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Atipici, autonomi, (in)formati



Paolo Martini



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Sembrano appagati di essere lavoratori "para-autonomi", quando lo sono, e sono poco attratti dal sindacato. Così almeno la stampa tende a leggere il ritratto dei lavoratori della net economy che periodiche indagini hanno tracciato negli ultimi mesi. Una delle ultime ricerche in ordine di tempo è quella della società Demetra, scelta da Rassegna Sindacale per il suo numero speciale, in coincidenza con il Primo maggio . Il direttore della rivista della Cgil Enrico Galantini ha ricordato che si tratta di una tradizione consolidata, ormai: il serioso settimanale del mondo del lavoro, con una grafica e dei contenuti austeri, una volta all’anno si apre alle nuove realtà lavorative e presenta un numero monografico dedicato ai "giovani". Quest'anno il numero sembrava quasi una delle riviste della nuova economia, i colori e il formato, per dire, di un numero di Business 2.0.

Solo leggendolo si torna alla tradizione: intervista al segretario della Cgil, Sergio Cofferati. Titolo: "rappresentarli è una sfida". Tema: come convincere i lavoratori della new economy che le tutele dei lavoratori dipendenti non sono troppe, come farli appassionare al tema della rappresentanza, come convincerli della bontà della contrattazione collettiva.

L'indagine del gruppo di sociologi di Demetra era focalizzata su un campione di poco più di mille giovani (dai 19 ai 40 anni). Un campione - hanno precisato i curatori Tiziano Davanzo e Anna Basalisco - che si è autoselezionato: Demetra ha aperto le Pagine Gialle, ha individuato le aziende, ha inviato loro una lettera in cui chiedeva ai titolari di indicare i lavoratori "con elevate competenze tecnico scientifiche" che rientrassero in quell’intervallo di età. E così si sono "autoscelte" aziende legate all'informatica, ai servizi telematici e ai siti Internet. E poi quelle con attività legate all'ecologia, alla metalmeccanica, alla grafica, e poi la medicina, la chimica, la farmaceutica. Non solo giovani dai settori "new", quindi, ma anche lavoratori, con "elevate competenze tecnico scientifiche", in settori di economia tradizionale.

Il rapporto - avvertono i curatori - potrebbe sovrastimare la percentuale di lavoratori autonomi, visto che il 54 per cento delle aziende dell'indagine non supera i 5 dipendenti, il 24 per cento rientra nella categoria di quelle "fino a due addetti", e solo il 26 per cento ha più di dieci addetti. Questo significa che in molti casi il lavoratore "con elevate competenze" è anche il titolare dell'azienda, che ha risposto nella sua duplice veste alle questioni poste dalla ricerca.

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I punti toccati dal rapporto di Demetra ricalcano il senso di una ricerca praticamente identica condotta dalla stessa società in Veneto, lo scorso anno. In quel caso il campione era ovviamente più ristretto(154 gli intervistati), ma l'esito tracciava alcune linee di fondo che devono aver sollecitato il sindacato a cercare di saperne di più su alcune questioni di fondo: radiografia di un mondo ancora poco conosciuto, indagine sui bisogni di formazione, di rappresentanza, di tutela.

Il primo dato interessante della ricerca sul Veneto riguardava l’incidenza di rapporti atipici nel totale della popolazione esaminata: il 33% dei lavoratori aveva un rapporto di lavoro non tradizionale, poco meno del dato nazionale ISTAT, che era del 37% nel 2000. Atipici in attesa del posto fisso? No: di questo universo solo un terzo avrebbe preferito un lavoro dipendente a tempo indeterminato. Gli altri due terzi rispondevano che avrebbero preferito mantenere la propria autonomia. Scomponendo questo dato, poi, si evidenziava che quelli che più di tutti avrebbero voluto il lavoro dipendente tradizionale erano soprattutto i dipendenti a termine e i collaboratori senza partita IVA.

Questa stessa tendenza - non aspirare al posto fisso - è stata confermata dalla indagine svolta su tutto il territorio nazionale, che costituisce l’ossatura del numero speciale di Rassegna Sindacale per il primo maggio: nel 27% dei casi gli intervistati con di lavoro rapporti atipici manifestano l'intenzione di passare ad un rapporto subordinato di tipo tradizionale, mentre nessuno o poco interesse ha questa opzione per il restante 73%. A volere il posto fisso sono soprattutto lavoratori dipendenti con contratto a termine.

D'altro canto è decisamente inconsueta la quota di lavoratori dipendenti interessati al lavoro autonomo: il 49%. Anche in questo caso il dato va letto con attenzione: il passaggio al lavoro autonomo è molto ben accolto nei settori dei servizi telematici e multimediali, o nelle telecomunicazioni, dai maschi e dai lavoratori più giovani, cioè i più "forti" in termini contrattuali. Un dato addirittura superiore alla percentuale registrata dalla ricerca condotta lo scorso anno in Veneto. In quel caso il 38% dei lavoratori dipendenti manifestava l'intenzione di passare a un regime di gestione autonoma. Meno interessate rispetto ai maschi sono le lavoratrici dipendenti. Tiziano Davanzo, illustrando i contenuti della ricerca, ha spiegato che il passaggio alla gestione autonoma appare loro come una "riduzione di tutele" che viene però compensata con la "ripresa di una capacità di crescita". Si perde sicurezza, si guadagna orizzonte.

Il terzo nodo affrontato dalla ricerca è quello della rappresentanza. L'indagine condotta in Veneto - mirata anche a verificare la disponibilità dei lavoratori della net economy a sostenere proposte di legge, come la Smuraglia, mirate a tutelare l'universo dei lavoratori atipici - affrontava una delle questioni cruciali: le tutele per i lavoratori tradizionali costituiscono un ostacolo all'acquisizione di tutela per i lavoratori autonomi? Solo il 24% degli intervistati veneti si diceva convinto della veridicità di tale affermazione. Ma la stessa domanda, estesa al campione nazionale, divide letteralmente a metà: il 50% degli intervistati si dice per nulla o poco d'accordo, il rimanente 50 si dichiara abbastanza o molto d'accordo.

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In questo caso pare ai curatori dello studio che anche lo squilibrio dovuto alla sovrastima di possessori di partita IVA non basti a spiegare i numeri. Lo dimostra il fatto che il 40% dei lavoratori dipendenti si dice d'accordo con l'affermazione che le loro tutele limitino quelle degli atipici. Nelle sue risposte a Rassegna Sindacale Sergio Cofferati ce la mette tutta per dire che questa idea viene da una "percezione errata", perché "i diritti dei lavoratori dipendenti non sono né alternativi né di ostacolo", e che il vero nemico è "la cultura del liberismo sfrenato". Ma "l'antagonismo degli interessi", come lo chiamano i ricercatori di Demetra, c'è. E rivela l'egemonia, nei rapporti di lavoro ad alta competenza, del modello del lavoro autonomo.

Questo non significa che i lavoratori oggetto della ricerca non chiedano garanzie: il 78% del campione vorrebbe maggiori tutele di base (malattia, maternità, e, in misura minore, sussidi per i periodi di inattività). Il fatto è che non interessa, o non viene vissuta come vicina, la realtà sindacale: solo un intervistato "para-autonomo" su cinque ritiene che le associazioni sindacali possano rappresentare le attese di tutela e di garanzia dei lavoratori, solo il 42% dei lavoratori dipendenti, solo il 28% delle donne. Il dato varia con l'anzianità professionale (il 35% dei lavoratori con meno di due anni di anzianità a fronte del 19% di quelli con oltre dieci anni, evidentemente meno ottimisti), mentre è sostanzialmente uniforme nella sua distribuzione geografica e in quella legata al titolo di studio.

Gran parte della ricerca verte sulle attese di formazione, soprattutto a livello istituzionale, e mostra con chiarezza la richiesta di formazione continua e dei cosiddetti "crediti formativi", una richiesta ampiamente condivisa dall'universo di lavoratori intervistati. Ma la debole fiducia dei giovani lavoratori ad elevata professionalità scientifico-tecnologica nei confronti della capacità o della volontà del sistema sindacale di corrispondere ai loro interessi è il vero problema che la ricerca pone.

La Cgil insiste sullo skill shortage, la carenza di figure professionali, il deficit di formazione e di competenze; i lavoratori dei servizi telematici, delle TLC, della grafica, scelgono l'autoaggiornamento, e - come molti di quelli che lavorano con i computer - si "formano da soli", dando per scontato che la scuola e la formazione istituzionale siano auspicabili ma inesistenti; la Cgil discute - anche dalle pagine di Rassegna Sindacale, nella sua versione austera - del ruolo di Nidil, il sindacato dei lavoratori atipici mai realmente decollato perché trasversale alle categorie e quindi non troppo amato dalle Federazioni di settore; nel frattempo i lavoratori mostrano di preferire la via individuale alla contrattazione, e faticano a ritrovarsi sia in un sindacato che rappresenta in blocco operatori di call center e gestori di Rete, archivisti digitali e Web surfer, come la Nidil, sia nelle vecchie Federazioni metalmeccaniche, chimiche o delle telecomunicazioni, che non conoscono il loro lavoro.

Infine il dato più incoraggiante della ricerca: l'avvio dell'attività lavorativa attraverso la vecchia rete di relazioni parentali o amicali è in deciso declino nell'ambito delle nuove professioni. Se è vero che ancora il 36% degli individui si inserisce nel mondo del lavoro attraverso le reti relazionali, spicca il 17% di coloro che hanno iniziato a lavorare dopo aver inviato un curriculum. "Oltre tre volte rispetto a quello che accade negli altri ambiti lavorativi", dice Anna Basalisco. E sono gli stessi imprenditori del settore - come Franco Patini, di Federcomin - a confermare il dato: "Gli uffici del lavoro non so nemmeno dove siano. Avere a che fare con un ufficio del lavoro per una azienda è un incubo".

E visto che nemmeno le agenzie di lavoro interinale danno risposte adeguate, perché "offrono tornitori, o fornai, o commessi, mentre a noi servono programmatori, tecnici, ingegneri", le aziende si sono abituate a formare direttamente in azienda giovani, anche in misura molto superiore alle necessità, per avere la certezza di non rimanere senza operatori ad alta competenza. "Perché dopo due anni se ne vanno altrove", dice Patini. "Il lavoratore net economy ha una percezione di sé molto marcata". E percepisce chiaramente - conclude la ricerca di Demetra - la lontananza degli strumenti tradizionali di rappresentanza nella intepretazione della sua realtà lavorativa. L'auspicio di Rassegna Sindacale in versione primo maggio è quello di new Trade Unions, per la new economy.

 

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