Il gusto della libertà e dell’avventura
Giulio Giorello
Il
pluralismo delle visioni del mondo
Il gusto della libertà e dell’avventura
I diversi copioni del futuro
Le regole condivise scavalcano tutte
le barriere
La mappa del pensiero no-global
Segnalazione/Essere o non essere
globali?
Questo articolo è apparso sul numero di giugno-luglio 2001 di "Spoletoscienza
Magazine" in occasione del convegno "La nuova Odissea"
in corso a Spoleto dal 4 luglio e che si concluderà domenica 15. Le
registrazioni delle conferenze al convegno saranno disponibili al sito
della Fondazione Sigma
Tau dal 19 luglio.
Sul finire del Dialogo quinto della Cena de le Ceneri (1584)
l’umanista Prudenzio si chiede desolato (in latino): “avremo sempre
e incessante-mente bisogno di nuove teorie?”. Gli risponde Teofilo,
l’alter ego di Giordano Bruno, (in volgare): “non dubitate, Prudenzio,
per che del bon vecchio non vi si guastarà nulla”.
È la tipica dinamica del progresso tecnico- scientifico: innovazione
e conservazione, nuovi e audaci “modelli” dei processi studiati
o riprodotti tecnologicamente, innestati però su un corpo di conoscenze
che costituisce un patrimonio per l’intera umanità (il “bon vecchio”
di cui parlava a suo tempo Bruno). Ma non si tratta di qualcosa
di completamente indolore: l’innovazione scientifico-tecnica comporta
mutamenti, spesso drastici, delle nostre abitudini intellettuali
e di vita. Ai tempi di Bruno (e poi di Galileo, e ancora di Newton)
era l’astronomia a turbare le coscienze. Poi è toccato alla teoria
dell’evoluzione (Darwin) e alla psicoanalisi (Freud).
Le rivoluzioni della fisica del secolo che si è appena
chiuso - relatività e quanti - hanno certo colpito l’immaginazione,
ma solo per la loro potenza teorica. È stato unicamente dopo il
1945 che il mondo ha percepito che la fisica aveva perso la sua
“innocenza”. La vicenda del nucleare (da Hiroshima a Chernobyl)
è stata appena archiviata, e un nuovo “spettro” si aggira nei discorsi
di tutti i Prudenzio di oggi: quello delle biotecnologie. Basti
pensare alle paure e alle censure che immediatamente evoca la parola
clonazione!
L’ultimo fronte degli “apocalittici” più raffinati è quello delle
tecnologie dell’informazione. L’urbanista e filosofo Paul Virilio,
poco tempo fa (La bomba informatica, tr. it. Raffaello Cortina,
Milano 2000), ha lanciato l’allarme: il vecchio Homo sapiens sarà
reso obsoleto dal perverso congiungimento di biotecnologie e tecnologie
dell’informazione. L’elenco delle paure e censure potrebbe continuare.
È almeno dai tempi antichi, ma in modo più netto da
quando (1638) Galileo Galilei invitava i signori filosofi a lasciare
i tomi di Aristotele per gettare un’occhiata all’“arsenal de’ Veneziani”
(cioè una grande fabbrica dell’epoca) che il pensiero scientifico
suscita sospetto e inquietudine. Qualcuno ha scritto che la scienza
non pensa. In realtà, si teme la scienza proprio perché pensa, e
frutto del suo pensiero non è soltanto questo o quel sistema di
idee, bensì un dispositivo pratico che modifica le condizioni della
nostra esistenza.
La tecnologia è pensiero scientifico fattosi cosa, e la biotecnologia
è pensiero scientifico fattosi carne. Ovviamente, i Prudenzio di
oggi non hanno tutti i torti. Ma dobbiamo per questo concludere
che un ineliminabile filo rosso collega il primo aratro ad Auschwitz
o la prima birra fermentata alla pecora Dolly (o magari alla clonazione
umana)? Chi fa così dimentica che la stessa creatività scientifica
e l’assunzione morale di responsabilità sono in grado di riappropriarsi
di quelle “idee” che sono diventate “cose” o “carne”.
Con ciò stesso si riscopre che la crescita scientifica consiste
nel moltiplicarsi delle sfide che vengono poste alla cultura degli
esseri umani. Non saperle raccogliere e rifugiarsi nell’apologia
dell’esistente o nella sdegnata condanna significa imboccare il
vicolo cieco destinato a riportarci a livelli di precedenti barbarie.
Aveva ragione negli anni Venti del secolo che si è appena concluso
il poeta Ezra Pound quando, di fronte al rifiuto di non pochi intellettuali
di qualsiasi prodotto della tecnologia, rispondeva che era comunque
meglio l’universo delle macchine al mondo retto dagli dei del sangue.
D’altra parte, è impossibile tracciare oggi una
qualsiasi predizione su quello che sarà lo sviluppo futuro di scienza
e tecnica. Ma questo non sapere è tutt’uno con il gusto della
libertà e dell’avventura. Se una congettura, però, mi è lecito
formulare è quella che va nello stesso senso delle pagine finali del
bel volume di John Maddox (Che cosa resta da scoprire, Garzanti,
Milano 2000): nemmeno i libri del vecchio Aristotele sono poi così
tanto da disprezzare, poiché essi già contenevano l’indicazione
della sfida maggiore, come può il soggetto conoscente comprendere un
“cosmo” di cui egli stesso fa parte.
Oggi questa domanda attraversa i settori più disparati, dalla logica
alla fisica, dalla biologia alle scienze cognitive. Potrà mai la
mente umana, sviluppatasi se vogliamo in modo abnorme per far fronte a
sfide ambientali e a esigenze evolutive, riuscire a comprendere anche
se stessa? Ha ragione il biofisico Edoardo Boncinelli quando dice che
questa è forse la “follia delle follie”. Ma un pizzico di follia
rende senza dubbio più varia ed eccitante un’“esistenza
tecnologica”.
Giulio Giorello (Milano, 1945) è professore ordinario di Filosofia
della scienza alla Università degli studi di Milano. Collabora al “Corriere
della Sera” con articoli di argo-mento filosofico e scientifico. E’
autore di Lo spettro e il liberti-no. Teologia, matematica e libe-ro
pensiero (Milano 1985), Le ragioni della scienza (con Ludovico
Geymonat, Roma-Bari 1986), Filosofia della scienza (Milano 1992), La
filosofia della scienza nel XX secolo (con Donald Gillies, Roma-Bari
1995). Dirige attualmente la collana “Scienza e idee”, edita da
Raffaello Cortina, in cui sono apparse opere di Derrida, Gadamer,
Morin, Baudrillard, Merleau-Ponty.
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