritti di cittadinanza.

Gli errori dei Ds

Altrettanto evidenti sono le ragioni politiche della nostra sconfitta. Dopo la vittoria del ’96 è stato troppo debole il sostegno all’Ulivo. E, in particolare, la seconda fase dell’azione di governo - quella sociale e riformatrice - ha preso corpo con molte timidezze e ritardi, rese confuse dai ripetuti mutamenti di premiership e dalle continue divisioni e conflittualità interne al campo del centrosinistra che offuscavano il conflitto con la destra e che non sono state superate nemmeno nell’imminenza della consultazione elettorale del 13 maggio. Gravi sono state le responsabilità di Rifondazione comunista, benché abbia influito anche un nostro deficit di iniziativa politica.

E’ soprattutto sul piano ideale e dei valori che occorre rilanciare l’azione dei Ds nella società italiana

Sull’esito del voto hanno pesato anche ragioni ideali e identitarie, incertezze e improvvisati revisionismi sul piano dei valori, dei simboli, del linguaggio. Un appannamento del nostro antifascismo. Un indebolimento del nostro rapporto con il progetto emancipativo contenuto nella prima parte della Costituzione repubblicana, nei modernissimi principi in essa declinati di libertà ed eguaglianza, di solidarietà e democrazia, di legalità e rappresentatività. Abbiamo oscillato sulla difesa della legalità e sulla questione morale. Abbiamo pagato un prezzo pesante anche sul terreno di grandi riforme tipicamente liberali, come quelle della giustizia e del sistema radiotelevisivo. In particolare, è stato un errore gravissimo la mancata risoluzione del conflitto di interessi.

La carta di identità della sinistra è sembrata spesso ridursi alla bandiera della modernizzazione per la modernizzazione, dell’innovazione per l’innovazione. Così hanno preso corpo la propaganda neoliberista, l’ideologia populista e dai tratti autoritari delle destre, l’anticomunismo senza comunismo.



2. Un Congresso di radicale svolta e discontinuità politica


Il Congresso deve partire da un’analisi severa e serena della sconfitta e delle sue cause, per evitare di commettere di nuovo gli stessi errori

Per questo diciamo che senza una sincera e impietosa analisi delle ragioni dell’insuccesso non ci sarà vera svolta nei Ds. Per questo diciamo che senza un severo e rigoroso giudizio sulla qualità politica e sociale della vittoria della destra e del governo Berlusconi non ci sarà una opposizione credibile e autorevole nel Paese e nel Parlamento e non si tornerà presto a vincere.

Non possiamo più oscillare su tutti i piani. Assai significativi sono stati, dopo il voto, i veri e propri sbandamenti di orientamento politico sulle vicende del G8 e di Genova. Rischiamo di assistere smarriti alle inquietudini profonde che attraversano le coscienze e la società civile di fronte alle drammatiche ingiustizie e alle gravi lacerazioni prodotte dagli attuali processi di omologazione e di globalizzazione. I primi mesi dell’azione di governo dimostrano che il compito dell’opposizione non può essere semplicemente quello di competere con il governo della destra sul terreno dell’innovazione e della modernizzazione. Sarebbe una grave sottovalutazione della natura del berlusconismo e dell’alleanza da esso cementata.

Dobbiamo saper opporre alla demagogia della destra proposte alternative serie e credibili, in Parlamento e nel Paese

Non basta una retorica del cambiamento, né un generico richiamo all’orgoglio di partito.

Il partito si presenta oggi impoverito negli strumenti di formazione e comunicazione, con una vita interna poco partecipata e democratica.

E’ fallito il modello di direzione leaderistica, di una “democrazia di mandato” fondata su deleghe in bianco a ristretti gruppi di comando e deboli sistemi collettivi di formazione delle idee e delle decisioni. E così si sono arenati i diversi tentativi di riforma organizzativa, fino a quello centrato sul progetto di una struttura federale “a rete”.

Dobbiamo rendere più efficace e convincente la nostra mobilitazione nel Paese, la nostra opposizione in Parlamento, le nostre proposte alternative presso l’opinione pubblica.


Bisogna cambiare rotta, dicendo chiaramente quali sono i nostri alleati e quali sono i nostri avversari, da che parte stanno i Ds, la sinistra, l’Ulivo, quale partito intendiamo ricostruire.

Bisogna rinnovare con coraggio i nostri gruppi dirigenti, aprendo le fila a nuove generazioni di giovani, di donne, di lavoratori, di intellettuali e combattendo ogni forma di cooptazione, di notabilato, di carrierismo politico.






3. I Ds e la società italiana


Non basta collocare la crisi dei Ds nel quadro delle metamorfosi della democrazia moderna, del mutamento dei caratteri dei partiti politici, della difficoltà crescente della politica nel governare i mutamenti nazionali e globali.

La destra ha dispiegato una battaglia egemonica. Noi non abbiamo trovato idee sufficientemente forti ed autonome per contrastarla. Sono prevalsi un certo disincanto, una deriva scettica, una rinuncia ad operare nel profondo, là dove si crea senso comune e opinione pubblica, una ideologia del “professionismo politico”. Si sono sviluppate più le funzioni di promozione del personale politico che quelle di formazione di una vera, larga, classe dirigente nelle istituzioni e nella società civile. Ciò è tanto più grave quanto più, cadute le compatte ideologie del dopoguerra, si è venuto sviluppando tra gli elettori un radicalismo civico: il giudizio dei cittadini si fa più intermittente, ravvicinato, severo sui singoli atti, sulle visibili scelte quotidiane concrete, sull’immagine e sul sentimento che si comunica.

Per tornare a vincere è necessario colmare la distanza che si è creata tra i Ds e la società italiana e ritrovare la capacità di interpretare i problemi di oggi

L’origine della crisi della sinistra e dei Ds è il suo rapporto con la società italiana, la latitanza dai conflitti che hanno investito nell’ultimo ventennio il Mezzogiorno, la condizione femminile, l’universo giovanile, il mondo degli anziani, le vecchie e nuove povertà. Troppo spesso ha prevalso una rappresentazione edulcorata o neutrale della globalizzazione e della modernizzazione. Se ne sono vantate le magnifiche e progressive sorti in ordine agli elementi di liberalizzazione e di ampliamento delle opportunità mentre è calato il silenzio su tutto il resto. L’impoverimento dal punto di vista ambientale di vaste zone della terra. L’aumentato potere dell’economia e del mercato sulla organizzazione e sui ritmi della vita individuale e collettiva. La solitudine sociale dei lavoratori fordisti e postfordisti. La crescente inquietudine nei confronti di un’etica competitiva che tutto riduce e riconduce - tanto nella sfera privata, quanto nella sfera pubblica - alla dimensione della produzione e del consumo.






4. Una sinistra dei lavori, dei valori, della sostenibilità ambientale


L’Italia non è un paese organicamente di destra.

E’ stato detto, a giustificazione di questo silenzio sulle laceranti contraddizioni della globalizzazione, che l’Italia è un Paese organicamente di destra. Il compito della sinistra - si è aggiunto perciò - non può che essere quello di competere politicamente e culturalmente sul terreno del modernismo.

Queste idee si sono rilevate prive di fondamento. Sul piano politico Berlusconi ha coalizzato il centrodestra, realizzando una inedita sintesi di populismo, liberismo, ultraconservatorismo, spiriti modernisti, reazionari e controriformistici. Ed ha così convogliato il consenso di ceti forti e deboli, di ricchi e di poveri, di poveri di reddito e di informazione.

Tuttavia la destra non ha sfondato. I voti della Casa delle Libertà del 2001 sono molti meno di quelli di Lega e Polo del ’96. La maggioranza degli elettori ha votato contro Berlusconi. Ma era una maggioranza divisa, il 10% si è trovato fuori dell’Ulivo e delle sue proposte di governo: Democrazia europea, Italia dei valori, Rifondazione comunista. Solo Rifondazione comunista passa la soglia di sbarramento, il “terzaforzismo” fallisce, il voto è fortemente bipolare.

Un riformismo forte, fondato sul riconoscimento del valore politico e sociale del lavoro

Oggi c’è bisogno di un riformismo forte: di una riforma della società civile, dell’economia, del mercato, della politica, della democrazia e delle istituzioni. Noi siamo la sinistra dei lavori, dei valori e della sostenibilità ambientale. Per la sinistra non c’è governo democratico e condiviso della modernizzazione senza una chiara scelta di rappresentanza politica e sociale del lavoro. E senza una inequivoca indicazione: economia, mercato e competitività costituiscono strumenti e non fini ultimi della politica e dell’azione collettiva.

La sinistra ha un senso se il suo orizzonte strategico è la costruzione di una società più giusta, libera, egualitaria, partecipativa, inclusiva e fondata sulla responsabilità di specie. Una comunità, cioè, con un maggior grado di mobilità sociale, di coesione economica, di garanzie, di diritti, di qualità ambientale, di civismo, di tolleranza. In definitiva una comunità con una reale crescita di libertà politica, con una più alta considerazione del valore dell’autorealizzazione e dell’autogoverno delle persone che lavorano.

Per la sinistra il lavoro è libertà e dignità, liberazione e diritti: il primo, insomma, dei diritti sociali e politici. Senza esitazione, quindi, va detto che la sinistra non esiste senza riconoscimento di un progetto di società che pone al suo centro il valore sociale del lavoro.

Tutte le grandi organizzazioni di rappresentanza hanno l’esigenza di rinnovarsi e aprirsi alla società che cambia. Avere però indicato i sindacati, e la Cgil in particolare, come agenti della “conservazione” è stato sbagliato e autolesionista.
La rivoluzione informatica sta radicalmente cambiando l’universo del lavoro. La dotazione di capitale umano con elevati livelli di formazione è il fattore discriminante. Il lavoro che ha futuro è il lavoro che sa.
La piena e buona occupazione è il nostro obiettivo. Incrementare l’informazione, l’istruzione, la ricerca, la formazione, il sapere: questi sono gli imperativi di una moderna politica del lavoro e della libertà.

Versatilità, non flessibilità, per tutelare i diritti e valorizzare il lavoro in tutte le sue forme

E’ giunto il momento di cambiare anche il linguaggio: non “flessibilità”, ma “versatilità”. Cioè capacità di padroneggiare i cambiamenti, possibilità di variare il programma, le aspettative, i tempi del lavoro e della vita, disponibilità di conoscenze capaci di governare l’innovazione tecnologica. Vita degli uomini e delle donne più aperta, che non vuol dire più precaria e meno tutelata. Perché, se è vero che le forme del lavoro come gli stili di vita sono cambiate e si sono diversificate, è altrettanto vero che compito della sinistra rimane quello di immettere anche i nuovi lavori in un quadro di diritti universali e inviolabili, in un sistema di garanzie e tutele. Il lavoratore non è un oggetto che va “reso flessibile”, ma un soggetto che deve acquisire sempre nuove capacità.

L’impegno a rispettare il risultato del referendum sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori costituisce un vincolo politico ineludibile per il nostro partito, da far valere in Parlamento e nel Paese. Occorre rendere chiaro che non solo lo Statuto non va messo in discussione, neppure attraverso la via surrettizia del cosiddetto arbitrato, ma anche che la sinistra si impegna per riconoscere diritti oggi negati e assicurare alle figure lavorative che ne sono prive tutele in ordine alle regole che governano sia il mercato del lavoro, sia il Welfare, per assicurare una rete di protezione e di servizi nei processi di mobilità.
Valorizzare il lavoro, in tutte le sue forme, vuol dire riconoscere al lavoro dignità sociale e politica, rappresentanza anche simbolica; restituirgli insomma il posto ed il ruolo che gli spetta in una società giusta e democratica. La sinistra affonda qui le sue radici più salde. Il lavoro e lo sviluppo sostenibile, i valori della libertà, dell’eguaglianza e della solidarietà sono il suo futuro.

E’ necessario imprimere con maggiore forza allo sviluppo il segno della qualità sociale ed ambientale

La sinistra, a differenza della destra liberista, ha una idea dello sviluppo fondata sulla qualità sociale e ambientale. La qualità del sistema Italia sarà sempre più elemento di competitività nella dimensione internazionale così come lo saranno la ricerca, l’innovazione dei cicli produttivi e delle merci, la valorizzazione della risorsa lavoro e delle competenze. Anche questo vuol dire oggi regolare il mercato e dare risposta a un’idea corretta di funzione imprenditoriale.

Quella parte del mondo produttivo che è interessata ad uno sviluppo di qualità, a regole condivise dei comportamenti del mercato, deve potere incontrare una risposta che il centrodestra non può né intende dare.

Un mercato concorrenziale con regole condivise implica la possibilità di premiare i comportamenti efficienti. Ciò significa dare i giusti incentivi perché le nostre piccole imprese crescano e perché le innovazioni pervadano tutti i settori e tutte le zone territoriali del Paese.

Ciò significa anche non tollerare che esistano mercati dove tutto sia lecito: calpestare i diritti dei piccoli risparmiatori, acquisire posizioni di controllo azionario indebitando la società scalata e abbassandone così il valore, ostacolare la concorrenza mediante la costruzione di “scatole” vuote e di alleanze strumentali. Solo se le regole della concorrenza e dell’efficienza si applicheranno a tutti i mercati sarà possibile evitare che la sinistra rincorra falsi miti e assuma atteggiamenti subordinati verso il potere economico.




5. Un nuovo Mezzogiorno


Non si può proporre per il Mezzogiorno una modernizzazione senza coesione economica e, soprattutto, sociale

Si ripropone oggi, per certi versi aggravata, una questione meridionale. L’azione dei governi dell’Ulivo è stata insufficiente, poco attenta alle peculiarità storiche, economiche e civili della società meridionale. Lo dimostra anche il grave risultato elettorale.

Il Mezzogiorno è un luogo di forti, antichi e irrisolti conflitti politici e sociali. E’ nel Sud che si è sempre più approfondito il discrimine politico che oggi separa destra e sinistra in tutto il Paese. Da una parte la sbrigativa tentazione del governo polista di affermare una modernizzazione senza qualità, di far cadere valori di legalità e di trasformare il Mezzogiorno in una frontiera ostile e chiusa; dall’altra una ritrovata capacità di considerare il Sud come laboratorio per un nuovo modello di sviluppo e per una nuova idea di società, fondate sulla qualità e sulla equità.

Abbiamo perso le elezioni anzitutto nel Mezzogiorno. La destra ha intercettato vecchie e nuove insicurezze della società meridionale. Noi le abbiamo eluse. Dobbiamo ora investire in passione e sensibilità politica verso le grandi sfide che la complessità meridionale ci propone. Dobbiamo costruire nel Sud un blocco sociale ampio e trasversale, caratterizzato da una comune cultura dei diritti.

La piena e buona occupazione

Ciò esige anzitutto una politica per la piena e buona occupazione fondata su un miglioramento della qualità del lavoro, in termini di salari, stabilità, sicurezza, legalità, qualificazione e gratificazione.

Il Mezzogiorno deve crescere più della media nazionale, non come propone la destra con deroghe al ribasso dei minimi salariali e delle tutele giuridiche, ma nel rispetto della contrattazione nazionale e delle conquiste di civiltà dello Stato sociale che vanno consolidate ed estese.

A livello nazionale la maggior parte delle risorse finanziarie deve essere vincolata al rilancio degli investimenti in sicurezza, infrastrutture, risanamento ambientale, servizi per le imprese e l’occupazione, formazione e ricerca.

A livello europeo vanno profondamente ripensate e riformate le politiche dell’Unione. Non possono essere considerate “aiuti di Stato”, in contrasto con le regole della concorrenza, le misure dirette a combattere tassi di disoccupazione doppi o tripli rispetto alle medie europee.

Investire sui servizi alle persone

E’ in secondo luogo necessaria una politica coraggiosa e sistematica dei servizi alle persone e di affermazione di un nuovo welfare capace di garantire anzitutto le grandi fasce popolari e giovanili prive di qualsiasi forma di inclusione sociale. Il nostro obiettivo è quello di elevare la qualità della vita in tutto il Mezzogiorno investendo prima di tutto sulla formazione e sul sapere, nucleo indispensabile di ogni nuova politica al servizio di questa parte del Paese.

La lotta alla mafia

Ma occorre soprattutto cambiare significativamente passo nella lotta contro la mafia. Essa è stata nell’ultimo periodo marginale, di routine, distratta. Spesso se ne è persa traccia nel dibattito civile. Lavoriamo perché si radichi una nuova consapevolezza della lotta alla mafia sapendo che essa non ammette deleghe giudiziarie, ma va condivisa dentro e fuori le istituzioni; non obbedisce solo ad un imperativo etico ma ad una necessità civile, sociale e economica; è un passaggio necessario per un nuovo modello di sviluppo, impedito fino ad oggi anche dalle rendite passive imposte da Cosa Nostra, da un soffocante controllo del territorio e da un’economia mafiosa pervasiva e iniqua per definizione; è l’occasione infine di un impegno visibile per una diffusa cultura della legalità, contro ogni manifestazione di corruzione e di abuso.

I messaggi lanciati dal governo Berlusconi su questo terreno (il caso Taormina e il caso Lunardi) sono segni allarmanti che meritano una reazione forte e indignata.

Occorre tradurre tutto ciò anche nella costruzione di nuovi gruppi dirigenti della sinistra nel Mezzogiorno, capace di interpretare le ragioni e le virtù di una nuova questione meridionale. Che sappia restituire al Paese il Mezzogiorno come risorsa, non più come terra di rapina elettorale ed economica.





6. Il federalismo che unisce

Difendere la riforma federalista dell’Ulivo contro chi propone una “devolution” che disgregherebbe il Paese

Una società più unita e più giusta è una società più democratica. Dove l’esercizio del potere è più vicino ai cittadini e più controllabile. Dove l’amministrazione è efficiente e non diventa uno strumento di comando politico. Dove le istituzioni rappresentative sono autorevoli e riconosciute, adeguate a governare i processi di internazionalizzazione delle economie.

Il federalismo autentico risponde a tale esigenza. E’ un’idea di pluralità e di suddivisione della sovranità, in un’Europa politicamente unita. E’ un’idea di libertà, poiché riconosce la possibilità di autogoverno delle comunità territoriali.

Il federalismo del centrosinistra si contrappone al miscuglio di separatismo etnico, insofferenza per ogni regola e ogni legame di solidarietà, nuovi prorompenti rigurgiti di centralismo che caratterizzano la destra. E’ un federalismo che non nega l’unità del Paese e la piena eguaglianza nei primari diritti di cittadinanza. Questo indirizzo, seguito nella precedente legislatura sia nei lavori della Commissione Bicamerale, sia successivamente nella riforma del titolo V della parte II della Costituzione, deve essere pienamente confermato.

Le confuse proposte sulla cosiddetta “devolution” fin qui emerse sono arretrate nell’impianto generale rispetto alla riforma approvata dall’Ulivo. E sono al tempo stesso pericolose per l’unità del Paese perché pongono in discussione il pieno ed eguale riconoscimento dei diritti di tutti in due settori di primario rilievo come la sanità e la scuola.

Un federalismo che nel riparto delle risorse tenga conto delle differenze profonde che segnano l’Italia, in particolare per quanto riguarda il Mezzogiorno, e non contribuisca ad approfondirle; che non costituisca, dunque, occasione di ampliare le distanze ma, al contrario, renda possibili e favorisca politiche dirette ad avvicinare il paese debole al paese forte; che non sia assunto a pretesto o occasione per indebolire le garanzie di eguali diritti in settori - come la sanità e l’istruzione - che devono mantenere una essenziale connotazione di servizio pubblico ed un carattere universalistico.

Un federalismo dei diritti e non degli egoismi, della solidarietà e non della separatezza. Questo è il federalismo che abbiamo voluto con la riforma, e che dobbiamo difendere. Nell’interesse dell’Italia, nell’interesse del Nord e del Sud.





7. Ricostruire e allargare l’opposizione, in Parlamento, nel territorio, nei luoghi di lavoro


L’azione di governo delle destre mina i diritti, rafforza i privilegi ingiusti, lede le libertà costituzionali dei cittadini

Il governo di centrodestra non è un governo moderato. I primi atti dell’Esecutivo mostrano chiaramente l’intenzione di fare dell’Italia un Paese con meno diritti, un Paese più autoritario.

Il groviglio di conflitti di interessi nella compagine governativa non è sciolto. I provvedimenti economici spostano risorse verso i più ricchi, e prospettano un quadro di aggravamento delle diseguaglianze e dei privilegi. Si conferma una pretesa di comando che mette a rischio lo Stato di diritto e minaccia (con l’idea leghista della “devolution” che squilibra il quadro del federalismo solidale introdotto dal centrosinistra nella Costituzione) la stessa unità nazionale. E’ reale il pericolo di un controllo pressoché totale, in forma di regime, del sistema dell’informazione, indebolendo le ragioni del servizio pubblico radiotelevisivo, la presenza competitiva nel mercato della Rai che la destra vuole “occupare” calpestandone ogni autonomia. Si lanciano proposte di manomissione di diritti civili e di libertà che soprattutto il movimento delle donne ha contribuito ad affermare. E’ chiara un’intenzione aggressiva verso l’opposizione democratica. E’ certo che sarà messa in atto un’opera di smantellamento delle riforme introdotte o avviate dai governi di centro-sinistra. La sorte dei capisaldi dello Stato sociale è minacciata.

La fulminea condivisione del progetto di “Scudo spaziale” del Presidente americano Bush segna una rottura con i principali partners europei e l’adesione ad una politica che porterà inevitabilmente ad una nuova corsa agli armamenti.

La condotta del governo a Genova durante il G8 ha mostrato le sue peggiori credenziali di destra. Si è prodotta una grave lesione nella democrazia italiana.

A Genova si è visto crescere in forma di massa un movimento, soprattutto di giovani e giovanissimi, che esprime una domanda di partecipazione democratica ed una ricerca delle forme con le quali affermare la volontà di cambiamento del mondo. Questo movimento rifiuta la condanna della maggioranza dell’umanità alla miseria, alla fame ed alle malattie; si oppone alle guerre ed allo sfruttamento dei popoli e si batte per l’uguaglianza dei diritti per tutti gli uomini e le donne. La sinistra storica ha da portare la sua esperienza: sa quale minaccia sia rappresentata dai gruppi violenti, verso i quali non può esservi alcuna ambiguità. Ma negherebbe la sua storia se non entrasse in relazione con questo movimento e con la domanda di partecipazione che esprime.

Una opposizione forte, democratica e propositiva si deve fondare sulla capacità di marcare nettamente le differenze, di collegarsi con le altre forze e movimenti di opposizione presenti nel Paese e di dispiegarsi in Parlamento e nella società

Per tornare domani al governo, oggi c’è bisogno di una opposizione democratica, in Parlamento, nel Paese, nella società, nei luoghi di lavoro. Per essere forte ed efficace l’opposizione deve organizzarsi ed essere unita. L’Ulivo deve darsi strutture, organizzazione, regole democratiche e condivise. Deve anche collegarsi subito alle altre forze dell’opposizione. Deve sviluppare la relazione e l’interlocuzione con il movimento sindacale e cooperativo; con l'associazionismo economico, civico e politico; con i soggetti del volontariato e del terzo settore.

L’opposizione dev’essere democratica e propositiva, intransigente e dura. In Parlamento e nel Paese. L’opposizione può giungere, in determinati rari momenti, a convergenze bipartisan nell’interesse nazionale. Ma deve, nell’azione quotidiana e nella visione strategica, avere un suo punto di vista, marcare le differenze, segnare i confini, dispiegare un’idea della società e della vita civile alternativa alla destra.

E’ improprio perciò appuntare gli strali su An e Lega e aprire linee di credito verso Forza Italia. La battaglia contro il governo è per metterlo in crisi e farlo cadere. Nuovi governi, debbono stabilirli gli elettori.



8. Un riformismo forte: un mondo più equo e più giusto, una Europa più democratica. Economia ed ecologia si tengono.



La sinistra non può sottrarsi all’impegno che accomuna persone e movimenti di tutto il mondo: rendere lo sviluppo mondiale più equo e più giusto

Se mai c’è stato un tempo del riformismo debole e senza anima sociale, non è certamente questo ciò di cui oggi abbiamo bisogno. Le idee e gli interessi forti della destra vanno contrastati e avversati con idee e interessi altrettanto forti, riconoscibili, credibili. Solo così potremo ridare fiducia e identità al nostro mondo, al mondo dei lavori e dei saperi, ai senza potere, a tutti coloro che hanno passione per la libertà.

Intere popolazioni sono oggi ai margini dei processi di modernizzazione di cui spesso conoscono solo le drammatiche contraddizioni: lo scivolamento verso il basso di molte economie povere, l’aumento del debito e della dipendenza dalle forniture straniere, l’impoverimento dell’ecosistema legato a forme di sfruttamento incompatibili con gli equilibri ambientali, la contraddizione ecologica, la distruzione delle garanzie sociali, lo sfruttamento sempre più intensivo della manodopera a basso costo rappresentata dagli individui, spesso donne, spesso minori, a cui si chiede di produrre beni di consumo per i mercati occidentali, l’analfabetismo tecnologico, il rischio di scomparsa delle culture e delle differenze locali, l’assenza di diritti civili democratici. L’Africa in particolare, dove il debito rappresenta il 60% del Pil, è un moderno inferno.

Quando i profitti dei dieci più grandi gruppi economici del mondo sono superiori al Prodotto interno lordo dell’insieme dei Paesi poveri del mondo ed un essere umano su quattro vive con meno di un dollaro al giorno, lo spazio e la responsabilità per la politica sono immensi. Nel Terzo Millennio una sinistra incapace di riempire questo spazio rinuncia ad una sua fondamentale funzione politica e ideale.

Come forza di governo i Ds hanno promosso azioni di cui rivendicare il merito a cominciare dalla cancellazione del debito. Ora è necessario un rapporto con le associazioni, i movimenti, le reti che, in forma non violenta, esprimono le loro proposte e le loro proteste su questi temi.

Bisogna rendere più trasparente e democratico il funzionamento delle istituzione sovranazionali e rafforzare il ruolo dell’Onu. L’impegno dell’Internazionale Socialista

Il G8 ha fatto il suo tempo: i Paesi del G8 rappresentano il 10% della popolazione mondiale, ma i loro Governi hanno il potere di assumere decisioni che riguardano la vita di tutti gli abitanti della Terra.

Vanno rivitalizzate e rese più democratiche le sedi internazionali, dove le decisioni non possono essere rimesse esclusivamente alle nazioni più ricche. L’obiettivo di un governo democratico del pianeta non è utopia da sognatori, ma una esigenza da perseguire tramite una costante, paritaria e continua presenza di tutte le posizioni. L’Onu, riformata e rilanciata, deve diventare una sede effettiva di composizione di interessi e di risoluzione dei conflitti.

La sinistra europea deve e può rafforzarsi proprio a partire da analisi e proposte comuni che puntino a risolvere le grandi contraddizioni che la modernizzazione propone. Per non subire passivamente i processi economici e la ridislocazione dei poteri, l’Internazionale Socialista deve finalmente scendere in campo: riunirla in sessione straordinaria a Genova sarebbe stato un modo autonomo e concreto di dire le nostre opinioni. Noi proponiamo che i Ds richiedano una prima e ravvicinata convocazione dell’Internazionale Socialista dedicata alle questioni del commercio internazionale e delle sue regole, dei cambiamenti climatici e delle politiche energetiche, della possibilità per i Paesi in via di sviluppo di produrre farmaci senza sottostare ai vincoli della brevettabilità imposti dalle grandi multinazionali, della riforma dell’Onu e delle altre sedi di governo a livello internazionale, della estensione dei diritti del lavoro.


La tutela ambientale e della biodiversità deve essere al centro dell’idea di sviluppo

La tutela dell’ambiente non è solo una variabile indipendente nelle decisioni che riguardano lo sviluppo economico ma deve diventare la leva di una nuova idea dello sviluppo. Dieci anni dopo Rio, a Johannesburg nel 2002 si terrà il Summit Mondiale sullo sviluppo sostenibile. La difesa della biosfera è il compito della nostra epoca. Il rispetto degli accordi di Kyoto è un importante primo passo.

La qualità della vita, la salute, la sostenibilità ambientale, la conservazione dell’energia sono parametri essenziali per entrare senza rischi nel futuro. Ed è anche un campo di aspra e ravvicinata battaglia politica, soprattutto dopo l’avvento della presidenza Bush, che sta facendo fare agli Stati Uniti una rapida retromarcia dagli impegni presi con lo smantellamento unilaterale dei principali trattati internazionali.

Vanno ricondotte sotto la sovranità dell’Onu la risoluzione dei conflitti internazionali e le operazioni di “mantenimento della pace”.

Non è accettabile che al bipolarismo della guerra fredda, fortunatamente finito da tempo, si sostituisca l’unilateralismo degli Usa. In questo contesto particolare impegno va dedicato all’azione per impedire che il governo Berlusconi sostenga l’iniziativa dell’attuale amministrazione statunitense, fortemente contestata dal partito democratico di quel paese, per il riarmo all’insegna dello scudo antimissile.

Per una Costituzione democratica europea

E’ per noi strategica la scelta di una Europa politica e democratica, a partire dalla Carta dei diritti, dal confronto serrato sulla riforma delle istituzioni dell’Unione, da un processo costituente vero e legittimato democraticamente.

Questa scelta deve essere aperta ad Est e all’area del Mediterraneo. Essa impone uno sviluppo di diritti sociali comuni e sfida le forze del socialismo europeo a fuoriuscire dai confini nazionali e ad affrontare con coraggio i problemi di una democratizzazione della globalizzazione.

Dopo la realizzazione del mercato interno, della moneta unica, è indispensabile il passaggio verso un governo politico ed economico dell’Europa. Altrimenti, l’avvenire dei Paesi dell’Unione sarà affidato solo a logiche monetaristiche, al potere esclusivo dei banchieri centrali e dei controllori del patto di stabilità.

A tal fine occorre andare oltre i risultati, per più versi deludenti, del vertice di Nizza. In vista dell’appuntamento del 2004, occorre battersi per una Costituzione europea, democratica e su basi federali, che assuma a suo fondamento la Carta dei diritti e l’”anima sociale” del modello europeo.



9. Un riformismo forte: un’altra modernizzazione


La nostra idea di modernizzazione incorpora strutturalmente istanze di libertà, eguaglianza e solidarietà

La modernità è il “campo di problemi” con i quali noi, donne e uomini contemporanei, interroghiamo la realtà e la rendiamo intellegibile, non il sistema delle risposte e delle soluzioni già date. La modernità è intrinsecamente portatrice di tensioni, contraddizioni, conflitti.

Per questo qualificare la modernità e specificare le diverse ipotesi di modernizzazione è il primo imperativo da assumere per l’esercizio di quell’autonomia culturale che è la base essenziale dell’autonomia politica.

Libertà, eguaglianza e solidarietà sono valori interdipendenti.

La sinistra ha un’idea di libertà assai più ricca di quella della destra, non limitata alla pura e semplice facoltà di scegliere nel mercato, un’idea di “libertà” al plurale che la porta a vedere gli ostacoli da rimuovere tramite l’azione collettiva. La libertà va intesa non solo come requisito individuale ma come impegno sociale.

La pluralità delle “libertà” si riflette nella pluralità delle “eguaglianze”. La parola eguaglianza - da troppi lasciata cadere in disuso o nell’oblio - deve animare il riformismo forte della sinistra, non come piatto egualitarismo, ma come molteplicità delle dimensioni dell’eguaglianza da mettere in gioco: condizione ambientale, lavoro, sesso, età, etnia etc.

Oggi più di ieri la sinistra può e deve caratterizzarsi per la scelta di far convivere questi valori. Per questo è essenziale indicare le diseguaglianze da combattere e le diversità da tutelare.

La destra contrappone l’individuo allo Stato, l’economia all’ambiente e l’iniziativa privata alla garanzia pubblica perché sostiene che l’intervento dello Stato è sempre e comunque negativo per il benessere collettivo. La destra ripropone l’esistenza di una irrimediabile incompatibilità tra sviluppo economico e sviluppo sociale, secondo la quale all’origine delle difficoltà di molti Paesi (specie europei) a generare occupazione e crescita, vi sarebbe proprio l’intenso sviluppo sociale consentito dal Welfare state.

La ricetta economica e sociale che ne discende è brutale: per avere più crescita occorre più diseguaglianza (e meno libertà), poiché solo una maggiore diseguaglianza (con minore libertà) è in grado di imprimere dinamismo alla società.

Per la sinistra la sfida maggiore è proprio questa. Smentire l’ipotesi della “incompatibilità”. Non limitarsi a parlare di una modernizzazione che “si concili” con le esigenze della solidarietà e della coesione sociale, come se la sfera economica producesse inevitabilmente disparità da risarcire per i più sfortunati. E’ necessario, viceversa, identificare e perseguire ipotesi di modernizzazione che incorporino strutturalmente istanze di equità, di qualità dello sviluppo, di qualità ambientale, di qualità sociale.

Per questo la sinistra deve tornare a discutere apertamente dei fondamenti di legittimità democratica della tassazione, respingendo l’ideologia conservatrice, che considera la tassazione come cosa intrinsecamente negativa e dunque priva di legittimità, con ciò cancellando anche la lezione liberale per cui le tasse sono il “premium libertatis” e l’altra faccia del costo dei diritti.

Bisogna contrastare, senza alcuna riserva, i tentativi della destra di colpire il nostro sistema sociale, a partire da quello previdenziale e rafforzare, invece, il modello sociale europeo che coniuga maggiore efficienza, nuovi diritti ed equità sociale

Fondamentale è sviluppare “sistemi di welfare” che garantiscano i diritti alla salute, all’istruzione, alla previdenza, su base universalistica e al tempo stesso personalizzata.

Lo Stato sociale non è un freno allo sviluppo ma un fattore di crescita del sistema. I processi di globalizzazione producono, accanto a potenzialità di crescita, nuove diseguaglianze e nuove insicurezze. La riforma del Welfare serve a dare risposte in termini di equità sociale e di nuove garanzie, non già di tagli di prestazioni e di diritti.

L’adeguamento del nostro Stato sociale, quindi, non richiede affatto la revisione del suo modello strutturale (che è simile a quello prevalente nell’Europa continentale), per sostituirlo con l’adozione di meccanismi privatistici e di mercato. Spetta alle istituzioni pubbliche, organizzate con democrazia, trasparenza e rigore finanziario, tutelare in modo sempre più esteso ed efficace i diritti sociali dei cittadini. E’ questa la sostanza del “modello sociale europeo”.

Bisogna pertanto contrastare, senza alcuna riserva, i tentativi della destra di colpire il nostro sistema sociale, a partire da quello previdenziale. Le inadeguatezze del sistema pensionistico italiano non riguardano infatti i suoi pretesi costi eccessivi, che sono stati eliminati dalla riforma del centrosinistra. I problemi aperti riguardano la necessità di assicurare il futuro dei giovani impegnati nei nuovi lavori e di aumentare le pensioni più basse.

Gravissimo è l’attacco al mondo della cooperazione

Un altro tentativo della destra riguarda il mondo della cooperazione, che vuole colpire attraverso misure fiscali inique, rimettendo in discussione valori storici di mutualismo e di solidarietà che hanno fatto della cooperazione uno dei settori trainanti dell’economia e della società italiana.

Obiettivo fondamentale della sinistra è la giustizia sociale, cioè prima di tutto un’equa redistribuzione della ricchezza. Ciò vuol dire combattere vecchie e nuove povertà, invertire, a partire dai salari dei lavoratori, la tendenza all’aumento del divario dei redditi da lavoro rispetto ad altre forme di guadagno.

La rivoluzione informatica crea nuove opportunità per tutti. L’ineguale distribuzione dell’informazione, su scala planetaria e all’interno delle stesse società industriali avanzate, determina pertanto nuove stratificazioni sociali, quello che è chiamato “digital divide”.

Il nuovo “Welfare della conoscenza e della comunicazione” diventa segno distintivo della sinistra del nuovo millennio.

Nessuna incertezza si può avere da parte nostra nel perseguire l’obiettivo di una società multietnica. La cultura dell’accoglienza, dell’integrazione, dei diritti - nel quadro delle politiche di regolazione dei flussi migratori avviate positivamente dal centrosinistra - è un’idea di società più aperta e più sicura.

Il diritto alla sicurezza e alla giustizia, in una società più democratica, ha bisogno di una continua iniziativa affinché la legge davvero sia eguale per tutti. La destra vuole affermare logiche da forti con i deboli e deboli con i forti, e persegue l’idea di una area di impunità - dal falso in bilancio alle prescrizioni - dei privilegiati. Noi contrapponiamo l’idea di una vera cultura dei diritti e della legalità: da un lato una grande severità nella lotta ad ogni criminalità, alla mafia e alla corruzione, dall’altro garanzie più forti per tutti i cittadini, a partire dai più deboli. A tal fine difendiamo in modo intransigente l’indipendenza della magistratura.




10. Tornare a vincere: la sinistra e l’Ulivo




Essere un partito del socialismo europeo comporta scelte coerenti sul modo di essere, sul progetto, sulle alleanze

L’identità del nostro partito come forza del socialismo richiede che sia abbandonata l’idea di un partito permanentemente precario e transitorio. Va messo un punto fermo. Esiste ed esisterà, in Italia come in Europa, una funzione storica permanente per un partito di sinistra di ispirazione socialista.

La nostra collocazione nel socialismo europeo è una scelta pienamente acquisita. Ma non può restare uno slogan, comporta scelte coerenti sul modo di essere del partito, sul suo progetto, sul suo programma, sulle sue politiche.

L’essere forza del socialismo europeo significa non rimuovere le radici nazionali e la memoria storica dei socialismi italiani, dei partiti politici che li hanno rappresentati, del movimento operaio, le cui storie abbiamo giustamente rivisitato in maniera critica. Queste tradizioni, assieme alle culture critiche di ispirazione riformista e libertaria, cristiano-sociali e, più di recente, alle culture femministe, ambientaliste, pacifiste, hanno costituito e costituiscono tuttora uno strumento di emancipazione, progresso e avanzamento democratico dell’Italia.

Alle forze di sinistra che fanno parte dell’Ulivo (Sdi, Pdci, verdi) proponiamo, come primo realistico passaggio, una federazione, come sede nella quale verificare la possibilità di un ulteriore terreno comune.

La sinistra non vive solo nei partiti politici. E’ un campo di forze nel quale si collocano culture, movimenti, associazioni economiche e della società civile, sindacato. Il valore delle autonomie, della autonomia dei soggetti non è in discussione. Ma la qualità in un regime politico bipolare va ripensato. Cambia inevitabilmente le relazioni tra partito e sindacato. In un quadro più aderente a quello del socialismo europeo, di più accentuata alternatività politica e sociale.

Non può che essere l’Ulivo la scelta strategica ma è una scelta a cui va accompagnata l’individuazione di regole chiare e democratiche per fare vivere l’Ulivo

La scelta strategica per governare l’Italia è l’alleanza dell’Ulivo. I fatti dimostrano tanto che non si tratta di una provvisoria alleanza elettorale, quanto che non può trasformarsi in un partito unico. Coesistono identità distinte, tutte vitali e necessarie.

L’Ulivo, per rappresentare un punto di riferimento unitario e strategico, deve crescere e radicarsi nel confronto tra le diverse culture ed espressioni politiche che lo animano.

Con la Margherita, che ha avuto un buon successo elettorale, intendiamo rafforzare e intensificare rapporti di collaborazione.

Nessuno riassume da solo l’Ulivo, la casa comune dei riformisti. Occorre rilanciarlo e dargli una struttura forte e democratica: accordi federativi tra i gruppi parlamentari, comuni portavoce tematici, apertura ai cittadini dei comitati dell’Ulivo nei collegi. L’Ulivo deve essere dunque un comune progetto tra soggetti politici diversi fondato sulla più ampia partecipazione dei suoi sostenitori. Per svilupparlo occorrono procedure democratiche, chiare e condivise per la scelta del candidato premier, dei programmi, degli organismi di direzione.

Ma dev’essere altresì chiaro che, senza la sinistra, l’Ulivo perde la sua vocazione maggioritaria. Che di una sinistra forte ed autonoma hanno bisogno l’Italia e la sua democrazia.

Compito dell’Ulivo è puntare a costruire un centrosinistra che comprenda tutte le forze che si oppongono a Berlusconi

L’Ulivo deve allargare le sue alleanze e puntare a costruire un centro-sinistra che comprenda tutte le forze che si oppongono a Berlusconi. Ci rivolgiamo in particolare all’Italia dei valori, che ha raccolto consensi di cittadini attenti a temi della legalità e della questione morale. Ma soprattutto a Rifondazione comunista. Verso questo partito, che ha subito anch’esso un duro colpo elettorale, intendiamo assumere una iniziativa politica sui contenuti, per condurre insieme la battaglia di opposizione alla destra. E’ questa la via per verificare la possibilità di una comune prospettiva di governo.

La vittoria di stretta misura del centrodestra ha portato al varo di un Governo, non ineluttabilmente all’apertura di un ciclo. Il rischio c’è. Per questo la sinistra, l’Ulivo, tutto il centro-sinistra hanno il dovere di lanciare ora la sfida, di lavorare ad un progetto per l’Italia. Ad una alternativa politica e sociale, ad una idea diversa di modernità e civiltà.



11. Per tornare a vincere: la sinistra e le donne


C’è un divario tra quanto le donne danno e quanto esse ricevono dall’organizzazione sociale e dalla politica

Chi ha a cuore un mondo più libero deve molto alle donne che hanno cominciato a cambiar faccia a questo mondo. Una trasformazione così profonda la sinistra ha faticato e fatica a riconoscerla.

E’ ora, anche qui, di cambiare rotta. “Il potere femminile - si legge nel documento promosso da molte compagne - non è solo questione di rappresentanza. C’è un divario tra quanto le donne danno e quanto esse ricevono dall’organizzazione sociale e dalla politica”.

Una sinistra viva, che reagisce ai propri errori e alla sconfitta, è una sinistra che sa cambiare anzitutto le proprie politiche sociali e dello sviluppo. Bene abbiamo fatto a raccogliere la sfida del tempo di lavoro che si mangia il tempo di vita, che è soprattutto delle donne. Oggi, dopo la legge sui congedi parentali, occorre di più. Il tema degli orari va completamente rivisto. La socializzazione del lavoro di cura va rilanciata con straordinario impegno culturale e finanziario. La politica fiscale va ripensata perché il criterio del reddito familiare non diventi il coperchio di troppe rinunce femminili a un lavoro legale e riconosciuto. L’estensione dei diritti ai nuovi lavori e il contrasto al “lavoro usa e getta” vanno praticati per parlare alle ragazze. Il riconoscimento retributivo e professionale del lavoro femminile va promosso con più decisione.

Cambiare la politica: più donne nelle istituzioni e negli organismi dirigenti per dare forza ai Ds

Ma il cambiamento chiesto dalle donne non è solo sociale. E’ politico.

Se la modalità prevalente nei nuovi movimenti è quella non gerarchica inventata dalle donne; se l’insofferenza per una politica legata più al destino dei leader che ai progetti è anzitutto femminile; se l’indignazione per la smaccata disuguaglianza e il gusto dello spreco spesso muovono prima le coscienze delle donne e dei giovani, allora non si scappa. E’ la politica che bisogna cambiare, le sue priorità, il suo modo d’essere.

Dando alle donne lo spazio che le donne chiedono, ma cambiando anche la logica che governa la vita politica e di un partito di sinistra. Vogliamo che molte più donne trovino nel nostro partito una casa accogliente, un luogo in cui far valere i propri interessi e i propri bisogni. L’adesione e la partecipazione delle donne ai Democratici di sinistra è vitale per il loro futuro. Deve finire il paternalismo. Più donne nelle istituzioni, nel partito e nei suoi organismi dirigenti sono una condizione e un obiettivo ambizioso da perseguire anche con le proposte indicate nella Carta di intenti delle donne del nostro partito.

Per esempio la direzione politica va interpretata a tutti i livelli in modo bilanciato, così come vanno rispettate le leggi dello Stato e il nostro stesso Statuto per l’uso del 5% dei finanziamenti della politica per l’accesso delle donne. Tali obiettivi vanno perseguiti guardando, tra l’altro, alle esperienze della Francia e di altri Paesi europei.

Da noi ci si aspetta che difendiamo la legge 194 da una destra reazionaria. Non possiamo in nessun caso accettare sacrifici della nostra posizione sull’autodeterminazione femminile.


12. Tornare a vincere: il partito dei noi, non dell’io

Contro la personalizzazione della politica, per un partito organizzato nel Paese, democratico, aperto alla società

La tendenza alla personalizzazione della politica è un connotato delle moderne democrazie e del rapporto tra mass media e politica (che non va subìto o assunto come valore). Da ciò non deriva che decisioni del massimo rilievo siano assunte in modo non trasparente e al di fuori di ogni confronto nelle sedi democratiche, come in questi anni è accaduto. Una corretta e democratica gestione collegiale del partito è il solo antidoto efficace, teso a far sì che la domanda di rapidità nelle scelte e di efficacia comunicativa non si traduca nel personalismo e nella solitudine del potere.

Nell’insieme del partito, a tutti i livelli, ha continuato a prevalere una sottovalutazione delle esigenze di cura e di rinnovamento del partito, forse per la convinzione che per accrescere i consensi della sinistra non servisse l’organizzazione ma bastassero la manovra politica e l’uso sapiente delle leve del potere.

In questi ultimi anni la sinistra ha governato pressoché tutto, dai livelli locali a quelli nazionali, dando prova di onestà, di competenza, di efficienza. Abbiamo riversato sulle esperienze amministrative e di governo non solo migliaia di quadri ma soprattutto la grande maggioranza delle nostre energie intellettuali e politiche.

Ma il nostro rapporto con la società si è affievolito. Da partito di governo, quale siamo e vogliamo essere, siamo divenuti agli occhi di molti, un partito di potere distante, supponente, votato alla propria autoconservazione.

Per tornare a vincere, è necessario ridare al partito sedi di decisione più democratiche e collegiali e agli iscritti maggiore centralità e occasioni di partecipazione

Si risale la china se si parte da qui: restituire agli iscritti il potere di partecipare, decidere, verificare linea e modo di fare del partito, di selezionare candidature in modo democratico e di promuovere gruppi dirigenti rinnovati e aperti alla società, la cui agenda non sia fatta solo di elezioni e impegni istituzionali.

Serve un partito federale, che rompa ogni gabbia centralistica al suo interno.

Un partito di donne e di uomini ogni giorno e non solo quando lo Statuto lo ricorda a un gruppo dirigente insensibile.

Un partito come momento associativo e aperto per tanti giovani che vogliono crescere insieme ai valori della sinistra.

Un partito che tiene un forte collegamento con i cittadini e i lavoratori italiani all’estero.

Un partito che raccolga il pluralismo sociale e culturale della sinistra italiana: di quella storica e di quelle ispirate alla libertà femminile, all’ambientalismo, ai valori del cristianesimo sociale, dei diritti civili e democratici.

Un partito pluralista, dove non c’è un centro democratico con le ali dissidenti, ma si è tutti “partito”, senza correntismo esasperato.

Un partito in cui si conti non per la fedeltà a un capo ma per le capacità, il consenso e il prestigio politico e personale.

Vanno rivisti i meccanismi di selezione delle candidature, di scelta delle rappresentanze e di elezione del segretario

Vanno, per tutte queste ragioni, profondamente ripensati e riformati i meccanismi di selezione delle candidature, di scelta delle rappresentanze nelle istituzioni, di elezione del segretario. Riteniamo in particolare sbagliata, alla luce dell’esperienza, l’elezione diretta del segretario, che è cosa diversa dall’assunzione anche personale della responsabilità di una linea politica e programmatica da parte del gruppo dirigente. Per questo chiederemo al Congresso una modifica dello Statuto.

Vogliamo più diritti e più poteri degli iscritti, più rapporti con gli elettori, più democrazia e più verifiche sull’operato dei dirigenti.

Vogliamo più partecipazione.

Vogliamo sentire più il noi che non l’io.

Per tornare a vincere.





Sullo stesso argomento

10 Settembre 2001: I FIRMATARI
7 Agosto 2001: PER ADERIRE ALLA MOZIONE
6 Agosto 2001: MATERIALI ALLEGATI PER LA DISCUSSIONE
18 Settembre 2001: DS: Domani Berlinguer a Roma, Morando a Torino e Fassino a Pozzuoli.

Link utili

MOZIONE MORANDO: "Per salvare i Ds, consolidare l'Ulivo e costruire un nuovo, unitario partito del riformismo socialista"
MOZIONE FASSINO:'La sinistra cambia per governare il futuro. Con l'Italia . Nell'Ulivo.'

CONGRESSO DSContributi congressuali

Mozione Berlinguer:
"Per tornare a vincere"

Mozione Fassino:
"La sinistra cambia
per governare il futuro.
Con l'Italia. Nell'Ulivo
."

Mozione Morando:
"Per salvare i Ds, consolidare l'Ulivo e costruire un nuovo, unitario partito del riformismo socialista"


I documenti congressuali
SPECIALE FESTE DE L'UNITA'
Le dirette dalla festa



"Intervento di chiusura di Massimo D'Alema alla Festa de l'Unità Nazionale"
"Intervento di Pino Soriero alla conclusione della Festa di Reggio Emilia - 23 settembre"

Speciale festa de l'unità: nazionali a tema, provinciali e comunali





CAMPAGNA D'ASCOLTO"Il dibattito? Meglio in piazza
che da Vespa."
Intervista a Pino Soriero Responsabile Comunicazione Politica Ds
Un primo bilancio di Pino Soriero, in audio video, dalle ore 18:00 dell'8/8/01. SPECIALE DIREZIONI DS
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