Più distanza tra noi e il cielo
Sergio Rostagno
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Questo articolo è apparso sul numero di marzo-aprile 2001 di Reset
Sergio Rostagno è professore ordinario di teologia sistematica
alla Facoltà Valdese di Teologia di Roma.
I cattolici non c’entrano niente e non c’entrano nemmeno i laici.
Ci sono cattolici laici e laici cattolici, ci sono laici e laici,
cattolici e cattolici, protestanti e protestanti. Quel che qui si
discute è unicamente la pretesa di una parte del cristianesimo
(protestante e cattolico) di rinunciare alla secolarizzazione per
ricuperare credibilità e influenza sulle società. È un fenomeno che
investe anche altre religioni, in ogni parte del globo, con
giustificazioni diverse, ma mi limito al campo cristiano europeo.
Quel che noi oggi chiamiamo secolarizzazione ha una lunga storia. Nel
Seicento luterano e tedesco, la competenza per le cause di divorzio
viene trasferita dai tribunali ecclesiastici (ereditati dal sistema
medievale) a quelli civili. È una tappa di un lungo viaggio verso la
secolarizzazione. Anche le chiese riformate, per un certo periodo,
rivendicano il potere di controllo morale sui comportamenti privati.
Con Erasto (1523-1583) la cosa viene chiarita. Si assume tacitamente
come più obbiettiva la giustizia civile. Quel che può essere
umanamente realizzato qui sulla terra come giustizia, lo è umanamente
per tutti, senza pretese di angelismo o di particolare santità da
parte di alcuni.
Tutte le chiese, mediante un’evoluzione sulla quale sarebbe lungo
dibattere (sono state anche fondate chiese ulteriormente rigoriste),
hanno grosso modo accettato la legittimità di un ambito di laicità.
Il credente è divenuto egli stesso cittadino, portando in sé, con
difficoltà, ma anche con convinzione, la scissura e il legame tra la
sua realtà di credente e quella di cittadino. Il punto è questo:
tale problematica è in se stessa interessante e promettente. Essa
permette una nuova stagione di teologia (dopo Kant), sia che vengano
ricuperati motivi autonomi (maggiore originalità), sia invece che si
ammetta di doversi sporcare le mani come chiunque (minore
originalità). La secolarizzazione dove l’Europa aveva visto la
soluzione del problema religioso sembrava irreversibile. Soluzione
forse problematica, ma creativa e irrinunciabile.
Oggi questo patto con la laicità deve essere mandato in frantumi, per
permettere alle chiese di recuperare la loro influenza? A un progetto
come questo ci si deve opporre fermamente. Lo si può fare in
compagnia dei migliori teologi che abbiamo avuto. Non faccio un lungo
elenco di nomi che poco direbbero al lettore, se non li conosce già,
e non vorrei fare parzialità.. Ma non credo esistano grandi teologi
nel campo avverso. Persino San Tommaso può essere letto in questo
senso.

Occorre però fare un discorso più circostanziato per quanto riguarda
l’Italia. La volontà di recuperare terreno da parte delle alte
gerarchie cattoliche è comprensibile, anche se i metodi sembrano
discutibili. Quello che si comprende meno è il tacito avallo dell’opinione
pubblica, l’ossequio pronunciato a una visione singola, quasi non ne
esistessero altre possibili. Leggo su La Repubblica del
23-01-01: "L’arcivescovo di Canterbury, il cattolico Murphy-O’Connor…"
(con foto). Mi raccomando le virgolette perché cito letteralmente.
Mai sia detto che ‘la Chiesa’ in Inghilterra è appunto la Chiesa
d’Inghilterra, cioè la chiesa anglicana, il cui primate è l’arcivescovo
di Canterbury, persona del tutto diversa dal predetto cardinale. Mai
sia fatto trapelare al popolo un fatto simile. Eccetera. Immagino che
saremo anche favorevoli alle scuole private dove si insegni finalmente
la verità e dove una certa sinistra possa mandare i suoi figli a
imparare l’arte e la cultura.
Un esempio recente: una commissione del ministero della Sanità, dopo
esame a tutto raggio, conclude che l’uso di cellule staminali prese
dall’embrione umano congelato è tollerabile. Via libera per una
consistente parte della Commissione. Una parte dei Commissari non vede
qui impedimenti di carattere etico, un’altra parte pensa siano
superabili, infine una terza parte invece li vede e ritiene che essi
debbano condurre a impedire del tutto l’uso di embrioni a tale
scopo. Un’interessante e proficua discussione si profila e viene
condensata nel documento finale della Commissione. Credete che i
lettori dei giornali ne siano stati informati? Credete che si siano
capiti i motivi degli uni e quelli degli altri? Neppure per sogno.
Tutto è stato ridotto a una patriottica ‘terza via italiana’
concordista e priva di spigoli (e anche dubbia dal punto di vista
scientifico, a detta di alcuni).
Leggo sul supplemento domenicale del Sole24Ore (21 gennaio, Paolo
Rossi) che questo titolo di un libro francese “1789: Les
emblèmes de la raison” in italiano è stato reso così: “1789:
i sogni e gli incubi della ragione”. Una autocensura, si
direbbe. Non si sa più che cosa pensare.
Cent’anni fa in Germania avveniva il Kulturkampf. Cos’è? A
dirlo adesso sembra una cosa ridicola. Si temeva una ripresa del
clericalismo che avrebbe messo in pericolo la scelta di laicità
tipica del modello europeo di cultura. Sembra che oggi in Italia
abbiamo a che fare con una simile ‘battaglia per la cultura’.
Sarebbe bene che molte voci cattoliche (che ora tacciono) si levassero
e ci spiegassero che cosa sta avvenendo. E dessero man forte a chi,
come G. E. Rusconi, già da tempo scrive su questi argomenti.

La polarizzazione tra religioso e laico (nel senso di cattolico e
civile), fortemente praticata dai circoli che si autodefiniscono
laici, è ancora tutta all’interno della logica che si vuole
combattere. Un capitolo grande sarebbe quello della scuola pubblica e
dei contenuti della cultura: si può soltanto fare cultura all’interno
della propria visione della storia? La critica libera deve essere
sostituita dal ‘pentimento’? Ma che cosa sarà mai questo ‘pentimento’
se non una versione pietista e clericale della vera critica? Ogni
pentimento prelude a un ‘ritorno’.. Ma la cultura non ha ritorno.
Il ricupero di credibilità da parte delle chiese (o del
cristianesimo) sarebbe un tema degno di un bel dibattito. Niklas
Luhmann ha lasciato come opera postuma una recente pubblicazione sulla
‘Religione della società’ (Francoforte 2000), che andrebbe tenuta
presente. Non è facile dire come e perché le religioni mantengano le
loro promesse. Può essere utile la riflessione del sociologo e del
filosofo.
Ma altrettanto utile sarebbe quella del teologo: che vuol dire essere credibili?
Quale patto abbiamo fatto in Europa tra società e religione? Esiste
questo patto - e va rispettato - o ciascuno scorrazza liberamente
arraffando tutto il possibile? Questi sono temi degni di
approfondimento. Una fede che denuncia i mali del mondo per venire
successivamente a riscuotere un aggio di credibilità non sembra un
ideale molto serio. Occorre invece scoprire le radici di un pensiero
europeo che si muove nei meandri della comunicazione tra laico e
religioso, tra filosofia e teologia. Non ‘alla ricerca del vero’
(oggi riappaiono inopinatamente formule inadatte, già superate,
ideologiche e propagandistiche), ma alla ricerca della migliore
mediazione, alla luce di un fondamentale patto con la realtà.
Il Vaticano ha voluto confortare con manifestazioni oceaniche una
linea culturale ultraminoritaria e accettata da pochi. La filosofia
tomista viene spiegata in senso fondamentalista: esiste un solo
principio di tutta la realtà; è un principio spirituale e buono da
cui tutto promana e cui si rapporta in maniera obbiettiva tutta la
realtà. Metterlo in dubbio significa disgregare la realtà stessa,
con grave pericolo per le istituzioni e la stessa materia vivente.
Possiamo dissentire, eppure anche questa filosofia esprime un
fondamentale patto con la realtà o almeno ne può essere un’espressione
legittima. Illegittima appare l’affermazione che questo fondamentale
patto con la realtà possa susistere soltanto istituzionalizzato,
irregimentato, guidato, diretto, incanalato dalla gerarchia vaticana o
da qualsiasi altro magistero di verità e non si manifesti altrove se
non in modo distorto. Si può affermare che la verità non esiste
soltanto come ricerca o come verità plurale. Si può dire che la
verità è un ‘trascendentale’, un bene comune, a partire dal
quale si può creare una società vivibile. Non si può invece passare
da questo alla conclusione che vi sia qualcuno in grado di
rappresentare questa verità, dirla, farsene garante, enunciarla
identificandovisi.
Questo è il punto in cui la filosofia moderna ha decisamente preso la
strada del pluralismo e della secolarizzazione. Il bene, il vero, il
giusto possono ancora essere considerati ‘trascendentali’ (come
nel medioevo erano chiamati) a condizione che possano liberamente
essere interrogati, invocati, usati come esigenza e questione posta,
ma non rinchiusi in una realizzazione visibile e istituzionalmente
obbiettivata. L’antico concetto aristotelico di entelechia
(realizzazione), spiegato in termini tomisti come ritorno all’Uno,
finalità obbligata dalla quale non si può deviare, dovrà lasciare
il posto a una visione molto più modesta e laica. Bisognerà
accettare una certa distanza tra cielo e terra, condizione sia di vita
laica, sia di vita religiosa.
Detto questo, restano i grandi e veri problemi che l’umanità sta
affrontando, legati soprattutto al progresso scientifico e alla scarsa
lungimiranza che obbliga le visioni politiche a soluzioni forzatamente
inadeguate. Non è vero che non ci pensino le o gli intellettuali di
ogni lingua e paese o che ci pensino solo le chiese. La chiese possono
però fare la loro parte, senza cadere nella tentazione del
fondamentalismo. È vero che non possiamo fare a meno del patto con la
secolarizzazione, ma forse non possiamo nemmeno fare a meno dell’apporto
della fede, proprio in virtù di quel patto.
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