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"Per tornare a vincere", dal sito www.dsonline.it
Giovanni Berlinguer, Segretario
10 Settembre 2001
Premessa
Per tornare al governo dell’Italia: una sinistra più
riconoscibile, una opposizione intransigente e propositiva.
1. Le ragioni sociali, politiche, ideali della sconfitta
2. Un Congresso di radicale svolta e discontinuità politica
3. I Ds e la società italiana
4. Una sinistra dei lavori, dei valori e della sostenibilità
ambientale
5. Un nuovo Mezzogiorno
6. Il federalismo che unisce
7. Ricostruire e allargare l’opposizione, in Parlamento, nel
territorio, nei luoghi di lavoro
8. Un riformismo forte: un mondo più equo e più giusto, un’Europa
più democratica. Economia ed ecologia si tengono
9. Un riformismo forte: un’altra modernizzazione
10. Tornare a vincere: la sinistra e l’Ulivo
11. Tornare a vincere: la sinistra e le donne
12. Tornare a vincere: il partito dei noi, non dell’io
Per tornare a vincere occorre discontinuità di
indirizzi e comportamenti politici
Il prossimo Congresso di novembre dovrà segnare una radicale
discontinuità di indirizzi e di comportamenti politici da parte dei
Ds. Questa consapevolezza è oggi largamente condivisa nel partito.
Ma la discontinuità con il passato non può essere un mero
espediente tattico e verbale, bensì il frutto di un’analisi
severa e rigorosa delle cause della sconfitta dell’Ulivo, del
nostro partito, della sinistra nel suo complesso. E, a nostro
avviso, discontinuità vuol dire anzitutto superare alcuni seri
limiti rispetto all’identità dei Ds come forza di sinistra,
convinta delle proprie ragioni e profondamente radicata nel
socialismo europeo.
Il successo di una politica, di un’alleanza, di un partito
dipendono tanto dai contenuti e dai valori per i quali ci si
impegna, quanto dalla coerenza e dalla credibilità con i quali quei
contenuti e quei valori vengono perseguiti. Noi siamo stati, nell’ultimo
decennio, deficitari, incerti ed oscillanti su entrambi questi
fronti.
Noi non abbiamo avuto un generico deficit di riformismo ma un
deficit di sinistra, che ha pesato sulla qualità del nostro
riformismo, sulla capacità di rappresentare il mondo dei lavori, i
diritti sociali e individuali, di misurarsi con le sfide della
globalizzazione e dello sviluppo sostenibile.
Riformismo, opposizione intransigente e propositiva sono gli
elementi da contrapporre al governo delle destre. Più sinistra e
più Ulivo
Per tornare a vincere non si deve rincorrere un moderatismo che cade
nella subalternità politica e culturale, ma ci vuole una più
riconoscibile moderna sinistra, una opposizione propositiva e
intransigente, nel Parlamento e nel Paese, al governo della destra,
una più forte coalizione dell’Ulivo e di tutte le forze che si
oppongono a Berlusconi.
Queste sono le ragioni principali che ci hanno spinto a promuovere
una mozione di centrosinistra, sottoscritta da compagne e compagni
che pure hanno avuto posizioni e percorsi diversi nel partito a
partire dal Congresso di Torino.
Quello che ci muove è una grandissima preoccupazione per la crisi
dei Ds e la sconfitta dell’Ulivo. In pericolo oggi è la
sopravvivenza, l’autonomia e il futuro della sinistra italiana.
Per evitare questo declino è necessaria una svolta profonda sul
piano politico, sociale e culturale.
La svolta è possibile attraverso un bilancio dell’esperienza di
questi anni che sappia vedere gli importanti risultati raggiunti ma
anche i limiti e gli errori che ci sono stati e, su questa base,
costruire quelle scelte strategiche che permettano di dare speranza
alla sinistra italiana.
All’indomani della sconfitta sottoponiamo agli iscritti una
piattaforma politica per dare una maggioranza di centrosinistra al
partito
Le tre consecutive sconfitte (elezioni europee, regionali,
politiche) sono uno spartiacque per tutti noi. Tutto è in
discussione e non è più possibile rimanere rinchiusi nelle vecchie
sicurezze. Essere più di sinistra, per noi, vuol dire essere più
chiari e riconoscibili nella nostra idea di società, nella nostra
alternativa alla destra.
Per questo abbiamo deciso di incontrarci per cercare strade nuove.
Sottoponiamo agli iscritti una piattaforma politica e programmatica,
aperta al contributo di coloro che vorranno aderirvi, per dare una
maggioranza di centrosinistra al partito. Protagonisti della vita
del partito devono tornare ad essere gli iscritti.
Vogliamo contribuire a costruire un Congresso vero che, nel rispetto
e nel reciproco ascolto, sappia parlare a tutto il partito, al
nostro elettorato e al Paese intero. Un Congresso libero che rompa
ogni forma di conformismo e di burocratismo che nascevano anche da
una vita interna asfittica costruita su un grande centro “che era
il partito” e poi due ali che erano il dissenso. Anche così, con
questa nostra scelta di incontrarci, contribuiamo a fare diventare
il nostro partito un vero partito del socialismo europeo.
L’unità del partito è un bene prezioso che va difeso e
affermato. Il confronto aperto e la democrazia interna la
favoriscono, non la minacciano.
Sono questi i motivi per cui riconosciamo di avere comuni
orientamenti e proponiamo Giovanni Berlinguer alla guida del
partito.
1. Le ragioni sociali, politiche, ideali della sconfitta
L’Ulivo nel maggioritario ha recuperato e mobilitato consensi
importanti negli ultimi mesi di campagna per le elezioni del 13
maggio. Ma ha pesato nella sconfitta l’incapacità di costruire
alleanze più ampie tra le forze che si opponevano a Berlusconi.
Non ci sono state solo sottovalutazioni ed errori tattici. Ci sono,
innanzitutto, ragioni sociali, all’origine della nostra sconfitta.
I dati elettorali degli ultimi anni ci dicono chiaramente che il
nostro insediamento popolare e democratico è gravemente incrinato:
nel mondo del lavoro, tra gli anziani, nel Mezzogiorno del Paese,
tra i giovani e le donne e anche nel complesso mondo delle nuove
professioni e della piccola e media impresa dove coesistono spesso
grandi arretratezze accanto ad elementi dinamici ed innovativi.
Ci sono stati gravi errori da parte del partito, che coinvolgono la
responsabilità di molti e in qualche misura di tutti, e ritardi
anche nell’azione di governo che non possono essere sottaciuti.
I risultati positivi dei governi dell’Ulivo non ci devono far
dimenticare limiti dell’azione di governo
L’azione del governo ha raggiunto risultati positivi e, per molti
versi, di grande rilievo. In tanti campi dell’economia, della
società, della cultura sono stati avviati cambiamenti imponenti.
Tuttavia solo con l’obiettivo dell’Euro e del risanamento è
stata piena la capacità di coinvolgere la coscienza degli italiani
e di acquisirne il consenso, pur di fronte a pesanti sacrifici. Ma
molte parti della società italiana, a partire da quelle più
deboli, non hanno capito le nostre timidezze nella tutela e nella
promozione dei diritti dei lavoratori tradizionali e atipici, nella
difesa, nell’ampliamento e nelle riforme dello Stato sociale,
nella rivendicazione della laicità dello Stato e delle libertà
civili. Il Sud del Paese non ha colto una significativa
discontinuità nelle politiche per lo sviluppo e per l’occupazione.
La questione meridionale è stata il tallone d’Achille della
nostra azione riformista. Ha così preso corpo un’offensiva
politica e culturale della Confindustria, della destra e della Lega
tendente a cancellare l’universalismo dei diritti del lavoro, i
diritti della contrattazione, i livelli salariali e i fondamentali
diritti di cittadinanza.
Gli errori dei Ds
Altrettanto evidenti sono le ragioni politiche della nostra
sconfitta. Dopo la vittoria del ’96 è stato troppo debole il
sostegno all’Ulivo. E, in particolare, la seconda fase dell’azione
di governo - quella sociale e riformatrice - ha preso corpo con
molte timidezze e ritardi, rese confuse dai ripetuti mutamenti di
premiership e dalle continue divisioni e conflittualità interne al
campo del centrosinistra che offuscavano il conflitto con la destra
e che non sono state superate nemmeno nell’imminenza della
consultazione elettorale del 13 maggio. Gravi sono state le
responsabilità di Rifondazione comunista, benché abbia influito
anche un nostro deficit di iniziativa politica.
E’ soprattutto sul piano ideale e dei valori che occorre
rilanciare l’azione dei Ds nella società italiana
Sull’esito del voto hanno pesato anche ragioni ideali e
identitarie, incertezze e improvvisati revisionismi sul piano dei
valori, dei simboli, del linguaggio. Un appannamento del nostro
antifascismo. Un indebolimento del nostro rapporto con il progetto
emancipativo contenuto nella prima parte della Costituzione
repubblicana, nei modernissimi principi in essa declinati di
libertà ed eguaglianza, di solidarietà e democrazia, di legalità
e rappresentatività. Abbiamo oscillato sulla difesa della legalità
e sulla questione morale. Abbiamo pagato un prezzo pesante anche sul
terreno di grandi riforme tipicamente liberali, come quelle della
giustizia e del sistema radiotelevisivo. In particolare, è stato un
errore gravissimo la mancata risoluzione del conflitto di interessi.
La carta di identità della sinistra è sembrata spesso ridursi alla
bandiera della modernizzazione per la modernizzazione, dell’innovazione
per l’innovazione. Così hanno preso corpo la propaganda
neoliberista, l’ideologia populista e dai tratti autoritari delle
destre, l’anticomunismo senza comunismo.
2. Un Congresso di radicale svolta e discontinuità politica
Il Congresso deve partire da un’analisi severa e serena della
sconfitta e delle sue cause, per evitare di commettere di nuovo gli
stessi errori
Per questo diciamo che senza una sincera e impietosa analisi delle
ragioni dell’insuccesso non ci sarà vera svolta nei Ds. Per
questo diciamo che senza un severo e rigoroso giudizio sulla
qualità politica e sociale della vittoria della destra e del
governo Berlusconi non ci sarà una opposizione credibile e
autorevole nel Paese e nel Parlamento e non si tornerà presto a
vincere.
Non possiamo più oscillare su tutti i piani. Assai significativi
sono stati, dopo il voto, i veri e propri sbandamenti di
orientamento politico sulle vicende del G8 e di Genova. Rischiamo di
assistere smarriti alle inquietudini profonde che attraversano le
coscienze e la società civile di fronte alle drammatiche
ingiustizie e alle gravi lacerazioni prodotte dagli attuali processi
di omologazione e di globalizzazione. I primi mesi dell’azione di
governo dimostrano che il compito dell’opposizione non può essere
semplicemente quello di competere con il governo della destra sul
terreno dell’innovazione e della modernizzazione. Sarebbe una
grave sottovalutazione della natura del berlusconismo e dell’alleanza
da esso cementata.
Dobbiamo saper opporre alla demagogia della destra proposte
alternative serie e credibili, in Parlamento e nel Paese
Non basta una retorica del cambiamento, né un generico richiamo all’orgoglio
di partito.
Il partito si presenta oggi impoverito negli strumenti di formazione
e comunicazione, con una vita interna poco partecipata e
democratica.
E’ fallito il modello di direzione leaderistica, di una “democrazia
di mandato” fondata su deleghe in bianco a ristretti gruppi di
comando e deboli sistemi collettivi di formazione delle idee e delle
decisioni. E così si sono arenati i diversi tentativi di riforma
organizzativa, fino a quello centrato sul progetto di una struttura
federale “a rete”.
Dobbiamo rendere più efficace e convincente la nostra mobilitazione
nel Paese, la nostra opposizione in Parlamento, le nostre proposte
alternative presso l’opinione pubblica.
Bisogna cambiare rotta, dicendo chiaramente quali sono i nostri
alleati e quali sono i nostri avversari, da che parte stanno i Ds,
la sinistra, l’Ulivo, quale partito intendiamo ricostruire.
Bisogna rinnovare con coraggio i nostri gruppi dirigenti, aprendo le
fila a nuove generazioni di giovani, di donne, di lavoratori, di
intellettuali e combattendo ogni forma di cooptazione, di
notabilato, di carrierismo politico.
3. I Ds e la società italiana
Non basta collocare la crisi dei Ds nel quadro delle metamorfosi
della democrazia moderna, del mutamento dei caratteri dei partiti
politici, della difficoltà crescente della politica nel governare i
mutamenti nazionali e globali.
La destra ha dispiegato una battaglia egemonica. Noi non abbiamo
trovato idee sufficientemente forti ed autonome per contrastarla.
Sono prevalsi un certo disincanto, una deriva scettica, una rinuncia
ad operare nel profondo, là dove si crea senso comune e opinione
pubblica, una ideologia del “professionismo politico”. Si sono
sviluppate più le funzioni di promozione del personale politico che
quelle di formazione di una vera, larga, classe dirigente nelle
istituzioni e nella società civile. Ciò è tanto più grave quanto
più, cadute le compatte ideologie del dopoguerra, si è venuto
sviluppando tra gli elettori un radicalismo civico: il giudizio dei
cittadini si fa più intermittente, ravvicinato, severo sui singoli
atti, sulle visibili scelte quotidiane concrete, sull’immagine e
sul sentimento che si comunica.
Per tornare a vincere è necessario colmare la distanza che si è
creata tra i Ds e la società italiana e ritrovare la capacità di
interpretare i problemi di oggi
L’origine della crisi della sinistra e dei Ds è il suo rapporto
con la società italiana, la latitanza dai conflitti che hanno
investito nell’ultimo ventennio il Mezzogiorno, la condizione
femminile, l’universo giovanile, il mondo degli anziani, le
vecchie e nuove povertà. Troppo spesso ha prevalso una
rappresentazione edulcorata o neutrale della globalizzazione e della
modernizzazione. Se ne sono vantate le magnifiche e progressive
sorti in ordine agli elementi di liberalizzazione e di ampliamento
delle opportunità mentre è calato il silenzio su tutto il resto. L’impoverimento
dal punto di vista ambientale di vaste zone della terra. L’aumentato
potere dell’economia e del mercato sulla organizzazione e sui
ritmi della vita individuale e collettiva. La solitudine sociale dei
lavoratori fordisti e postfordisti. La crescente inquietudine nei
confronti di un’etica competitiva che tutto riduce e riconduce -
tanto nella sfera privata, quanto nella sfera pubblica - alla
dimensione della produzione e del consumo.
4. Una sinistra dei lavori, dei valori, della sostenibilità
ambientale
L’Italia non è un paese organicamente di destra.
E’ stato detto, a giustificazione di questo silenzio sulle
laceranti contraddizioni della globalizzazione, che l’Italia è un
Paese organicamente di destra. Il compito della sinistra - si è
aggiunto perciò - non può che essere quello di competere
politicamente e culturalmente sul terreno del modernismo.
Queste idee si sono rilevate prive di fondamento. Sul piano politico
Berlusconi ha coalizzato il centrodestra, realizzando una inedita
sintesi di populismo, liberismo, ultraconservatorismo, spiriti
modernisti, reazionari e controriformistici. Ed ha così convogliato
il consenso di ceti forti e deboli, di ricchi e di poveri, di poveri
di reddito e di informazione.
Tuttavia la destra non ha sfondato. I voti della Casa delle Libertà
del 2001 sono molti meno di quelli di Lega e Polo del ’96. La
maggioranza degli elettori ha votato contro Berlusconi. Ma era una
maggioranza divisa, il 10% si è trovato fuori dell’Ulivo e delle
sue proposte di governo: Democrazia europea, Italia dei valori,
Rifondazione comunista. Solo Rifondazione comunista passa la soglia
di sbarramento, il “terzaforzismo” fallisce, il voto è
fortemente bipolare.
Un riformismo forte, fondato sul riconoscimento del valore politico
e sociale del lavoro
Oggi c’è bisogno di un riformismo forte: di una riforma della
società civile, dell’economia, del mercato, della politica, della
democrazia e delle istituzioni. Noi siamo la sinistra dei lavori,
dei valori e della sostenibilità ambientale. Per la sinistra non c’è
governo democratico e condiviso della modernizzazione senza una
chiara scelta di rappresentanza politica e sociale del lavoro. E
senza una inequivoca indicazione: economia, mercato e competitività
costituiscono strumenti e non fini ultimi della politica e dell’azione
collettiva.
La sinistra ha un senso se il suo orizzonte strategico è la
costruzione di una società più giusta, libera, egualitaria,
partecipativa, inclusiva e fondata sulla responsabilità di specie.
Una comunità, cioè, con un maggior grado di mobilità sociale, di
coesione economica, di garanzie, di diritti, di qualità ambientale,
di civismo, di tolleranza. In definitiva una comunità con una reale
crescita di libertà politica, con una più alta considerazione del
valore dell’autorealizzazione e dell’autogoverno delle persone
che lavorano.
Per la sinistra il lavoro è libertà e dignità, liberazione e
diritti: il primo, insomma, dei diritti sociali e politici. Senza
esitazione, quindi, va detto che la sinistra non esiste senza
riconoscimento di un progetto di società che pone al suo centro il
valore sociale del lavoro.
Tutte le grandi organizzazioni di rappresentanza hanno l’esigenza
di rinnovarsi e aprirsi alla società che cambia. Avere però
indicato i sindacati, e la Cgil in particolare, come agenti della
“conservazione” è stato sbagliato e autolesionista.
La rivoluzione informatica sta radicalmente cambiando l’universo
del lavoro. La dotazione di capitale umano con elevati livelli di
formazione è il fattore discriminante. Il lavoro che ha futuro è
il lavoro che sa.
La piena e buona occupazione è il nostro obiettivo. Incrementare l’informazione,
l’istruzione, la ricerca, la formazione, il sapere: questi sono
gli imperativi di una moderna politica del lavoro e della libertà.
Versatilità, non flessibilità, per tutelare i diritti e
valorizzare il lavoro in tutte le sue forme
E’ giunto il momento di cambiare anche il linguaggio: non “flessibilità”,
ma “versatilità”. Cioè capacità di padroneggiare i
cambiamenti, possibilità di variare il programma, le aspettative, i
tempi del lavoro e della vita, disponibilità di conoscenze capaci
di governare l’innovazione tecnologica. Vita degli uomini e delle
donne più aperta, che non vuol dire più precaria e meno tutelata.
Perché, se è vero che le forme del lavoro come gli stili di vita
sono cambiate e si sono diversificate, è altrettanto vero che
compito della sinistra rimane quello di immettere anche i nuovi
lavori in un quadro di diritti universali e inviolabili, in un
sistema di garanzie e tutele. Il lavoratore non è un oggetto che va
“reso flessibile”, ma un soggetto che deve acquisire sempre
nuove capacità.
L’impegno a rispettare il risultato del referendum sull’art. 18
dello Statuto dei lavoratori costituisce un vincolo politico
ineludibile per il nostro partito, da far valere in Parlamento e nel
Paese. Occorre rendere chiaro che non solo lo Statuto non va messo
in discussione, neppure attraverso la via surrettizia del cosiddetto
arbitrato, ma anche che la sinistra si impegna per riconoscere
diritti oggi negati e assicurare alle figure lavorative che ne sono
prive tutele in ordine alle regole che governano sia il mercato del
lavoro, sia il Welfare, per assicurare una rete di protezione e di
servizi nei processi di mobilità.
Valorizzare il lavoro, in tutte le sue forme, vuol dire riconoscere
al lavoro dignità sociale e politica, rappresentanza anche
simbolica; restituirgli insomma il posto ed il ruolo che gli spetta
in una società giusta e democratica. La sinistra affonda qui le sue
radici più salde. Il lavoro e lo sviluppo sostenibile, i valori
della libertà, dell’eguaglianza e della solidarietà sono il suo
futuro.
E’ necessario imprimere con maggiore forza allo sviluppo il segno
della qualità sociale ed ambientale
La sinistra, a differenza della destra liberista, ha una idea dello
sviluppo fondata sulla qualità sociale e ambientale. La qualità
del sistema Italia sarà sempre più elemento di competitività
nella dimensione internazionale così come lo saranno la ricerca, l’innovazione
dei cicli produttivi e delle merci, la valorizzazione della risorsa
lavoro e delle competenze. Anche questo vuol dire oggi regolare il
mercato e dare risposta a un’idea corretta di funzione
imprenditoriale.
Quella parte del mondo produttivo che è interessata ad uno sviluppo
di qualità, a regole condivise dei comportamenti del mercato, deve
potere incontrare una risposta che il centrodestra non può né
intende dare.
Un mercato concorrenziale con regole condivise implica la
possibilità di premiare i comportamenti efficienti. Ciò significa
dare i giusti incentivi perché le nostre piccole imprese crescano e
perché le innovazioni pervadano tutti i settori e tutte le zone
territoriali del Paese.
Ciò significa anche non tollerare che esistano mercati dove tutto
sia lecito: calpestare i diritti dei piccoli risparmiatori,
acquisire posizioni di controllo azionario indebitando la società
scalata e abbassandone così il valore, ostacolare la concorrenza
mediante la costruzione di “scatole” vuote e di alleanze
strumentali. Solo se le regole della concorrenza e dell’efficienza
si applicheranno a tutti i mercati sarà possibile evitare che la
sinistra rincorra falsi miti e assuma atteggiamenti subordinati
verso il potere economico.
5. Un nuovo Mezzogiorno
Non si può proporre per il Mezzogiorno una modernizzazione senza
coesione economica e, soprattutto, sociale
Si ripropone oggi, per certi versi aggravata, una questione
meridionale. L’azione dei governi dell’Ulivo è stata
insufficiente, poco attenta alle peculiarità storiche, economiche e
civili della società meridionale. Lo dimostra anche il grave
risultato elettorale.
Il Mezzogiorno è un luogo di forti, antichi e irrisolti conflitti
politici e sociali. E’ nel Sud che si è sempre più approfondito
il discrimine politico che oggi separa destra e sinistra in tutto il
Paese. Da una parte la sbrigativa tentazione del governo polista di
affermare una modernizzazione senza qualità, di far cadere valori
di legalità e di trasformare il Mezzogiorno in una frontiera ostile
e chiusa; dall’altra una ritrovata capacità di considerare il Sud
come laboratorio per un nuovo modello di sviluppo e per una nuova
idea di società, fondate sulla qualità e sulla equità.
Abbiamo perso le elezioni anzitutto nel Mezzogiorno. La destra ha
intercettato vecchie e nuove insicurezze della società meridionale.
Noi le abbiamo eluse. Dobbiamo ora investire in passione e
sensibilità politica verso le grandi sfide che la complessità
meridionale ci propone. Dobbiamo costruire nel Sud un blocco sociale
ampio e trasversale, caratterizzato da una comune cultura dei
diritti.
La piena e buona occupazione
Ciò esige anzitutto una politica per la piena e buona occupazione
fondata su un miglioramento della qualità del lavoro, in termini di
salari, stabilità, sicurezza, legalità, qualificazione e
gratificazione.
Il Mezzogiorno deve crescere più della media nazionale, non come
propone la destra con deroghe al ribasso dei minimi salariali e
delle tutele giuridiche, ma nel rispetto della contrattazione
nazionale e delle conquiste di civiltà dello Stato sociale che
vanno consolidate ed estese.
A livello nazionale la maggior parte delle risorse finanziarie deve
essere vincolata al rilancio degli investimenti in sicurezza,
infrastrutture, risanamento ambientale, servizi per le imprese e l’occupazione,
formazione e ricerca.
A livello europeo vanno profondamente ripensate e riformate le
politiche dell’Unione. Non possono essere considerate “aiuti di
Stato”, in contrasto con le regole della concorrenza, le misure
dirette a combattere tassi di disoccupazione doppi o tripli rispetto
alle medie europee.
Investire sui servizi alle persone
E’ in secondo luogo necessaria una politica coraggiosa e
sistematica dei servizi alle persone e di affermazione di un nuovo
welfare capace di garantire anzitutto le grandi fasce popolari e
giovanili prive di qualsiasi forma di inclusione sociale. Il nostro
obiettivo è quello di elevare la qualità della vita in tutto il
Mezzogiorno investendo prima di tutto sulla formazione e sul sapere,
nucleo indispensabile di ogni nuova politica al servizio di questa
parte del Paese.
La lotta alla mafia
Ma occorre soprattutto cambiare significativamente passo nella lotta
contro la mafia. Essa è stata nell’ultimo periodo marginale, di
routine, distratta. Spesso se ne è persa traccia nel dibattito
civile. Lavoriamo perché si radichi una nuova consapevolezza della
lotta alla mafia sapendo che essa non ammette deleghe giudiziarie,
ma va condivisa dentro e fuori le istituzioni; non obbedisce solo ad
un imperativo etico ma ad una necessità civile, sociale e
economica; è un passaggio necessario per un nuovo modello di
sviluppo, impedito fino ad oggi anche dalle rendite passive imposte
da Cosa Nostra, da un soffocante controllo del territorio e da un’economia
mafiosa pervasiva e iniqua per definizione; è l’occasione infine
di un impegno visibile per una diffusa cultura della legalità,
contro ogni manifestazione di corruzione e di abuso.
I messaggi lanciati dal governo Berlusconi su questo terreno (il
caso Taormina e il caso Lunardi) sono segni allarmanti che meritano
una reazione forte e indignata.
Occorre tradurre tutto ciò anche nella costruzione di nuovi gruppi
dirigenti della sinistra nel Mezzogiorno, capace di interpretare le
ragioni e le virtù di una nuova questione meridionale. Che sappia
restituire al Paese il Mezzogiorno come risorsa, non più come terra
di rapina elettorale ed economica.
6. Il federalismo che unisce
Difendere la riforma federalista dell’Ulivo contro chi propone una
“devolution” che disgregherebbe il Paese
Una società più unita e più giusta è una società più
democratica. Dove l’esercizio del potere è più vicino ai
cittadini e più controllabile. Dove l’amministrazione è
efficiente e non diventa uno strumento di comando politico. Dove le
istituzioni rappresentative sono autorevoli e riconosciute, adeguate
a governare i processi di internazionalizzazione delle economie.
Il federalismo autentico risponde a tale esigenza. E’ un’idea di
pluralità e di suddivisione della sovranità, in un’Europa
politicamente unita. E’ un’idea di libertà, poiché riconosce
la possibilità di autogoverno delle comunità territoriali.
Il federalismo del centrosinistra si contrappone al miscuglio di
separatismo etnico, insofferenza per ogni regola e ogni legame di
solidarietà, nuovi prorompenti rigurgiti di centralismo che
caratterizzano la destra. E’ un federalismo che non nega l’unità
del Paese e la piena eguaglianza nei primari diritti di
cittadinanza. Questo indirizzo, seguito nella precedente legislatura
sia nei lavori della Commissione Bicamerale, sia successivamente
nella riforma del titolo V della parte II della Costituzione, deve
essere pienamente confermato.
Le confuse proposte sulla cosiddetta “devolution” fin qui emerse
sono arretrate nell’impianto generale rispetto alla riforma
approvata dall’Ulivo. E sono al tempo stesso pericolose per l’unità
del Paese perché pongono in discussione il pieno ed eguale
riconoscimento dei diritti di tutti in due settori di primario
rilievo come la sanità e la scuola.
Un federalismo che nel riparto delle risorse tenga conto delle
differenze profonde che segnano l’Italia, in particolare per
quanto riguarda il Mezzogiorno, e non contribuisca ad approfondirle;
che non costituisca, dunque, occasione di ampliare le distanze ma,
al contrario, renda possibili e favorisca politiche dirette ad
avvicinare il paese debole al paese forte; che non sia assunto a
pretesto o occasione per indebolire le garanzie di eguali diritti in
settori - come la sanità e l’istruzione - che devono mantenere
una essenziale connotazione di servizio pubblico ed un carattere
universalistico.
Un federalismo dei diritti e non degli egoismi, della solidarietà e
non della separatezza. Questo è il federalismo che abbiamo voluto
con la riforma, e che dobbiamo difendere. Nell’interesse dell’Italia,
nell’interesse del Nord e del Sud.
7. Ricostruire e allargare l’opposizione, in Parlamento, nel
territorio, nei luoghi di lavoro
L’azione di governo delle destre mina i diritti, rafforza i
privilegi ingiusti, lede le libertà costituzionali dei cittadini
Il governo di centrodestra non è un governo moderato. I primi atti
dell’Esecutivo mostrano chiaramente l’intenzione di fare dell’Italia
un Paese con meno diritti, un Paese più autoritario.
Il groviglio di conflitti di interessi nella compagine governativa
non è sciolto. I provvedimenti economici spostano risorse verso i
più ricchi, e prospettano un quadro di aggravamento delle
diseguaglianze e dei privilegi. Si conferma una pretesa di comando
che mette a rischio lo Stato di diritto e minaccia (con l’idea
leghista della “devolution” che squilibra il quadro del
federalismo solidale introdotto dal centrosinistra nella
Costituzione) la stessa unità nazionale. E’ reale il pericolo di
un controllo pressoché totale, in forma di regime, del sistema dell’informazione,
indebolendo le ragioni del servizio pubblico radiotelevisivo, la
presenza competitiva nel mercato della Rai che la destra vuole “occupare”
calpestandone ogni autonomia. Si lanciano proposte di manomissione
di diritti civili e di libertà che soprattutto il movimento delle
donne ha contribuito ad affermare. E’ chiara un’intenzione
aggressiva verso l’opposizione democratica. E’ certo che sarà
messa in atto un’opera di smantellamento delle riforme introdotte
o avviate dai governi di centro-sinistra. La sorte dei capisaldi
dello Stato sociale è minacciata.
La fulminea condivisione del progetto di “Scudo spaziale” del
Presidente americano Bush segna una rottura con i principali
partners europei e l’adesione ad una politica che porterà
inevitabilmente ad una nuova corsa agli armamenti.
La condotta del governo a Genova durante il G8 ha mostrato le sue
peggiori credenziali di destra. Si è prodotta una grave lesione
nella democrazia italiana.
A Genova si è visto crescere in forma di massa un movimento,
soprattutto di giovani e giovanissimi, che esprime una domanda di
partecipazione democratica ed una ricerca delle forme con le quali
affermare la volontà di cambiamento del mondo. Questo movimento
rifiuta la condanna della maggioranza dell’umanità alla miseria,
alla fame ed alle malattie; si oppone alle guerre ed allo
sfruttamento dei popoli e si batte per l’uguaglianza dei diritti
per tutti gli uomini e le donne. La sinistra storica ha da portare
la sua esperienza: sa quale minaccia sia rappresentata dai gruppi
violenti, verso i quali non può esservi alcuna ambiguità. Ma
negherebbe la sua storia se non entrasse in relazione con questo
movimento e con la domanda di partecipazione che esprime.
Una opposizione forte, democratica e propositiva si deve fondare
sulla capacità di marcare nettamente le differenze, di collegarsi
con le altre forze e movimenti di opposizione presenti nel Paese e
di dispiegarsi in Parlamento e nella società
Per tornare domani al governo, oggi c’è bisogno di una
opposizione democratica, in Parlamento, nel Paese, nella società,
nei luoghi di lavoro. Per essere forte ed efficace l’opposizione
deve organizzarsi ed essere unita. L’Ulivo deve darsi strutture,
organizzazione, regole democratiche e condivise. Deve anche
collegarsi subito alle altre forze dell’opposizione. Deve
sviluppare la relazione e l’interlocuzione con il movimento
sindacale e cooperativo; con l'associazionismo economico, civico e
politico; con i soggetti del volontariato e del terzo settore.
L’opposizione dev’essere democratica e propositiva,
intransigente e dura. In Parlamento e nel Paese. L’opposizione
può giungere, in determinati rari momenti, a convergenze bipartisan
nell’interesse nazionale. Ma deve, nell’azione quotidiana e
nella visione strategica, avere un suo punto di vista, marcare le
differenze, segnare i confini, dispiegare un’idea della società e
della vita civile alternativa alla destra.
E’ improprio perciò appuntare gli strali su An e Lega e aprire
linee di credito verso Forza Italia. La battaglia contro il governo
è per metterlo in crisi e farlo cadere. Nuovi governi, debbono
stabilirli gli elettori.
8. Un riformismo forte: un mondo più equo e più giusto, una Europa
più democratica. Economia ed ecologia si tengono.
La sinistra non può sottrarsi all’impegno che accomuna persone e
movimenti di tutto il mondo: rendere lo sviluppo mondiale più equo
e più giusto
Se mai c’è stato un tempo del riformismo debole e senza anima
sociale, non è certamente questo ciò di cui oggi abbiamo bisogno.
Le idee e gli interessi forti della destra vanno contrastati e
avversati con idee e interessi altrettanto forti, riconoscibili,
credibili. Solo così potremo ridare fiducia e identità al nostro
mondo, al mondo dei lavori e dei saperi, ai senza potere, a tutti
coloro che hanno passione per la libertà.
Intere popolazioni sono oggi ai margini dei processi di
modernizzazione di cui spesso conoscono solo le drammatiche
contraddizioni: lo scivolamento verso il basso di molte economie
povere, l’aumento del debito e della dipendenza dalle forniture
straniere, l’impoverimento dell’ecosistema legato a forme di
sfruttamento incompatibili con gli equilibri ambientali, la
contraddizione ecologica, la distruzione delle garanzie sociali, lo
sfruttamento sempre più intensivo della manodopera a basso costo
rappresentata dagli individui, spesso donne, spesso minori, a cui si
chiede di produrre beni di consumo per i mercati occidentali, l’analfabetismo
tecnologico, il rischio di scomparsa delle culture e delle
differenze locali, l’assenza di diritti civili democratici. L’Africa
in particolare, dove il debito rappresenta il 60% del Pil, è un
moderno inferno.
Quando i profitti dei dieci più grandi gruppi economici del mondo
sono superiori al Prodotto interno lordo dell’insieme dei Paesi
poveri del mondo ed un essere umano su quattro vive con meno di un
dollaro al giorno, lo spazio e la responsabilità per la politica
sono immensi. Nel Terzo Millennio una sinistra incapace di riempire
questo spazio rinuncia ad una sua fondamentale funzione politica e
ideale.
Come forza di governo i Ds hanno promosso azioni di cui rivendicare
il merito a cominciare dalla cancellazione del debito. Ora è
necessario un rapporto con le associazioni, i movimenti, le reti
che, in forma non violenta, esprimono le loro proposte e le loro
proteste su questi temi.
Bisogna rendere più trasparente e democratico il funzionamento
delle istituzione sovranazionali e rafforzare il ruolo dell’Onu. L’impegno
dell’Internazionale Socialista
Il G8 ha fatto il suo tempo: i Paesi del G8 rappresentano il 10%
della popolazione mondiale, ma i loro Governi hanno il potere di
assumere decisioni che riguardano la vita di tutti gli abitanti
della Terra.
Vanno rivitalizzate e rese più democratiche le sedi internazionali,
dove le decisioni non possono essere rimesse esclusivamente alle
nazioni più ricche. L’obiettivo di un governo democratico del
pianeta non è utopia da sognatori, ma una esigenza da perseguire
tramite una costante, paritaria e continua presenza di tutte le
posizioni. L’Onu, riformata e rilanciata, deve diventare una sede
effettiva di composizione di interessi e di risoluzione dei
conflitti.
La sinistra europea deve e può rafforzarsi proprio a partire da
analisi e proposte comuni che puntino a risolvere le grandi
contraddizioni che la modernizzazione propone. Per non subire
passivamente i processi economici e la ridislocazione dei poteri, l’Internazionale
Socialista deve finalmente scendere in campo: riunirla in sessione
straordinaria a Genova sarebbe stato un modo autonomo e concreto di
dire le nostre opinioni. Noi proponiamo che i Ds richiedano una
prima e ravvicinata convocazione dell’Internazionale Socialista
dedicata alle questioni del commercio internazionale e delle sue
regole, dei cambiamenti climatici e delle politiche energetiche,
della possibilità per i Paesi in via di sviluppo di produrre
farmaci senza sottostare ai vincoli della brevettabilità imposti
dalle grandi multinazionali, della riforma dell’Onu e delle altre
sedi di governo a livello internazionale, della estensione dei
diritti del lavoro.
La tutela ambientale e della biodiversità deve essere al centro
dell’idea di sviluppo
La tutela dell’ambiente non è solo una variabile indipendente
nelle decisioni che riguardano lo sviluppo economico ma deve
diventare la leva di una nuova idea dello sviluppo. Dieci anni dopo
Rio, a Johannesburg nel 2002 si terrà il Summit Mondiale sullo
sviluppo sostenibile. La difesa della biosfera è il compito della
nostra epoca. Il rispetto degli accordi di Kyoto è un importante
primo passo.
La qualità della vita, la salute, la sostenibilità ambientale, la
conservazione dell’energia sono parametri essenziali per entrare
senza rischi nel futuro. Ed è anche un campo di aspra e ravvicinata
battaglia politica, soprattutto dopo l’avvento della presidenza
Bush, che sta facendo fare agli Stati Uniti una rapida retromarcia
dagli impegni presi con lo smantellamento unilaterale dei principali
trattati internazionali.
Vanno ricondotte sotto la sovranità dell’Onu la risoluzione dei
conflitti internazionali e le operazioni di “mantenimento della
pace”.
Non è accettabile che al bipolarismo della guerra fredda,
fortunatamente finito da tempo, si sostituisca l’unilateralismo
degli Usa. In questo contesto particolare impegno va dedicato all’azione
per impedire che il governo Berlusconi sostenga l’iniziativa dell’attuale
amministrazione statunitense, fortemente contestata dal partito
democratico di quel paese, per il riarmo all’insegna dello scudo
antimissile.
Per una Costituzione democratica europea
E’ per noi strategica la scelta di una Europa politica e
democratica, a partire dalla Carta dei diritti, dal confronto
serrato sulla riforma delle istituzioni dell’Unione, da un
processo costituente vero e legittimato democraticamente.
Questa scelta deve essere aperta ad Est e all’area del
Mediterraneo. Essa impone uno sviluppo di diritti sociali comuni e
sfida le forze del socialismo europeo a fuoriuscire dai confini
nazionali e ad affrontare con coraggio i problemi di una
democratizzazione della globalizzazione.
Dopo la realizzazione del mercato interno, della moneta unica, è
indispensabile il passaggio verso un governo politico ed economico
dell’Europa. Altrimenti, l’avvenire dei Paesi dell’Unione
sarà affidato solo a logiche monetaristiche, al potere esclusivo
dei banchieri centrali e dei controllori del patto di stabilità.
A tal fine occorre andare oltre i risultati, per più versi
deludenti, del vertice di Nizza. In vista dell’appuntamento del
2004, occorre battersi per una Costituzione europea, democratica e
su basi federali, che assuma a suo fondamento la Carta dei diritti e
l’”anima sociale” del modello europeo.
9. Un riformismo forte: un’altra modernizzazione
La nostra idea di modernizzazione incorpora strutturalmente istanze
di libertà, eguaglianza e solidarietà
La modernità è il “campo di problemi” con i quali noi, donne e
uomini contemporanei, interroghiamo la realtà e la rendiamo
intellegibile, non il sistema delle risposte e delle soluzioni già
date. La modernità è intrinsecamente portatrice di tensioni,
contraddizioni, conflitti.
Per questo qualificare la modernità e specificare le diverse
ipotesi di modernizzazione è il primo imperativo da assumere per l’esercizio
di quell’autonomia culturale che è la base essenziale dell’autonomia
politica.
Libertà, eguaglianza e solidarietà sono valori interdipendenti.
La sinistra ha un’idea di libertà assai più ricca di quella
della destra, non limitata alla pura e semplice facoltà di
scegliere nel mercato, un’idea di “libertà” al plurale che la
porta a vedere gli ostacoli da rimuovere tramite l’azione
collettiva. La libertà va intesa non solo come requisito
individuale ma come impegno sociale.
La pluralità delle “libertà” si riflette nella pluralità
delle “eguaglianze”. La parola eguaglianza - da troppi lasciata
cadere in disuso o nell’oblio - deve animare il riformismo forte
della sinistra, non come piatto egualitarismo, ma come molteplicità
delle dimensioni dell’eguaglianza da mettere in gioco: condizione
ambientale, lavoro, sesso, età, etnia etc.
Oggi più di ieri la sinistra può e deve caratterizzarsi per la
scelta di far convivere questi valori. Per questo è essenziale
indicare le diseguaglianze da combattere e le diversità da
tutelare.
La destra contrappone l’individuo allo Stato, l’economia all’ambiente
e l’iniziativa privata alla garanzia pubblica perché sostiene che
l’intervento dello Stato è sempre e comunque negativo per il
benessere collettivo. La destra ripropone l’esistenza di una
irrimediabile incompatibilità tra sviluppo economico e sviluppo
sociale, secondo la quale all’origine delle difficoltà di molti
Paesi (specie europei) a generare occupazione e crescita, vi sarebbe
proprio l’intenso sviluppo sociale consentito dal Welfare state.
La ricetta economica e sociale che ne discende è brutale: per avere
più crescita occorre più diseguaglianza (e meno libertà), poiché
solo una maggiore diseguaglianza (con minore libertà) è in grado
di imprimere dinamismo alla società.
Per la sinistra la sfida maggiore è proprio questa. Smentire l’ipotesi
della “incompatibilità”. Non limitarsi a parlare di una
modernizzazione che “si concili” con le esigenze della
solidarietà e della coesione sociale, come se la sfera economica
producesse inevitabilmente disparità da risarcire per i più
sfortunati. E’ necessario, viceversa, identificare e perseguire
ipotesi di modernizzazione che incorporino strutturalmente istanze
di equità, di qualità dello sviluppo, di qualità ambientale, di
qualità sociale.
Per questo la sinistra deve tornare a discutere apertamente dei
fondamenti di legittimità democratica della tassazione, respingendo
l’ideologia conservatrice, che considera la tassazione come cosa
intrinsecamente negativa e dunque priva di legittimità, con ciò
cancellando anche la lezione liberale per cui le tasse sono il “premium
libertatis” e l’altra faccia del costo dei diritti.
Bisogna contrastare, senza alcuna riserva, i tentativi della destra
di colpire il nostro sistema sociale, a partire da quello
previdenziale e rafforzare, invece, il modello sociale europeo che
coniuga maggiore efficienza, nuovi diritti ed equità sociale
Fondamentale è sviluppare “sistemi di welfare” che garantiscano
i diritti alla salute, all’istruzione, alla previdenza, su base
universalistica e al tempo stesso personalizzata.
Lo Stato sociale non è un freno allo sviluppo ma un fattore di
crescita del sistema. I processi di globalizzazione producono,
accanto a potenzialità di crescita, nuove diseguaglianze e nuove
insicurezze. La riforma del Welfare serve a dare risposte in termini
di equità sociale e di nuove garanzie, non già di tagli di
prestazioni e di diritti.
L’adeguamento del nostro Stato sociale, quindi, non richiede
affatto la revisione del suo modello strutturale (che è simile a
quello prevalente nell’Europa continentale), per sostituirlo con l’adozione
di meccanismi privatistici e di mercato. Spetta alle istituzioni
pubbliche, organizzate con democrazia, trasparenza e rigore
finanziario, tutelare in modo sempre più esteso ed efficace i
diritti sociali dei cittadini. E’ questa la sostanza del “modello
sociale europeo”.
Bisogna pertanto contrastare, senza alcuna riserva, i tentativi
della destra di colpire il nostro sistema sociale, a partire da
quello previdenziale. Le inadeguatezze del sistema pensionistico
italiano non riguardano infatti i suoi pretesi costi eccessivi, che
sono stati eliminati dalla riforma del centrosinistra. I problemi
aperti riguardano la necessità di assicurare il futuro dei giovani
impegnati nei nuovi lavori e di aumentare le pensioni più basse.
Gravissimo è l’attacco al mondo della cooperazione
Un altro tentativo della destra riguarda il mondo della
cooperazione, che vuole colpire attraverso misure fiscali inique,
rimettendo in discussione valori storici di mutualismo e di
solidarietà che hanno fatto della cooperazione uno dei settori
trainanti dell’economia e della società italiana.
Obiettivo fondamentale della sinistra è la giustizia sociale, cioè
prima di tutto un’equa redistribuzione della ricchezza. Ciò vuol
dire combattere vecchie e nuove povertà, invertire, a partire dai
salari dei lavoratori, la tendenza all’aumento del divario dei
redditi da lavoro rispetto ad altre forme di guadagno.
La rivoluzione informatica crea nuove opportunità per tutti. L’ineguale
distribuzione dell’informazione, su scala planetaria e all’interno
delle stesse società industriali avanzate, determina pertanto nuove
stratificazioni sociali, quello che è chiamato “digital divide”.
Il nuovo “Welfare della conoscenza e della comunicazione”
diventa segno distintivo della sinistra del nuovo millennio.
Nessuna incertezza si può avere da parte nostra nel perseguire l’obiettivo
di una società multietnica. La cultura dell’accoglienza, dell’integrazione,
dei diritti - nel quadro delle politiche di regolazione dei flussi
migratori avviate positivamente dal centrosinistra - è un’idea di
società più aperta e più sicura.
Il diritto alla sicurezza e alla giustizia, in una società più
democratica, ha bisogno di una continua iniziativa affinché la
legge davvero sia eguale per tutti. La destra vuole affermare
logiche da forti con i deboli e deboli con i forti, e persegue l’idea
di una area di impunità - dal falso in bilancio alle prescrizioni -
dei privilegiati. Noi contrapponiamo l’idea di una vera cultura
dei diritti e della legalità: da un lato una grande severità nella
lotta ad ogni criminalità, alla mafia e alla corruzione, dall’altro
garanzie più forti per tutti i cittadini, a partire dai più
deboli. A tal fine difendiamo in modo intransigente l’indipendenza
della magistratura.
10. Tornare a vincere: la sinistra e l’Ulivo
Essere un partito del socialismo europeo comporta scelte coerenti
sul modo di essere, sul progetto, sulle alleanze
L’identità del nostro partito come forza del socialismo richiede
che sia abbandonata l’idea di un partito permanentemente precario
e transitorio. Va messo un punto fermo. Esiste ed esisterà, in
Italia come in Europa, una funzione storica permanente per un
partito di sinistra di ispirazione socialista.
La nostra collocazione nel socialismo europeo è una scelta
pienamente acquisita. Ma non può restare uno slogan, comporta
scelte coerenti sul modo di essere del partito, sul suo progetto,
sul suo programma, sulle sue politiche.
L’essere forza del socialismo europeo significa non rimuovere le
radici nazionali e la memoria storica dei socialismi italiani, dei
partiti politici che li hanno rappresentati, del movimento operaio,
le cui storie abbiamo giustamente rivisitato in maniera critica.
Queste tradizioni, assieme alle culture critiche di ispirazione
riformista e libertaria, cristiano-sociali e, più di recente, alle
culture femministe, ambientaliste, pacifiste, hanno costituito e
costituiscono tuttora uno strumento di emancipazione, progresso e
avanzamento democratico dell’Italia.
Alle forze di sinistra che fanno parte dell’Ulivo (Sdi, Pdci,
verdi) proponiamo, come primo realistico passaggio, una federazione,
come sede nella quale verificare la possibilità di un ulteriore
terreno comune.
La sinistra non vive solo nei partiti politici. E’ un campo di
forze nel quale si collocano culture, movimenti, associazioni
economiche e della società civile, sindacato. Il valore delle
autonomie, della autonomia dei soggetti non è in discussione. Ma la
qualità in un regime politico bipolare va ripensato. Cambia
inevitabilmente le relazioni tra partito e sindacato. In un quadro
più aderente a quello del socialismo europeo, di più accentuata
alternatività politica e sociale.
Non può che essere l’Ulivo la scelta strategica ma è una scelta
a cui va accompagnata l’individuazione di regole chiare e
democratiche per fare vivere l’Ulivo
La scelta strategica per governare l’Italia è l’alleanza dell’Ulivo.
I fatti dimostrano tanto che non si tratta di una provvisoria
alleanza elettorale, quanto che non può trasformarsi in un partito
unico. Coesistono identità distinte, tutte vitali e necessarie.
L’Ulivo, per rappresentare un punto di riferimento unitario e
strategico, deve crescere e radicarsi nel confronto tra le diverse
culture ed espressioni politiche che lo animano.
Con la Margherita, che ha avuto un buon successo elettorale,
intendiamo rafforzare e intensificare rapporti di collaborazione.
Nessuno riassume da solo l’Ulivo, la casa comune dei riformisti.
Occorre rilanciarlo e dargli una struttura forte e democratica:
accordi federativi tra i gruppi parlamentari, comuni portavoce
tematici, apertura ai cittadini dei comitati dell’Ulivo nei
collegi. L’Ulivo deve essere dunque un comune progetto tra
soggetti politici diversi fondato sulla più ampia partecipazione
dei suoi sostenitori. Per svilupparlo occorrono procedure
democratiche, chiare e condivise per la scelta del candidato
premier, dei programmi, degli organismi di direzione.
Ma dev’essere altresì chiaro che, senza la sinistra, l’Ulivo
perde la sua vocazione maggioritaria. Che di una sinistra forte ed
autonoma hanno bisogno l’Italia e la sua democrazia.
Compito dell’Ulivo è puntare a costruire un centrosinistra che
comprenda tutte le forze che si oppongono a Berlusconi
L’Ulivo deve allargare le sue alleanze e puntare a costruire un
centro-sinistra che comprenda tutte le forze che si oppongono a
Berlusconi. Ci rivolgiamo in particolare all’Italia dei valori,
che ha raccolto consensi di cittadini attenti a temi della legalità
e della questione morale. Ma soprattutto a Rifondazione comunista.
Verso questo partito, che ha subito anch’esso un duro colpo
elettorale, intendiamo assumere una iniziativa politica sui
contenuti, per condurre insieme la battaglia di opposizione alla
destra. E’ questa la via per verificare la possibilità di una
comune prospettiva di governo.
La vittoria di stretta misura del centrodestra ha portato al varo di
un Governo, non ineluttabilmente all’apertura di un ciclo. Il
rischio c’è. Per questo la sinistra, l’Ulivo, tutto il
centro-sinistra hanno il dovere di lanciare ora la sfida, di
lavorare ad un progetto per l’Italia. Ad una alternativa politica
e sociale, ad una idea diversa di modernità e civiltà.
11. Per tornare a vincere: la sinistra e le donne
C’è un divario tra quanto le donne danno e quanto esse ricevono
dall’organizzazione sociale e dalla politica
Chi ha a cuore un mondo più libero deve molto alle donne che hanno
cominciato a cambiar faccia a questo mondo. Una trasformazione così
profonda la sinistra ha faticato e fatica a riconoscerla.
E’ ora, anche qui, di cambiare rotta. “Il potere femminile - si
legge nel documento promosso da molte compagne - non è solo
questione di rappresentanza. C’è un divario tra quanto le donne
danno e quanto esse ricevono dall’organizzazione sociale e dalla
politica”.
Una sinistra viva, che reagisce ai propri errori e alla sconfitta,
è una sinistra che sa cambiare anzitutto le proprie politiche
sociali e dello sviluppo. Bene abbiamo fatto a raccogliere la sfida
del tempo di lavoro che si mangia il tempo di vita, che è
soprattutto delle donne. Oggi, dopo la legge sui congedi parentali,
occorre di più. Il tema degli orari va completamente rivisto. La
socializzazione del lavoro di cura va rilanciata con straordinario
impegno culturale e finanziario. La politica fiscale va ripensata
perché il criterio del reddito familiare non diventi il coperchio
di troppe rinunce femminili a un lavoro legale e riconosciuto. L’estensione
dei diritti ai nuovi lavori e il contrasto al “lavoro usa e getta”
vanno praticati per parlare alle ragazze. Il riconoscimento
retributivo e professionale del lavoro femminile va promosso con
più decisione.
Cambiare la politica: più donne nelle istituzioni e negli organismi
dirigenti per dare forza ai Ds
Ma il cambiamento chiesto dalle donne non è solo sociale. E’
politico.
Se la modalità prevalente nei nuovi movimenti è quella non
gerarchica inventata dalle donne; se l’insofferenza per una
politica legata più al destino dei leader che ai progetti è
anzitutto femminile; se l’indignazione per la smaccata
disuguaglianza e il gusto dello spreco spesso muovono prima le
coscienze delle donne e dei giovani, allora non si scappa. E’ la
politica che bisogna cambiare, le sue priorità, il suo modo d’essere.
Dando alle donne lo spazio che le donne chiedono, ma cambiando anche
la logica che governa la vita politica e di un partito di sinistra.
Vogliamo che molte più donne trovino nel nostro partito una casa
accogliente, un luogo in cui far valere i propri interessi e i
propri bisogni. L’adesione e la partecipazione delle donne ai
Democratici di sinistra è vitale per il loro futuro. Deve finire il
paternalismo. Più donne nelle istituzioni, nel partito e nei suoi
organismi dirigenti sono una condizione e un obiettivo ambizioso da
perseguire anche con le proposte indicate nella Carta di intenti
delle donne del nostro partito.
Per esempio la direzione politica va interpretata a tutti i livelli
in modo bilanciato, così come vanno rispettate le leggi dello Stato
e il nostro stesso Statuto per l’uso del 5% dei finanziamenti
della politica per l’accesso delle donne. Tali obiettivi vanno
perseguiti guardando, tra l’altro, alle esperienze della Francia e
di altri Paesi europei.
Da noi ci si aspetta che difendiamo la legge 194 da una destra
reazionaria. Non possiamo in nessun caso accettare sacrifici della
nostra posizione sull’autodeterminazione femminile.
12. Tornare a vincere: il partito dei noi, non dell’io
Contro la personalizzazione della politica, per un partito
organizzato nel Paese, democratico, aperto alla società
La tendenza alla personalizzazione della politica è un connotato
delle moderne democrazie e del rapporto tra mass media e politica
(che non va subìto o assunto come valore). Da ciò non deriva che
decisioni del massimo rilievo siano assunte in modo non trasparente
e al di fuori di ogni confronto nelle sedi democratiche, come in
questi anni è accaduto. Una corretta e democratica gestione
collegiale del partito è il solo antidoto efficace, teso a far sì
che la domanda di rapidità nelle scelte e di efficacia comunicativa
non si traduca nel personalismo e nella solitudine del potere.
Nell’insieme del partito, a tutti i livelli, ha continuato a
prevalere una sottovalutazione delle esigenze di cura e di
rinnovamento del partito, forse per la convinzione che per
accrescere i consensi della sinistra non servisse l’organizzazione
ma bastassero la manovra politica e l’uso sapiente delle leve del
potere.
In questi ultimi anni la sinistra ha governato pressoché tutto, dai
livelli locali a quelli nazionali, dando prova di onestà, di
competenza, di efficienza. Abbiamo riversato sulle esperienze
amministrative e di governo non solo migliaia di quadri ma
soprattutto la grande maggioranza delle nostre energie intellettuali
e politiche.
Ma il nostro rapporto con la società si è affievolito. Da partito
di governo, quale siamo e vogliamo essere, siamo divenuti agli occhi
di molti, un partito di potere distante, supponente, votato alla
propria autoconservazione.
Per tornare a vincere, è necessario ridare al partito sedi di
decisione più democratiche e collegiali e agli iscritti maggiore
centralità e occasioni di partecipazione
Si risale la china se si parte da qui: restituire agli iscritti il
potere di partecipare, decidere, verificare linea e modo di fare del
partito, di selezionare candidature in modo democratico e di
promuovere gruppi dirigenti rinnovati e aperti alla società, la cui
agenda non sia fatta solo di elezioni e impegni istituzionali.
Serve un partito federale, che rompa ogni gabbia centralistica al
suo interno.
Un partito di donne e di uomini ogni giorno e non solo quando lo
Statuto lo ricorda a un gruppo dirigente insensibile.
Un partito come momento associativo e aperto per tanti giovani che
vogliono crescere insieme ai valori della sinistra.
Un partito che tiene un forte collegamento con i cittadini e i
lavoratori italiani all’estero.
Un partito che raccolga il pluralismo sociale e culturale della
sinistra italiana: di quella storica e di quelle ispirate alla
libertà femminile, all’ambientalismo, ai valori del cristianesimo
sociale, dei diritti civili e democratici.
Un partito pluralista, dove non c’è un centro democratico con le
ali dissidenti, ma si è tutti “partito”, senza correntismo
esasperato.
Un partito in cui si conti non per la fedeltà a un capo ma per le
capacità, il consenso e il prestigio politico e personale.
Vanno rivisti i meccanismi di selezione delle candidature, di scelta
delle rappresentanze e di elezione del segretario
Vanno, per tutte queste ragioni, profondamente ripensati e riformati
i meccanismi di selezione delle candidature, di scelta delle
rappresentanze nelle istituzioni, di elezione del segretario.
Riteniamo in particolare sbagliata, alla luce dell’esperienza, l’elezione
diretta del segretario, che è cosa diversa dall’assunzione anche
personale della responsabilità di una linea politica e
programmatica da parte del gruppo dirigente. Per questo chiederemo
al Congresso una modifica dello Statuto.
Vogliamo più diritti e più poteri degli iscritti, più rapporti
con gli elettori, più democrazia e più verifiche sull’operato
dei dirigenti.
Vogliamo più partecipazione.
Vogliamo sentire più il noi che non l’io.
Per tornare a vincere.
Sullo stesso argomento
10 Settembre 2001: I FIRMATARI
7 Agosto 2001: PER ADERIRE ALLA MOZIONE
6 Agosto 2001: MATERIALI ALLEGATI PER LA DISCUSSIONE
18 Settembre 2001: DS: Domani Berlinguer a Roma, Morando a Torino e
Fassino a Pozzuoli.
Link utili
MOZIONE MORANDO: "Per salvare i Ds, consolidare l'Ulivo e
costruire un nuovo, unitario partito del riformismo socialista"
MOZIONE FASSINO:'La sinistra cambia per governare il futuro. Con
l'Italia . Nell'Ulivo.'
CONGRESSO DSContributi congressuali
Mozione Berlinguer:
"Per tornare a vincere"
Mozione Fassino:
"La sinistra cambia
per governare il futuro.
Con l'Italia. Nell'Ulivo."
Mozione Morando:
"Per salvare i Ds,
consolidare l'Ulivo e costruire un nuovo, unitario partito del
riformismo socialista"
I documenti congressuali
SPECIALE FESTE DE L'UNITA'
Le dirette dalla festa
"Intervento di chiusura di Massimo D'Alema alla Festa de
l'Unità Nazionale"
"Intervento di Pino Soriero alla conclusione della Festa di
Reggio Emilia - 23 settembre"
Speciale festa de l'unità: nazionali a tema, provinciali e comunali
CAMPAGNA D'ASCOLTO"Il dibattito? Meglio in piazza
che da Vespa."
Intervista a Pino Soriero Responsabile Comunicazione Politica Ds
Un primo bilancio di Pino Soriero, in audio video, dalle ore 18:00
dell'8/8/01. SPECIALE DIREZIONI DS
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