La fabbrica
dell'infelicità?
Francesco Roat
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Laccoppiata tecnologia informatica/new economy ha determinato uninnovazione
senza precedenti nellambito della produzione, il cui panorama planetario sembra
tuttavia svelare uninquietante bipartizione fra la maggioranza della popolazione
mondiale esclusa dal circuito virtualizzato delleconomia digitale (e di conseguenza
sempre più povera ed emarginata), e una minoranza elitaria che opera nei cicli ad
alta tecnologia attraverso un lavoro cognitivo gratificante e altamente remunerativo.
Daltra parte gli ideologi iperliberisti sostengono a spada tratta che -in
prospettiva - globalizzazione e libero mercato finiranno sempre più col promuovere una
generale prosperità estesa a tutti i popoli del pianeta. Ma allora la new economy
è la formula magica del benessere generalizzato o piuttosto La fabbrica
dellinfelicità, come stigmatizza il titolo del saggio di Franco Berardi -noto
come Bifo e teorico del movimento giovanile del 77- sul semiocapitalismo (Derive Approdi)
Credo ci sia ben poco da stare allegri, -a onta dei messaggi esaltanti di troppi
stereotipi pubblicitari intesi a sottolineare il bengodi consumistico- tra le allarmanti
oscillazioni (o cadute) borsistiche del Nasdaq, londata di licenziamenti negli Stati
Uniti di numerosi addetti a vario titolo nel settore hi-tech e linsorgere di nuove
patologie professionali causate dallincompatibilità dei ritmi lavorativi coi
bioritmi umani, di panico per un presente e un futuro allinsegna della precarietà o
comunque della competizione esasperata.

Bisogna però evitare i due opposti estremismi, suggerisce Berardi. Il primo -potremmo
chiamarlo di sinistra- che ritiene a priori nuovo mercato e innovazione tecnologica
forieri di mali o comunque potenzialmente pericolosi. Il secondo -diciamo di destra- prono
nel magnificare il neocapitalismo informatico globalizzante e competitivo come destino
evoluzionistico dellhomo oeconomicus: specie battagliera e vincente nella
lotta di tutti contro tutti. "Entrambe le posizioni - sottolinea BIFO con la sua
consueta veemenza - sono intellettualmente insoddisfacenti, moralmente ipocrite, e
politicamente paralizzanti".
Se da un lato, infatti, lequazione new economy/felicità è ardua da
dimostrare, dallaltro si può concordare senzaltro sul fatto che innovazioni
tecnologiche e globalizzazione costituiscono un processo irreversibile al quale non ci si
può opporre in maniera regressiva, sognando patetici ritorni a un passato e a un mondo
definitivamente tramontati. Il problema, semmai, è che la scienza non cessi di riflettere
sulle finalità che la muovono e che la tecnica "sottomessa alla logica del
profitto" non divenga "moltiplicatore di miseria".
Così, secondo Berardi è proprio lintelligenza collettiva del popolo della rete o
del cognitariato -come egli chiama linsieme di ricercatori, tecnici e
intellettuali coinvolti nella cosiddetta infoproduzione- a dover assumere consapevolezza
critica del loro operare e dei risvolti negativi della new economy, per cercare di
imprimere la giusta rotta alla globalizzazione, la quale deve essere indirizzata "dal
sapere eticamente motivato, e deve essere una potenza di tutte le donne e di tutti gli
uomini, non un potere per una minoranza": una dichiarazione dintenti non solo
di BIFO ma di buona parte del vasto movimento globale di protesta di Seattle.
Proposito lodevolissimo, forse un po utopistico e difficile da conseguire persino
rispetto allobiettivo del salario minimo planetario, ottenendo il quale si
potrebbero migliorare, almeno in parte, le condizioni di sfruttamento in cui versano molti
lavoratori del Terzo e Quarto Mondo.
Bisognerà far pressione sui governi di quei Paesi in cui le multinazionali ottengono
ingenti profitti grazie alla miseria con cui pagano i propri operai, auspica Berardi, non
rendendosi conto che questa è unazione politica di grande respiro, quando giusto
allinizio del suo saggio egli sostiene invece che: "Forse è della politica che
occorre propriamente sbarazzarsi", e alla fine del suo libro pontifica senza venir
sfiorato da dubbio alcuno che: "il capitale non è un passaggio storico superabile,
ma una modalità di semiotizzazione (sic!) definitivamente iscritta nel corredo
cognitivo dellumanità".
Invece forse solo attraverso un nuovo, maggiormente allargato e incisivo impegno politico
da parte di tutti, lavoratori cognitivi e non, sarà possibile muovere qualche passo sulla
via di una graduale diminuzione dello sfruttamento mondiale, dun più equo processo
redistributivo delle ricchezze, duna maggior protezione dei ceti più deboli e
svantaggiati.
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