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“Grazie a Dio sono Ateo”



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Questo articolo è apparso sul numero di marzo-aprile 2001 di Reset 

Il “come se” che Rusconi riprende da Bonhoeffer per il titolo del proprio libro ha anche un altro senso possibile, oltre a quello che suggerisce nella sua letteralità. Funziona - del resto doveva essere così per il teologo e pastore Bonhoeffer - come un periodo ipotetico dell’impossibilità. Propone di sospendere provvisoriamente una condizione che si sa di non dovere o potere mettere davvero da parte. Ma io ne sottolineerei soprattutto il significato storico-concreto, specificamente riferito alla situazione dell’Italia e, sia pure con minore cogenza, dell’Occidente tutto.

Nella questione del rapporto tra religione e democrazia - come forse sempre, per la nostra vita individuale, nelle scelte religiose - noi non cominciamo da zero, come se si trattasse di scrivere una costituzione (anche in casi come questo, del resto, si parte sempre da una qualche legislazione esistente, magari anche solo per liquidarla e sostituirla con un’altra..). Certo, nel reagire a una situazione nella quale ci troviamo per modificarla, facciamo riferimento a un progetto ideale che, tuttavia, ha un profondo e costitutivo rapporto con ciò che siamo e dunque con la situazione di partenza.

Questo osservazione mi sembra importante non solo per mitigare l’aspetto scandaloso (per le persone religiose) del titolo di Rusconi; ma soprattutto allo scopo di trovare quelle basi positive , di cui Rusconi giustamente si preoccupa, sulle quali edificare il rispetto collettivo delle regole democratiche. E’ proprio su questo punto che mi pare di dover dissentire dal modo in cui nel libro che stiamo discutendo viene impostato il rapporto tra religione e democrazia. Mi sembra fin troppo evidente che se Dio non ci fosse, per dirla molto in soldoni, non avremmo alcuna buona ragione per essere democratici.


Quando voglio esagerare e stupire formulo la cosa anche così: grazie a Dio sono ateo. Se Dio non ci fosse, ci troveremmo appunto nella condizione che preoccupa Rusconi e lo spinge per esempio a ricercare le radici di una “religione civile” riscoprendo quel valore estremamente dubbio che è il sentimento nazionale. Poiché, se non sbaglio, lui è il primo a conferire al sentimento nazionale il senso di un rispetto e attaccamento verso i nostri valori costituzionali - dunque anzitutto al regime democratico - il riferimento ad esso ritorna circolarmente al valore del rispetto per la democrazia e niente di più.

Ma, appunto, grazie a Dio sono ateo. Devo pensare alla politica “come se Dio non ci fosse”, consapevole che è proprio Dio che me lo comanda, non in base a una qualche convinzione razionale o scelta utilitaria (pro bono pacis: ma perché dovrei preferire la pace, se nella guerra fossi sicuro di avere vantaggi e sicurezza, per esempio per privilegi di classe?). Detto tutto meno astrattamente: la democrazia è un valore cristiano, nella tradizione occidentale, come cristiano è lo stesso termine “laico”, che indica lo stato del popolo di Dio, di coloro che in esso non sono preti. Ciò non esclude che una laicità come valore si sia determinata anche in tradizioni culturali e religiose diverse; ma di fatto noi predichiamo lo stato laico perché siamo eredi di una tradizione che ha alla sua base la parola di Cristo: “Date a Cesare quel che è di Cesare”, e le interpretazioni e applicazioni che, anche a costo di una lotta accanita contro i preti, ne hanno dato laici cristiani (talvolta senza sapersi tali) per costruire lo stato moderno.

E’ appena il caso di precisare che questo discorso sulla democrazia occidentale moderna come figlia del messaggio cristiano, anche se non figlia riconosciuta dalla Chiesa, si muove sulla falsariga della tesi di Weber sulla società capitalistica, e scientifico-tecnologica, come svolgimento secolarizzato della eredità biblica. Come solo nell’Occidente formato dalla Bibbia si è data la moderna società razionalizzata, così i regimi democratici caratteristici della modernità occidentale hanno la stessa origine e spiegazione.

Ma allora il cardinale Biffi, e prima di lui il Sillabo e le continue resistenze della Chiesa gerarchica alla legislazione laica dello stato - in Italia, soprattutto, ma anche in altri paesi d’Europa, e anche in America; non c’entra dunque solo la Chiesa cattolica, benché qui il dogma dell’infallibilità papale produca danni maggiori - come si spiegano? Molto semplicemente con la tendenza “costantiniana” delle chiese. Con il tradimento da parte della gerarchia ecclesiastica dell’autenticità del messaggio evangelico, non solo, ma certo soprattutto, nel campo della “divisione” del potere politico con lo stato.

Gli storici, anche e soprattutto uno storico della filosofia come Wilhelm Dilthey (penso alle illuminanti pagine della sua Introduzione alle scienze dello spirito, 1883, in epoca di Kulturkampf e di incipiente modernismo), hanno spiegato bene questa tendenza come un effetto della situazione di supplenza in cui la Chiesa tardo-antica si trovò al momento della dissoluzione dell’Impero romano. I vescovi, per esempio un personaggio come Sant’Agostino, peraltro così attento all’esperienza interiore della verità, e dunque al primato della soggettività e delle libertà, si trovarono a ereditare anche la funzione di governo politico; alla quale non si adattarono a rinunciare in tutti i secoli successivi, se non sotto la pressione delle lotte per la laicità dello stato. Biffi e i vari episcopati che rivendicano oggi il dovere dello stato di attenersi alle norme della morale “naturale” - quella che appare tale alle chiese - non fanno che proseguire questa linea, ed è la “naturalità” che essa riveste ai loro occhi il vero problema.

Ma tutto questo c’entra con il problema di Rusconi, e come? Come ho detto, c’entra intanto perché offre una possibile soluzione alla questione dei “valori” su cui può fondarsi, di fatto, la nostra società democratica. Se poi Rusconi osserva che ben pochi sono coloro che si sentono cristiani , e dunque che su questa base possono dirsi sinceramente democratici, ancora meno sono coloro che si sentono italiani: il suo richiamo al sentimento nazionale come possibile base di una religione civile (a parte il circolo logico che ho segnalato sopra) mi pare ancora più debole. Ma molto più significativo è un altro tipo di osservazioni che derivano dal sostiture il “come se Dio non ci fosse” con il “grazie a Dio sono ateo”.

Lo stato laico e i cittadini che intendono difenderlo devono fare come se Dio non ci fosse solo finché e perché la religione così come si presenta di fatto nella nostra società, e come essi stessi (anche Rusconi, che come molti di noi viene da una formazione cattolica) la pensano. Per un cristianesimo, cattolico ma non solo, che si pensa come la verità vera sull’esistenza umana e come la soluzione di tutti i suoi problemi, l’accettazione delle regole democratiche è sempre solo un minor male; una manifestazione di “tolleranza”, come erano appunto le “case” omonime, che venivano accettate dalla Chiesa come un remedium concupiscentiae.

Il Concordato tra stato e chiesa in Italia è sotto gli occhi di tutti, un esempio lampante di come la Chiesa cattolica pensa il proprio rapporto con lo stato laico. E le interferenze che, anche facendosi forte dell’evento religioso-turistico del Giubileo, cerca di esercitare su ogni punto della legislazione - a cominciare da quelli in cui entrano in gioco proprio le convinzioni etiche profonde, che non per tutti coincidono con quelle papali - mostrano che oggi le cose non sono cambiate. L’insegnamento che si deve trarre da questa situazione, divenuta particolarmente drammatica appunto con il Giubileo, è che fino a che la Chiesa non cambia il proprio modo di vivere il rapporto con la verità rivelata di cui è portatrice, rappresenterà sempre una minaccia per le istituzioni democratiche. Essa è disponibile a comportarsi “etsi Deus non daretur” solo là dove è minoranza o deve misurarsi comunque con una situazione di minor favore.


I laici che le chiedono questo, come Rusconi (per ragioni e con scopi, del resto, che condivido del tutto, com’è ovvio), continuano a pensare che essa non possa comportarsi altrimenti. Come accade spesso nel rapporto tra due “potenze” (penso alla visita di D’Alema al Papa, alla partecipazione di politici tranquillamente miscredenti alle cerimonie dell’Anno Santo), ciascuno viene riconosciuto sovrano nel proprio ambito: il Papa vuole vietare il divorzio, le unioni civili omosessuali, la clonazione, i contraccettivi ; padronissimo, anzi sarebbe strano che non lo facesse. Anche le pretese di imporre la morale cattolica a chi cattolico non è influendo sulla legislazione civile vengono considerate, da questo punto di vista, con una certa indulgenza: è ovvio che papa e vescovi ci provino, e poiché hanno un grande seguito di massa, meglio (per ragioni elettorali, soprattutto) cercare di non urtare la loro giusta suscettibilità “cristiana”.

La storia della nostra cultura (Weber insegna) e anche l’esperienza religiosa di tanti di noi dicono che siamo democratici e laici proprio in quanto siamo cristiani; una autorità cristiana come quella del Papa (o anche quella di Lutero o di Calvino, del resto) che si adatta alla democrazia obtorto collo, come se fosse un minor male da accettare fino a che non si sia in condizione di negarla imponendo a tutti la via regia della verità divina, non ha il diritto di comandare in nome del Vangelo. Dopo Galileo, a cui sono state rivolte tardive scuse e riabilitazioni, sappiamo che la Bibbia non è un manuale di astronomia; oggi sarebbe il caso, senza aspettare altri tre secoli, di riconoscere che non è un manuale di biologia, di scienza politica, di sessuologia, e nemmeno di morale (giacché anche qui non ci sono norme eterne, e soprattutto non ci sono autorità che abbiano il potere e il compito di garantirle e imporle).

Forse, a pensarci bene, non è nemmeno un manuale di teologia (che Dio sia Padre è una metafora da cui purtroppo si sono tratte spesso troppe conclusioni letterali..) . Etsi Deus non daretur è sicuramente un motto realistico; fino a che la religione, nella sua forma di religione-chiesa, si presenterà come un potere vorace, un vero e proprio Anticristo deciso a occupare tutti gli spazi della libertà che Dio ha creato e ama, la laicità dovrà difendersi respingendo la religione nei suoi limiti, chiudendola in confini netti. Ma così facendo non si fa nemmeno il bene della chiesa e della religione stessa: tollerandola così com’è, “purché non ecceda”, la si lascia marcire nel dogmatismo e nella grettezza disciplinare, facendone un “represso” che, quando trova modo di venir fuori, minaccia la democrazia con la forza di ciò che a lungo ha morso il freno. Bisogna che nella Chiesa stessa si affermi un potente movimento anticlericale, e riconoscere ed esplicitare l’origine cristiana della democrazia moderna può essere un primo importante passo in questa direzione.


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