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Segnalazione/Essere o non essere globali?



Paola Casella




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La mappa del pensiero no-global
Segnalazione/Essere o non essere globali?


Giovedì 12 luglio, all'Isola Tiberina di Roma, sono stati proiettati otto cortometraggi d'autore concepiti ad hoc come risposta alla domanda, formulata dai Cahiers du cinema: la globalizzazione è una minaccia per la creatività nazionale? Fra gli autori, registi celebri come Amos Gitai, Arturo Ripstein e Marc Recha. La minirassegna, già visionata al festival di Cannes, fa parte, come tutta la programmazione all'Isola Tiberina, delle manifestazioni dell'Estate Romana, sponsorizzata dal comune dell'Urbe.

"Nessuno è contro la globalizzazione", ha esordito il giornalista Curzio Maltese, presentatore della serata insieme al regista Gianluca Maria Tavarelli. "Sarebbe come dire essere contro la primavera, perchè la globalizzazione è un fenomeno che non può essere fermato. Ma si può contrastarlo tenendosi strette le proprie identità nazionali". "Le cinematografie locali rischiano di sparire", osserva Tavarelli, "e vale anche per quella italiana. Ma non bisogna dimenticare che i film che hanno successo nel mondo restano quelli legati alle proprie radici culturali, mentre quelli che tentano di essere americani, magari semplicemente usando la lingua inglese e un cast internazionale, raramente funzionano".

A illustrare il concetto, gli otto corti, alcuni più, altri meno riusciti: triste e "telefonato" il segmento di Amos Gitai, che pure parte da una premessa interessante: "Per capire quanto la globalizzazione sia tentacolare, basta aprire il proprio frigorifero e leggere le etichette sulle confezioni degli alimenti". E procede a descrivere quella di un succo di pompelmo ("il frutto più controllabile del pianeta") prodotto, confezionato e distribuito in tre paesi (e due continenti) diversi.

Tentacolare è anche l'aggettivo che meglio si adatta a un corto tedesco (ma narrato in inglese oxfordiano, in nome della globalizzazione) girato in un acquario - l'alternativa ai multiplex, secondo la voce narrante - dove si mostra come, in natura, esistano già le storie più complesse e passionali, prima fra tutte quella autoerotica fra un polipo e se stesso.

Straniante e divertentissimo il corto di Arturo Ripstein imperniato su un arrotino italiano, a metà fra la denuncia della scomparsa dell'artigianato locale e il cinismo della legge di mercato. Spiritosa l'intervista dell'egiziano Yousry Nasrallah ad un attore che non trova lavoro perché troppo "etnico" - globalizzazione non significa necessariamente multiculturalità, ma più spesso omologazione allo standard del più forte.

Geniale, infine, il brevissimo segmento di Lou Ye, che mostra la faccia disperata e immobile di un orientale, all'interno di un’inquadratura bella come un quadro, lentamente penetrata da una telecamera che intrude nella sua intimità, e da un microfono che, fra qualche istante, chiederà parole al suo dolore.


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