Virus e patologie neurologiche
Daniel Carleton Gajdusek con Bernardino Fantini
Articoli collegati:
Ambientalismo: una filosofia
del limite
"Ma tutti gli alimenti contengono
dei rischi"
Rai Educational/Virus e patologie
neurologiche
Chi non mangia questa minestra…
Itinerario/Vegetariani online
Incontro a Brigadoon
Segnalazione/Generazione mucca
pazza
Questa intervista fa parte dell’Enciclopedia multimediale delle
scienze filosofiche, un’opera realizzata da Rai-educational in
collaborazione con l’Istituto italiano per gli studi filosofici e
con il patrocinio dell’Unesco, del Presidente della Repubblica
Italiana, del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.
L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme
d’espressione e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica,
la conoscenza della filosofia nel suo svolgimento storico e nei
termini vivi della cultura contemporanea.
Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it
Professor Gajdusek, ci può parlare delle malattie di degenerazione
cerebrale di natura virale?
Il mio laboratorio si è dedicato per più di un terzo di secolo al
tentativo di reperire le cause delle malattie di degenerazione
cerebrale la cui eziologia ci è del tutto ignota, o, almeno, lo era
quando abbiamo iniziato. In alcuni casi ora conosciamo la causa, siamo
stati fortunati nella ricerca, sia noi che altri colleghi. In altri
casi abbiamo un' idea più chiara di cosa accade e nella maggioranza
dei casi siamo ancora completamente ignoranti, convinti, però di aver
centrato il vero problema. Con malattie idiopatiche di degenerazione
cronica cerebrale, si intende semplicemente quel complesso di
condizioni croniche, sempre fatali, del cervello umano, che in mesi ed
anni - con andamento costante e talvolta con esacerbazione o
recrudescenza e con remissione - accumulano danni al cervello
sufficienti, alla fine, ad uccidere il paziente. Queste malattie sono
molte e includono: la demenza senile e presenile, quella demenza che
coglie tutti noi se viviamo abbastanza a lungo; una malattia molto
comune, il «morbo di Alzheimer», di cui in Europa si hanno almeno
due milioni di casi e negli Stati Uniti due milioni accertati.
Questa malattia in particolare costituisce uno degli obiettivi al
quale stiamo lavorando più intensamente. Le altre malattie che vanno
sotto questa definizione sono la «sclerosi multipla» e la «sclerosi
laterale amiotrofica». Hanno tutte lunghi e strani nomi neurologici.
In America viene chiamata il morbo di Lou Gehrig a causa dello
sportivo che ne è morto. E' divenuta nota al pubblico in virtù del
fatto che è la malattia che affligge Stephen Hawking, l'uomo che
predisse i buchi neri apportando così correzioni alla teoria della
relatività: uno dei più dotati matematici e fisici teorici
esistenti. Stephen Hawking sta ora morendo proprio di questa malattia.
E' comparso sulla copertina del Time e del Life Magazine e la sua è
una storia conosciuta; Hawking è inoltre promotore della società per
la «sclerosi amiotrofica laterale» o «malattia motoria neuronale».
Quando parlo di malattie idiopatiche di degenerazione cronica mi
riferisco anche alla demenza presenile rapidamente fatale come il
«morbo Creutzfeld-Jakob» sul quale lavoriamo in maniera intensiva o
alla variante del «morbo di Gerstmann-Streusser», o al «morbo di
Parkinson» o alla «paralisi progressiva supernucleare», la malattia
che uccide adolescenti, bambini, giovani adulti, detta «SSP
progressiva» o «panencefalite subacuta sclerosante».
Come vede, queste malattie hanno tutte dei nomi terribili. Prese in
gruppo esse sono così comuni che in quasi ogni famiglia c'è un
membro che ha sofferto d'un tipo o dell'altro. Tra le persone che
superano gli 85 anni d'età, un buon 25% viene colto dal «morbo di
Alzheimer»; non vi sono quindi molte famiglie indenni da queste
malattie, ma non diamo loro in genere questi nomi scioglilingua. Sono
per lo più raggruppate insieme perchè non sappiamo quale sia la loro
causa. Quando invece l'eziologia è chiara, come nel caso
dell'avvelenamento cronico da piombo, della malattia del minatore da
manganese, o della «malattia di Minamata», dalla località del
Giappone - è una degenerazione cronica cerebrale causata dalla
contaminazione di mercurio organico nell'acqua - allora il problema
medico è chiuso: abbiamo capito che le malattie sono causate a volte
da una sostanza tossica presente ogni tanto nei rifiuti industriali e
a volte derivano da un agente tossico ben più antico. Secondo alcune
teorie, abbastanza convincenti, una delle probabili concause del
declinio di Roma risiede nell'impiego, allora esteso, di tubature in
piombo che, combinate con acque acide, potevano facilmente indurre
intossicazione da piombo e relative lesioni cerebrali.
Che questo possa essere stato uno dei problemi dei primi secoli della
nostra era cristiana, come di fatto è diventato nelle piccole
abitazioni in alcune città del mondo, va da sé. E’ una tesi
azzardata, e come tale va letta. Questo genere di casi sono stati già
risolti negli ultimi 30 o 40 anni: conosciamo l'avvelenamento cronico
da piombo e quello acuto, l'avvelenamento cerebrale da mercurio - è
il caso dei minatori di mercurio organico che hanno per loro sfortuna
subito avvelenamento cerebrale - così come ci sono noti i disordini
neurologici dovuti al manganese. Ma le grandi malattie, quelle per le
quali sono state create società di sostegno alle vittime ed ai loro
familiari, a livello sia nazionale che internazionale, sono tuttora la
sclerosi multipla, la «sclerosi laterale amiotrofica», il «morbo di
Parkinson», il «morbo di Alzheimer» e altre forme di demenza.
Queste sono tra le malattie più letali, e infatti, se supponiamo che
il numero dei casi di demenza senile e presenile raggiunge il numero
della nostra popolazione di anziani, soglia che si sta già varcando,
nell'arco di un secolo o due il peso economico della malattia
nell'intera nazione sarà ingente e forse il maggiore in tutto il
mondo sviluppato.
Può illustrarci l'utilità degli studi biochimici per l'avanzare
della ricerca medica ed in particolare della ricerca scientifica sulle
malattie virali? E' possibile attuare una strategia preventiva nei
confronti di queste malattie?
Fondamentalmente sono un biologo molecolare, microbiologo delle
malattie infettive da microbi e virologo. Ho esercitato parecchio in
questi campi, e, da un punto di vista clinico, sono pediatra con uno
spiccato interesse in neurologia e neurologia pediatrica. Così può
apparire strano che io lavori molto sia sull'età senile e sulla fine
della vita che sulle malattie infantili. Anche nel costruire il nostro
primo istituto di pediatria nel National Institutes of Health, eravamo
consapevoli dei particolari collegamenti tra le branche, tanto è vero
che l'Istituto nazionale di salute dell'infanzia, dell'età dello
sviluppo e dell'età senile erano tutti raggruppati. Nello spettro dei
cambiamenti dell'organismo umano questi sono i due estremi ed hanno
delle coincidenze sul piano biofisico e biochimico anche se preferirei
non entrare nel merito di questa questione che è un po' complessa.
Dicevo che c'è un grande interesse per questo tipo di malattie, per
ciascuna di esse, anche perché non ne sappiamo oggi molto più di
quanto ne sapessero Galeno, Ippocrate o Rudolf Virchow.
Per un pubblico di non esperti vale la pena sottolineare che oggi,
sulle cause del diabete e sul modo di prevenirlo, sappiamo poco più
di quanto sapevamo cento o mille anni fa. Ciò di cui siamo esperti si
riduce all'insulina e ai modi di trattarla. Non siamo però stati in
grado di prevenire un solo caso noto di diabete, né abbiamo mai
veramente compreso le cause di questa malattia: non abbiamo ancora la
minima idea dei fattori tossici, infettivi o genetici e cinquant'anni
fa se ne parlava tranquillamente negli stessi termini di oggi.
Parimenti, esiste un disordine non neurologico che, benché siamo
riusciti a trattare, ci rimane oscuro allo stesso modo del diabete.
Siamo riusciti, attraverso studi fisiologici e biochimici, a
determinare le cellule cerebrali e le aree interessate dal morbo di
Parkinson, e grazie a questo siamo riusciti a sostituire una sostanza,
un trasmettitore mancante o insufficiente. Con trattamenti di dopamina
siamo in grado di alleviare i sintomi nella maggioranza dei casi della
malattia e quasi tutti i malati colpiti dal morbo di Parkinson in
tutto il mondo sono sotto Dopamina e derivati: un trattamento
chemioterapico. Questa non cura affatto la malattia, non la previene
in nessun caso e non ci ha insegnato nulla sulla malattia, la sua
origine e causa. E' solo questione di alleviarne i sintomi, ed è
pertanto di enorme importanza per lenire la sofferenza del paziente
ma, insisto, non la si arresta, non la si previene nei futuri pazienti
e non ci offre informazioni sulle sue cause. Bene, il nostro obiettivo
è sempre stato quello di cercare di capire da cosa sia causata.
A tale scopo ho scelto di svolgere le mie ricerche in zone
lontanissime del mondo. Infatti, sapendo che questi problemi hanno
tormentato l'umanità per secoli o millenni, e che migliaia di
predecessori e colleghi vi hanno lavorato e vi lavorano tuttora, non
siamo così ingenui da credere che un approccio di ricerca moderno
possa risolverli istantaneamente o rapidamente. Pertanto l'approccio
mio e dei miei colleghi consiste nello studio di quelle comunità
isolate, quei gruppi di popolazione in cui l'incidenza dell'una o
l'altra di queste malattie è molto alta. Luoghi in cui queste
malattie gravano sulla popolazione in maniera doppia, tripla ed anche
cento volte superiore alle città cosmopolite dell'Europa, dell'Africa
o dell’Asia. Stranamente casi di questo genere esistono. Nel
Pacifico occidentale, tra la popolazione Muariana nell'isola Guam
della Micronesia, vi è un'incidenza pro capite in età giovane del
«morbo di Charcot» o «ALS» cento volte superiore alla media
europea dove è una malattia frequente: eppure si dovrebbero osservare
100.000 individui anziché 1.000 per reperire altrettanti casi. I
dottori che vengono nel nostro centro studi di Guam hanno quindi la
possibilità di osservare più pazienti con queste malattie di quanti
ne vedrebbero in una vita intera a Roma o New York. Il tutto,
concentrato nel raggio di poche miglia dal luogo del nostro lavoro,
comprende i loro villaggi, la loro dieta, i loro familiari e le loro
fattorie.
Tutto questo su un'isola piccola, lunga 30 miglia, grande meno di
Ischia. Corland, Arnold e Mulder, ricercando dopo la seconda guerra
mondiale, il mio laboratorio e altri ancora, hanno studiato a fondo il
problema. Abbiamo scoperto che oltre alla malattia motoria neuronale,
in questa popolazione c'è un'altissima incidenza di demenza di
Parkinson, che è per loro la seconda causa di morte. Quella li rende
vulnerabili in maniera tipica ed unica a malattie tra noi rare in
forma epidemica o endemica. Anche nell'isola dei loro cugini, un po'
più a nord, un'isola non più grande di Capri, chiamata Tinian,
l'incidenza è molto alta, ma nell'isola ancora più a nord, dove
ugualmente sono tutti cugini, l'incidenza è nulla: si tratta
dell'isola di Saipàn. Abbiamo motivo di credere che ci sia molto da
imparare in un posto come quello. Guardando più in là, alcuni nostri
colleghi hanno scoperto un caso esattamente parallelo nella
popolazione remota della penisola Key dell'isola Honshu, in Giappone:
Hobada e Kasagauwa, aree rurali più primitive dei più sperduti
paesini sui Pirenei o sulle Alpi, hanno un'incidenza di queste due
malattie cento volte superiore a quella del resto del Giappone.
Abbiamo trovato poi, che popolazioni di indigeni, abitanti la giungla,
nudi e allo stadio pre-letterato, sulla costa australiana della Nuova
Guinea, hanno esattamente gli stessi due problemi nei loro villaggi ma
con frequenza mille volte maggiore così da rendere queste patologie
la preoccupazione medica principale per la vita di tutti gli adulti.
Come prima cosa, le popolazioni hanno ben accettato le nostre
ricerche, giacché sono pesantemente colpite da queste tragedie che
sono sempre fatali, cento o mille volte più che da noi; in secondo
luogo, avevamo la possibilità di procedere ad autopsie, fare campioni
di sangue, rintracciare differenze nella dieta e nell'esposizione
all'ambiente secondo tassi enormemente più efficaci che non in città
europee, americane o giapponesi. Dunque non è un caso che, negli
ultimi trent'anni, i progressi maggiori nella conoscenza di queste
malattie giunga proprio da questi studi. Non ho alcuna intenzione di
entrare nei dettagli del modo in cui l'ipocalcemia conduca a depositi
di alluminio con silicio nei loro cervelli: è una questione
biochimica molto complicata non pienamente risolta ma che ha occupato
il primo posto nelle ricerche sulle malattie motorie neuronali nei
passati trent'anni. Eppure rappresenta solo un elemento isolatore
pertinente ad una popolazione primitiva e molto esotica.
Come hanno accolto la sua iniziativa di ricerca le popolazioni che
lei ha visitato per le sue indagini scientifiche? In tale contesto,
qual è stato in particolare l'impatto dello studio da lei svolto sui
cosiddetti «virus lenti» nella Nuova Guinea?
Oggi sono individui sofisticati, acculturati, e, grazie a cambiamenti
nella loro stessa cultura, accolgono volentieri lo sforzo della
ricerca perché queste malattie costituiscono per loro, come ho già
detto, un problema infinitamente maggiore di quanto lo sia per me e
per noi. Nell'area Kuru della Nuova Guinea si trova una popolazione
mesolitica, dell'età della pietra. Immaginate dieci lingue diverse,
differenti tanto quanto l'italiano dal basco, il basco dal celtico e
dall'irlandese, l'irlandese dall'ebraico. Questi gruppi diversi - ben
dieci diverse lingue - questi gruppi di famiglie linguistiche e di
cultura radicalmente differenti, posti però in stretto isolamento,
stavano scomparendo per effetto della morìa dovuta ad una nuova
malattia chiamata «Kuru». Essa presentava un quadro clinico
assolutamente inedito per il modo in cui uccideva i bambini,
particolarmente le donne, nonché per la patologia mostrata dal
cervello.
Non v'è dubbio che tale malattia fosse prima d'allora sconosciuta al
mondo intero, ma era tale da raggiungere uno dei più alti tassi di
mortalità a livello epidemico nel mondo. Essa devastava la
popolazione femminile adulta fino a causare un rapporto di tre uomini
e una donna - questo in una popolazione primitiva precristiana e
preebraica che preferiva la poligamia, come forse accade in qualsiasi
popolazione, almeno dal punto di vista maschile, s'intende. Per
tornare alle nostre neuropatologie, esse esibivano mutamenti cerebrali
senza quell'infiammazione che segue qualsiasi tipo di infezione: il
tipo di mutamenti che tutti noi subiamo nell'invecchiamento. Nel
cervello si deposita amiloide e ciò avviene in qualsiasi individuo
che raggiungeva i 90 anni, e in una metà dell'intera popolazione
all'avvicinarsi dei 70 anni. Si presentavano anche mutamenti a livello
cerebrale che, se maligni, potevano uccidere un uomo nel giro di un
anno o anche meno, insieme a quei rari tipi di demenza che chiamiamo
«morbo Creutzfeld-Jakob».
Tornando al virus «Kuru», abbiamo concentrato un enorme quantità di
sforzi di ricerca su questa malattia e abbiamo dimostrato che era il
primo caso provato di infezione da virus lenti nell'uomo (in gergo:
infezione da slow virus ) Ora, l'infezione davirus lenti nell'uomo
modifica l'infezione, non il virus. Si tratta di un'infezione lenta.
Abbiamo che l'una era l'altra, cioè che il virus era penetrato nel
corpo da anni, decenni, metà di una vita: si era riprodotto
quarant'anni prima e cresceva senza danneggiare l'organismo ospite. I
bambini crescevano allevando al tempo stesso il virus all'interno dei
tessuti e del cervello. Erano normali, imparavano l'arte di diventare
adulti, e poi, 40 o 30 anni dopo l'infezione, essi morivano
rapidamente a causa dei problemi cerebrali ad essi connessi. Non
avevamo mai incontrato quel tipo di situazione in virologia. Non è
vero che le infezioni lente costituivano una novità, perché la
«TB» e la sifilide si comportano a questa maniera. Anche i protozoi
fanno così.
Un uomo può avere la cisticercosi nel corpo, e questa può replicare
cisti nel cervello per trent'anni, prima che, improvvisamente, egli
inizi a soffrire di epilessia e muoia pochi anni dopo con epilessia
intrattabile e danni cerebrali. Si può avere la «TB» per 40 anni
prima che essa inizi improvvisamente a produrre sintomi cerebrali
ingenti come il melanoma sia miliare che tubercolare. Si può avere la
sifilide per 10, 20 o 30 anni, prima che si riveli paralisi o tabe
dorsale, tipica della pazzia come quella di Nietzsche. Così, erano
ben noti gli effetti ritardati nelle malattie infettive che si
manifestano anni o decenni dopo l'infezione. Ma negli anni cinquanta
non era noto questo comportamento per le malattie virali: credevamo
che esse fossero infezioni ed eravamo convinti della scomparsa del
virus , attaccato dal sistema immunitario, come accade qualche volta
nel vaiolo o nella encefalite, letale per il paziente. In nessun caso
ci aspettavamo che il virus del vaiolo rimanesse in circolo nel corpo
del paziente per 10 o 5 anni; neanche per 5 giorni! E tutto questo
risultò come una novità.
Non era in realtà una novità assoluta in biologia. In Islanda,
alcuni veterinari avevano tentato di mostrare che ben quattro malattie
diverse, negli ovini, si comportavano in questa maniera. Il virus
poteva riprodursi nascostamente per 2, 3 o 4 anni nella pecora e poi,
improvvisamente, uccidere l'animale con la forma più estesa della
malattia specifica. Una volta mostrato che questo meccanismo valeva
per il morbo chiamato «Kuru», tutti si chiesero se questo stesso non
potesse sottostare anche ad altre malattie, la sclerosi multipla e
tutte le altre che ho nominato. Migliaia di ricercatori cominciarono a
pensare secondo questo modello. Il vero motivo di interesse, comunque,
non risiedeva solo nel fatto che questa malattia virale cronica avesse
una lunga latenza prima di manifestarsi ma anche nel fatto che non
mostrava alcun indizio tra quelli che avevamo imparato a fare
associazioni con i processi infettivi nel cervello, non solo negli
uomini ma anche negli animali. Intendo dire che i vasi sanguigni
mostrano i segni dell'infezione in quanto i globuli bianchi formano
una guaina intorno ad essi: ciò avviene in tutte le infezioni
cerebrali.

Nella rabbia, nella malaria cerebrale, nella poliomelite, e in quel
gruppo di malattie non v'era nulla di tutto ciò. Questa scoperta
mostrò ai patologi di tutto il mondo che era possibile avere
un'infezione virale in assenza di stimoli immunitari o di
infiammazione. Ciò spinse a credere che questo concetto potesse
fornire la spiegazione causale di tutto quel complesso di malattie di
origine ignota, dall'artrite della vecchiaia, l'«osteoartrite», al
diabete, dalla sclerosi multipla, al morbo di Parkinson. E' un modo di
pensare poco rigoroso, impreciso e non molto produttivo: avevamo
offerto la dimostrazione soltanto per una malattia e v'erano ben pochi
indizi che valesse per le altre. Di fatto abbiamo iniziato a chiederci
in quale altro caso potesse occorrere e, con nostra sorpresa,
riuscimmo in poco tempo a mostrare che esso riguardava una malattia
rara, il «morbo di Creutzfeld-Jakob», presente in tutto il mondo,
dai tropici all'artico, dall'Asia e dall'Africa, all'Europa e
all'America. Questo uccide le persone solitamente in meno di un anno
con ingente demenza globale di norma a 30, a 40, a 50 anni o a 60;
qualche volta colpisce i più giovani e qualche volta i più anziani.
Ma questo è proprio il decorso del «morbo Kuru», causato da uno
strano virus, trasmettibile alle scimmie che cresceva in colture di
tessuti. Fin qui non avevamo fatto che suggerire al mondo questa
possibilità per un gruppo di malattie strane ed esotiche. Più tardi
divenne evidente come altre rare malattie celebrali fossero anch'esse
infezioni da virus lenti.
Quali sono queste altre malattie?
Una delle prime fu la «encefalopatia» da morbillo nella variante
lenta e ritardata alla quale nel nostro laboratorio abbiamo dato il
nuovo nome di «SSP» («subacute sclerosing panencephalitis»), «panencefalite
subacuta sclerosante», attualmente uno dei maggiori problemi medici
in nord Africa, nell'Africa sub-sahariana e nelle Seychelles. Alcuni
decenni fa, questa malattia era un enorme problema a New York. Si
tratta di una malattia che uccide bambini e giovani adulti sempre anni
dopo che hanno contratto il morbillo. La grande scoperta di 3
differenti laboratori, uno a Belfast, in Irlanda con O'Connor, il Nets
Laboratory in California ed il mio laboratorio, che lavoravano quasi
simultaneamente sul problema, fu che il virus del morbillo comune può
rimanere latente nel corpo di un bambino, e nel corpo di un bambino
più frequentemente che in quello di un adulto infetto da morbillo.
Poi, in un caso su centomila o su un milione, esso causa, dai 5 ai 20
anni più tardi, una malattia cerebrale inesorabilmente fatale. Ciò
ha avuto un enorme impatto sulla medicina in tutto il mondo, e il
programma di immunizzazione dal morbillo lo ha fortunatamente ridotto
quasi a zero per la Germania, la Svezia, l'Inghilterra e gli USA.
Nei Paesi che non hanno provveduto all'immunizzazione si registrano
ancora molti casi ed alcuni Paesi in particolare ne sono colpiti in
forma quasi epidemica perché la loro urbanizzazione ha abbassato
l'età del morbillo infantile: la gente si sposta in grandi comunità
piene di bambini, con conseguente moltiplicazione delle infezioni di
morbillo e poi, nell'ordine di un caso su 5.000 o su 10.000, si
manifesta più tardi l' «SSP». Abbiamo persino scoperto che la
maggioranza di noi - lei ed io compresi - sta probabilmente ospitando
un nuovo virus, un “pop over” virus, che chiamiamo virus «J.C.».
Si tratta di un virus collegato alle verruche, il virus delle
verruche, quel virus «SV 40» che ha dominato 30 anni di ricerca sul
cancro; quel virus che è stato scoperto, appena dopo la nostra
scoperta di infezioni virali lente, da Touraine per primo nel
Midwestern, USA, e più tardi lì isolato. Esso causa una rara
malattia cerebrale chiamata «PML», oppure «progresso L» che sta
per «Progressive Multiple Linking Encephalopaty». Questa è una
malattia che i pazienti sofferenti di AIDS ora contraggono spesso
nella fase terminale della loro malattia.
Prima dell'avvento dell'AIDS sapevamo di questa malattia soltanto in
individui il cui sistema immunitario era danneggiato dalla
tubercolosi, da sarcomi o da linfomi: tutte malattie che danneggiano
la capacità immunitaria generale. Già allora avevamo scoperto che,
quando i dottori distruggevano di proposito il sistema immunitario per
eseguire un trapianto osseo o di reni, o per trattare una metastasi
per cancro, i pazienti contraevano «PML». Questo virus che avevamo
al tempo appena isolato - ora ne sappiamo tutto e abbiamo imparato a
prevenirlo - non era raro, come non lo era neppure il morbillo. Sono
virus assolutamente tipici e normali appartenenti a diversi gruppi che
crescono bene in vitro o in colture di tessuti. Non era però così
per il «Kreutzfeld-Jacob», virus «Kuru» della Nuova Guinea; fin
dall'inizio sono stati un mistero strano ed incredibile per i
virologi. Abbiamo scoperto che resistevano ai raggi ultravioletti, a
tutti gli antisettici e che non c'era modo di renderli completamente
inattivi tramite bollitura o autoclave. Mai in tutta la storia della
microbiologia era stato trovato qualcosa di così resistente e di
così strano. Ciò ha consentito ai biofisici francesi e inglesi di
dimostrare che questi virus avevano una suscettibilità all'inattivazione,
a mezzo di lunghezze d'onda diverse dell'ultravioletto, atipiche
rispetto qualsiasi altro microorganismo o essere vivente.
Lo studio dei virus lenti ha portato a scoperte importanti nella
microbiologia, scoperte che potrebbero essere considerate eretiche.
Vuole parlarcene?
In effetti, già trent'anni fa avevamo un gruppo di biofisici in gamba
ed intelligenti come Laterge e Tiquealber che metteva in rilievo come
questi agenti sarebbero potuti essere privi di DNA. Ora, nell'attuale
metà secolo, o quarto di secolo, genetisti e microbiologi hanno
imparato la vera religione: noi tutti conosciamo i fondamenti della
microbiologia più a fondo di quanto molti gesuiti, con tanto di “ordini”,
conoscessero i fondamenti del cristianesimo. Così la comunità dei
microbiologi moderni trattò quelle scoperte eretiche come uno
scherzo, un errore palese. Cosa che feci anch'io. Ma col passare del
tempo divenne evidente che non potevamo più ignorarli: i dati erano
chiari, questi agenti non contenevano DNA o RNA, e ci eravamo già
convinti, e avevamo convinto il mondo intero con validi esperimenti,
che avevamo adempiuto ai postulati di Cook per l'eziologia di una
malattia e avevamo dimostrato la loro replicazione qualora fossero
inseminati con una o più particelle dell'agente infettivo. Avevamo
quindi un virus filtrabile, secondo la definizione pasteuriana di
virus, che si replicava e mancava semplicemente di DNA o RNA; inoltre
esso non produceva alcuna risposta immunitaria.
Abbiamo concentrato le nostre ricerche su questi elementi in tutti e
quattro i continenti. Abbiamo dimostrato che non c'era alcuna risposta
immunitaria, mentre le altre infezioni conosciute, incluso l' AIDS,
sono tutte parimenti infettive e danno un'enorme risposta immunitaria.
Riuscimmo persino a dimostrare che il materiale altamente infettivo
era non antigenico e ciò non era stato provato per nessun altro
microbo conosciuto. Un vasto gruppo di microbiologi, incluso quelli
del mio laboratorio, riteneva questi dati pericolosamente eretici,
probabilmente un risultato di esperimenti imprecisi. Quasi un quarto
di secolo è stato speso nel tentativo di rendere più accurati e
sensibili i relativi esperimenti, e tutto per giungere ora a
dimostrare che i primissimi esperimenti erano corretti e
l'interpretazione più semplice, quella giusta. Abbiamo a che fare con
un processo di nucleazione che trasforma una normale nostra proteina,
prodotta da un normale gene, che noi tutti abbiamo, come l'aragosta e
tutti gli altri mammiferi, in una pericolosa proteina infettiva che
ha, in altre parole, la proprietà di indurre nelle proteine sane, un
mutamento della configurazione secondaria che rende queste stesse
infettive.
Ecco che quindi si replica, un po' simile a stalattiti e stalagmiti di
tipi diversi in un sistema di grotte dove l'ordine temporale è di
secondi anziché millenni. Questo fenomeno non sorprenderebbe alcun
cristallografo, abituato alla polimerizzazione per nucleazione e
accrescimento di fibre, e, se adoperiamo quel linguaggio scopriamo di
parlare, sul piano fenomenologico, in maniera possibile con un chimico
delle proteine o un chimico delle fibre polimeriche, sia organico che
inorganico. Ma per gran parte dei microbiologi non pronunciamo che
delle eresie. Mai prima di allora ci saremmo aspettati di incontrare
un simile fenomeno in microbiologia. Risale agli ultimi due o tre anni
la dimostrazione che l'agente può essere generato de novo in famiglie
aventi un gene che ne determini la nascita - questo essenzialmente
dimostra che Spallanzani e Pasteur avevano torto nel negare
l'esistenza della generazione spontanea - ulteriore ridicola eresia.
Il problema qui riguarda un cambiamento nella configurazione di una
proteina normale in una particella in grado di iniziare una
cristallizzazione nucleante, senza combiamento alcuno nella
biosintesi.
Siamo convinti che l'intero processo, in termini di microbiologia
moderna, sia post-traduzionale. Questo è stato sufficiente a far sì
che il meglio dei laboratori di biologia molecolare sia ora attratto
in questo campo, in più di una dozzina di Paesi: dalla Svizzera, col
laboratorio di Weismann a Zurigo e a Cambridge, in Inghilterra, da
Heidelberg al NIH di Boston, fino a Kioto e a Tokio. Ci sono centinaia
di laboratori nel mondo che stanno attualmente lavorando sul problema:
non è più possibile, infatti, ignorarlo, e le scoperte già previste
ed indicate trent'anni fa non sono ancora state tutte dimostrate. A
volte siamo così vicini ad una dimostrazione che esistono fenomeni
evidenti ma che non possono venire spiegati da tutti i paradigmi
normali. E precisamente sappiamo che la mutazione puntiforme in queste
proteine infettive, non si replica all'interno del nuovo ospite. Mai
avevamo osservato una mutazione nella sequenza degli aminoacidi in un
antigene microbico che non copiasse se stessa mentre si replicava in
un qualche ospite. Questo indica immediatamente che non avviene alcuna
trascrizione o traduzione di DNA. Abbiamo anche dimostrato che si può
stabilizzare l'agente usando formaldeide.
L'aldeide formica è in grado di distruggere quasi tutti gli agenti
esistenti e in questo caso abbiamo usato una dose infettiva più alta
di quella che raggiungiamo con virus convenzionali, fino ad un decimo
di un decimo di unità infettive per grammo o millilitro. Possiamo
stabilizzare al 10% o 20% il titolo della folmaldeide così ch'esso
rimanga a temperatura ambiente senza decadimento. Anche in questo caso
lo possiamo scaldare fino a 280° senza perdita di titolo, e quella è
la temperatura di fusione degli acidi nucleici. Anche questo fattore
ci indica che non stiamo trattando con acidi nucleici come pensavano
Laterge e Teralbert 30 e 20 anni fa attraverso lo spettro dei raggi
ultravioletti. Questa è una nuova era della microbiologia. Io sono
troppo anziano per sfruttarla appieno, ma c'è una grande competizione
in questo campo fra molti giovani provenienti dal mio laboratorio e da
nazioni di tutto il mondo. Siamo convinti di seguire la strada giusta
da 25 anni.
Che implicazioni hanno queste ricerche per la salute pubblica e
quali implicazioni negative ci possono essere, invece, nell'uso di
alte tecnologie nutritive da parte delle società di allevamenti di
animali per la salute degli stessi animali ed anche per il benessere
delle società umane?
Le implicazioni di queste ricerche per la salute pubblica sono
relativamente minori se si pensa che l'unica malattia conosciuta
riguardante l'uomo, peraltro molto rara, è la demenza trasmettibile
del tipo «Gerstmann-Streusler». Ne muore un solo paziente l'anno su
una popolazione di un milione: in una città come New York, soltanto
sei-dodici pazienti l'anno. Ci sono migliaia di cause di morte più
frequenti di questa ma tra la popolazione Fore questa è diventata una
vera e propria epidemia che può causare il 98% di tutte le morti
femminili, metà di quelle infantili e ha triplicato in genere il
tasso di morte. E' esattamente la stessa cosa che accade negli
allevamenti di visone quando per sbaglio, grazie al neo-cannibalismo
ad alta tecnologia, questi animali vengono nutriti delle loro stesse
carcasse: interi allevamenti sono morti, spazzati via dal virus.
La stessa cosa è accaduta in allevamenti ovini e caprini. Ora abbiamo
anche la pazzia bovina o «encefalopatia spongiforme», che è causata
da questo tipo di cannibalismo ad alta tecnologia. Un modello «Kuru»,
come quello di cui ho già parlato. Più precisamente, le carcasse
delle mucche e delle pecore vengono ridotte a prodotti e le porzioni
idrofilizzate che vengono date come nutrimento ai vitelli contengono
le proteine di mucche e vitelli morti. E' una circolazione di
neocannibalismo ad alta tecnologia, ripeto, e proprio come in Nuova
Guinea, le mucche recitano con tragica fedeltà, quasi fossero state
addestrate alla Scala, la malattia «Kuru». Ogni aspetto clinico del
morbo «Kuru» viene riprodotto con tutta la fedeltà possibile in un
quadrupede bovino. L'espressione facciale, la bassa temperatura,
l'atassia cerebellare, sussulti motori anormali e contorsioni: il
decorso è di almeno 4 anni e mezzo, come nell'uomo.
Ecco quindi una malattia che ha distrutto l'allevamento del bestiame,
la produzione di manzo, l'industria del latte della Gran Bretagna e
dell'Irlanda. Si teme un costo di centinaia di migliaia di sterline.
Ha messo in allarme già da tempo gran parte dell'Europa fino a
produrre esiti legislativi a volte razionali, a volte no. Non siamo in
grado di dire alla gente tutto ciò che vorrebbe sapere. E non c'è
modo di avere una risposta veloce. Non possiamo al momento immaginare
neanche l'ombra di un esperimento che dia la risposta alla domanda se
l'uomo ne sia contagiato o meno. Quanta parte dell'agente sia presente
nel manzo e nel latte, non lo sappiamo, benché crediamo che non ve ne
sia alcuna. Sappiamo che è nel cervello, nelle interiora, nel timo,
nell'intestino, nei nodi linfatici. Non sappiamo se sia contagiosa per
via orale nell'uomo: certo è che l'assenza del contagio non è stata
dimostrata. E' il tipo di dati, prodotto dal mio laboratorio, che ha
indotto questa isteria di tipo Andromeda nella popolazione.
La malattia umana può produrre il «Creutzfeld -Jakob» negli
scimpanzè e nelle scimmie, ma qualora inoculato in pecore e capre,
produce la «Scrapie» («malattia del trotto della pecora»). Nessun
veterinario è in grado di distinguerlo dalla «Scrapie»,
naturalmente, e ora sappiamo che a livello molecolare sono uguali
anche se ciò che avevamo inoculato erano agenti umani e gli agenti
della capra passano poi alla pecora producendo la «Scrapie» della
pecora. Ciò aveva indotto già 15 anni fa alcuni veterinari, inclini
ad un amaro umorismo, a proporre seri provvedimenti affinché gli
anziani colpiti da demenza venissero tenuti lontani dalle fattorie e
dalle greggi ovine. Il provvedimento simmetrico non aveva ragion
d'essere perché non avevamo modo di dimostrare se tessuti ovini
potessero causare queste malattie qualora inoculati nell'uomo.
Vede, non potevamo disporre di molti volontari per inoculazioni
intracerebrali di queste sostanze! Eravamo in grado di mostrare,
d'altro canto, che decine di migliaia di pecore affette da «Scrapie»
- in francese «coblah», in tedesco «Kaelberkrankheit», in slovacco
«cousalka», - vengono immesse sul mercato entrando così nella
catena nutritiva umana e, nonostante questo accada da centinaia di
anni in Slovacchia, in gran parte dell'Europa, con certezza in Francia
e Inghilterra, il «Creutzfeld-Jakob» è rimasta una malattia
rarissima, un caso su un milione, e in nessuna maniera è possibile
collegarla alla «Scrapie» del pastore. Possiamo dire che dal punto
di vista epidemiologico, sia in Francia che in Inghilterra abbiamo
conseguito un fallimento.
Ora, gli ebrei sefarditi che, come tutte le popolazioni orientali si
cibano, forse da millenni, di occhi e cervello di pecora arrostiti,
così come noi mangeremmo un hamburgher al MacDonald dietro l'angolo,
hanno un'alta incidenza del «Creutzfeld-Jakob». Quelli che vengono
da Tripoli, un'incidenza trenta volte maggiore degli ebrei ashkenazi
che, in genere, non includono il cervello, i testicoli e gli occhi
della pecora tra le loro prelibatezze alimentari: semplicemente non li
comprano. I mediorientali adorano questo cibo e molti ricercatori, me
incluso, hanno cconsiderato questo elemento come possibilmente
collegato con il morbo di «Creutzfeld-Jakob». Ma uno studio
approfondito degli ebrei sefarditi ha mostrato che essi hanno un tipo
di «CJ» familiare, probabilmente generato geneticamente. Siamo
ancora nel mezzo del problema: non ne abbiamo ancora una comprensione
adeguata dal punto di vista molecolare.
Dubitiamo che possa considerarsi un caso dimostrato di «Scrapie»
trasmessa all'uomo. Ora, posti di fronte a milioni di persone che
hanno mangiato la carne e il latte di animali sotto inchiesta e tra
cui nessuno sta incubando «Scrapie», sapendo che il latte e la carne
della pecora non hanno mai mostrato di contenere il virus ma che i
linfonodi ne erano carichi, l'establishment veterinario britannico e
gli ispettori alimentari hanno vietato, un paio di anni fa circa, le
interiora, precisamente l'intestino, il timo e i linfonodi come
alimento umano. Prima si mangiava tutto, si mangiavano per intero
persino animali sotto incubazione, poi, più o meno due anni fa, si è
smesso. Ma le bistecche e il latte non sono stati vietati. Quando
qualcuno dei più scettici ci chiede: «siete sicuri?», la risposta
è che non siamo sicuri. Come possiamo esserlo? Non sono nemmeno
sicuro di poter fornire un programma di esperimenti che ci
permetterebbe di scoprirlo tra dieci anni. Sicuramente non potremmo
farcela in cinque.
Gli studi che lei, insieme al suo gruppo, conduce ormai da circa un
trentennio hanno comportato una modificazione nel concetto di
malattia, filosoficamente considerata?
Lei mi chiede come simili questioni influenzino la filosofia. Mi
chiede se questo lavoro durato trent'anni modifica concetti filosofici
di base riguardo la malattia. Non particolarmente. Ad un livello più
tecnico, sì. Come risultato della patologia cerebrale dai tempi di
Rudolf Virchow fino a tutti gli anni cinquanta, potevamo riconoscere
nella patologia cerebrale processi infettivi che si contrapponevano a
malattie tossiche, genetiche, di carenza enzimatica. Ed in questo
avevamo ragione. Anche col virus HIV, tale da produrre malattie
cerebrali croniche, o con il virus HTLV I, virus di cui sono infettati
più di 10 milioni di giapponesi e che causa mielite cronica, abbiamo
esattamente la patologia che indica infezione. Questo, insomma, è un
dogma incrollabile della conoscenza neuropatologica moderna. Ecco che
ad un tratto «Kuru» che è il primo esempio di un'infezione che
infrange il dogma. Non produce alcuna di quelle condizioni sine qua
non delle infezioni cerebrali: sia che si tratti di «sifilide
cronica», di «malaria», di infezioni virali o batteriche di
qualsiasi altro tipo al mondo, l'infiammazione è presente. Non lo è
con il morbo «Kuru», nè con il «Creutzfeld-Jakob».
Questo elemento ci costringe ad ammettere la possibilità remota di
infezioni in ampi gruppi di malattie degenerative che pensavamo di
avere sconfitte. Naturalmente, essendo questo un processo misterioso,
persone dotate di poco spirito critico sono portate a proporre questa
eziologia per ogni tipo di malattia misteriosa. Come ho già detto
all'inizio, è un modo di pensare sciatto; non lo accettiamo
incondizionatamente ma aspettiamo di vedere se sia almeno ragionevole.
Ora, non c'è nulla di male nel crollo di un dogma centrale, se si
dispone di ampie prove. Dopo tutto a cedere è stata soltanto la
nostra ingenua convinzione di sapere già tutto sulla natura dei
virus. Pasteur, Metchnikov, Robert Koch, Paul Ehrlich, costoro
avrebbero accettato di buon grado un nuovo genere di virus. I botanici
sconvolsero l'immagine da manuale del virus , l'immagine che ci si
apprestava ovunque allora ad inserire nei libri di testo: una
configurazione di DNA filamentosa ripiegata su se stessa “singola”
o “doppia”, coperta da proteine sia interne che esterne. Tutto
ciò è errato nel caso di malattie virali causate da viroidi.
Qui non ci sono proteine, nè esterne nè interne. Non sono a
filamento doppio nè singolo. Sono un circolo chiuso, ripiegato al
proprio interno come una forcina con alcune basi in comune. Questo
modello offre una congiunzione tra la configurazione singola e quella
doppia cosicchè ogni fatto, ogni requisito di quella definizione
inaccettabile di virus, definizione che esiste ancora in molti libri
di testo, fu ridicolizzata dalle molte, moltissime infezioni da
viroidi nelle piante scoperte negli anni '60. Questo è solo un
esempio. Ci sono alcuni che affermano che io non voglio modificare il
mio concetto di virus, anche se con esso il concetto pasteuriano di
virus non risulta per nulla modificato. E' invece soltanto la
concezione recente di costoro che viene modificata, concezione che
nessuno aveva realmente accettato se non loro stessi in quanto autori
di manuali. Dunque, questi agenti infettivi si replicano per
nucleazione.
Per descrivere meglio la Sua concezione del virus, vuole
illustrarci cosa intende con il termine “nucleazione”?
«Nucleazione» è un termine cristallografico che non si riferisce al
nucleo di una cellula, bensì al processo che ha luogo nella
formazione di nuvole temporalesche, di cristalli di ghiaccio e
precipitazioni. Quel processo di nucleazione cristallografica
responsabile della crescita dei cristalli, è il processo che crediamo
contraddistingua i nostri microbi. Grazie ad esso viene prodotto un
microbo che cresce senza modificazione genetica o introduzione di un
nuovo gene. Questo microbo fa uso del normale gene ospite senza
cambiare la sua funzione. Prende il prodotto di quel gene ospite e lo
cristallizza in una forma particolare, e precisamente una fibra
abaloide piegata e appiattita che autocataliticamente fa avanzare il
processo. E' ovvio, dicono tutti, ma questo cosa vuol dire? Non lo
sappiamo. E non possiamo tradurlo in termini di meccanica quantistica
finché non cristalliziamo queste proteine e produciamo la
trasformazione nello stato solido, cristallografico; o, almeno,
finché riusciamo a confrontare le due forme tramite la distanza e
l'angolo atomico cristallografici.
Ciò è stato possibile soltanto per l'1, il 2 o il 3% di tutte le
proteine. Non è mai stato fatto neanche per una proteina recettore di
tutti i trasmettitori cerebrali. Per noi riuscire a farlo varrebbe
miliardi. E ciò è dovuto semplicemente al fatto che non riusciamo a
cristallizzare ed isolare quelle proteine di membrana o idrofobiche
trasmembrane. Questo è il punto in cui stiamo, abbiamo una proteina
trasmembrana che rimane espulsa e ancorata alla parete esterna della
cellula. E' altamente idrofobica e oggi sappiamo che l'uomo la produce
col gene sul cromosoma che abbiamo mappato come numero 20 e il topo la
produce col cromosoma 2. In modo simile al topo, ne produciamo il
quantitativo maggiore nelle cellule del cervello: non ci è nota,
però, la sua funzione. Non possiamo cristallizzarla. Siamo dunque
ancora lontani dal poter fornire una risposta allo scettico: non
possiamo dire come funziona.
Ci troviamo nella stessa situazione del trasporto assonale, nel dover
spiegare come funziona retroattivamente. Trenta anni fa, ci trovavamo
nella stessa situazione quando uno scettico affermava di non credere
nella mappa genetica studiata da Asafala e Korn, da Sturdivant e
Morgan, da Mueller, da Kurt Stern, da Barbara McClintock. Non avevano
la minima idea di come funzionassero questi geni, ma li avevano
misurati e localizzati con precisione. Noi siamo proprio nella stessa
situazione: cominciamo ora a localizzare, misurare e studiare con
precisione la loro funzione e crediamo anche di sapere quali sono gli
elementi necessari per fornire un resoconto “meccanicistico” del
fenomeno. Ma non avremo una risposta conclusiva fino a quando non
potremo esibire delle vere e proprie ricette per queste proteine che
ci permettano di “cristallizzarle” quando vogliamo, così da
fornire al cristallografo un cristallo adeguato.
Questo per l'uomo è una ridefinizione del virus o un ritorno alla
versione originale, astratta. Io preferisco quest'ultima. Gli
informatici, trovando virus senza struttura molecolare ma ponendo il
requisito che, oltre a quello energetico, anche il sistema informativo
dell'ospite dovesse essere una replica del nuovo sistema informativo
dell'agente, possono definirli tranquillamente virus. Di fatto questo
è il termine adottato nell'ambiente, ed io sono convinto che Paul
Ehrlich, Pasteur, e Koch condividerebbero quest'uso della parola. Non
ci si deve chiedere qual'è la struttura molecolare di questo tipo
divirus, perchè una tale struttura non esiste. Se accettiamo dunque
che si parli di “virus informatici”, credo si debba parlare di
virus anche nel caso di proteine che si replicano. Ma qui si tratta di
modificazioni puramente semantiche delle parole, non di osservazioni
della natura: in realtà, quando insistiamo nel parlare di virus,
abbiamo semplicemente trovato un modo scherzoso per rendere “datata”
la concezione dei nostri avversari.
Sappiamo bene che, secondo la loro definizione, non si tratta di
virus; rifiutiamo però di accettare la loro ingenua definizione di
virus. Non ci sarebbero comunque problemi nell'introdurre per essi un
nuovo termine, come hanno fatto Stan Prusner Asney e Pat Wordson
chiamandoli rispettivamente «preons», e «Scrapie associated
proteins». Io preferisco chiamarli semplicemente «Scrapie virus». E
se mi si chiede di cosa si tratta, rispondo semplicemente che è una
proteina infettiva che agisce per nucleazione. Da dove proviene? Dal
gene ospite. Che cos'è, all'interno del gene ospite? E' una normale
proteina prodotta nelle cellule del cervello, la cui causa ci è
ignota e che ha un alto tasso di ricambio. E come ha luogo
l'infezione? Essa induce una mutazione nella configurazione terziaria
nella proteina ospite che a sua volta nuclea questo cambiamento nel
nuovo ospite e questo è tutto. Ammetto che questa descrizione
nasconde molta ignoranza, ma credo anche che sappiamo dove continuare
il lavoro di ricerca. Spiacente di essere così tecnico, ma il tema è
tutt’altro che facile.
(traduzione di Lorenzo Dauria)
Chi è Daniel Carleton Gajdusek
Daniel Carleton Gajdusek è nato a Yonkers (New York) nel 1923.
Laureatosi in Biofisica, ha successivamente studiato medicina
all'Università di Harvard, specializzandosi in Pediatria. Dopo aver
lavorato presso l'Istituto Pasteur di Teheran, dal 1958 svolge
attività di ricerca presso il Laboratorio per gli studi sul sistema
nervoso centrale del National Institute of Health, di Bethesda
(Maryland). Con B. S. Blumberg ha avuto il Premio Nobel per la
fisiologia e la medicina nel 1976.
Gajdusek è stato fra i primi a studiare una forma di encefalopatia
cronica e degenerativa nota come “Kuru”, diffusa fra le
popolazioni primitive della Nuova Guinea. Gajdusek ha notato come
questa malattia venga trasmessa a causa dei rituali cannibalici e la
sua manifestazione avvenga a distanza di numerosi anni dal momento
dell’infezione. La sua ricerca ha condotto all’idea che il Kuru
sia causato da una classe particolare di agente infettivo: un “virus
lento”. Questo agente infettivo è stato successivamente
classificato come “prione” da Stanley Prusiner. Attualmente si
ritiene che i prioni siano responsabili di numerose malattie, fra le
quali la Sindrome di Cruetzfeld-Jacob (il cosiddetto “morbo della
mucca pazza”). Insieme a Baruch Blumberg ha vinto il Premio Nobel
per la fisiologia e la medicina, grazie a una ricerca che ha portato
all’identificazione di una sequenza chiave del virus dell’epatite
B e che ha consentito loro di sviluppare un test per l’individuazione
dell’anticorpo che, attraverso l’individuazione di questa sequenza
o antigene, consente di diagnosticare la presenza del virus nel
sangue. Gajdusek ha studiato anche il morbo di Parkinson e altre
malattie del sistema nervoso centrale, dimostrando l'origine virale di
alcune di esse.
Gajdusek è autore di numerose pubblicazioni scientifiche.
Ricordiamo della sua produzione: South Pacific expedition to the
New Hebrides and to the Fore, Kukukuku, and Genatei peoples of New
Guinea, January 26, 1967 to May 12, 1967, National Institute of
Neurological Disease and Blindness, Bethesda, 1967; Annotated Anga
(Kukukuku) bibliography, National Institute of Neurological
Diseases and Stroke, Bethesda, 1972; Colombian expeditions to the
Noanama Indians of the Rio Siguirisua and to the Cofan and Ingano
Indians of the Putumayo, August 22, 1970 to September 14, 1970,
National Institute of Neurological Diseases and Stroke, Bethesda,
1972; Correspondence on the discovery and original investigations
on kuru: Smadel-Gajdusek correspondence, 1955-1958, National
Institute of Neurological and Communicative Disorders and Stroke,
Bethesda, 1976; A year in the Middle East: expeditions in Iran and
Afghanistan, with travels in Europe and North Africa: February 4, 1954
to December 22, 1954 (Bahman 25, 1332 to Dey 1, 1333), National
Institutes of Health, Bethesda, 1991.
Articoli collegati:
Ambientalismo: una filosofia
del limite
"Ma tutti gli alimenti contengono
dei rischi"
Rai Educational/Virus e patologie
neurologiche
Chi non mangia questa minestra…
Itinerario/Vegetariani online
Incontro a Brigadoon
Segnalazione/Generazione mucca
pazza
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |