Il fato da Mozart a Brahms
Paola Damiani
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La musica ha ospitato molte delle rappresentazioni che gli uomini
hanno creato del fato, dell'ordine naturale che governa il mondo. Il
destino, come la musica, non può che correre inesorabilmente verso il
suo compimento e come la musica non si vede, eppure avvolge ogni cosa.
La musica sacra, e in particolare tutti i Requiem, non fanno
che lodare la grandezza misteriosa della Provvidenza, il destino dei
cristiani. Nel più laico melodramma il destino si sbizzarrisce a
complicare trame modellate su quelle del teatro classico. Spesso si
manifesta come una voce di registro basso fuori scena, preannuciata da
tuoni ottenuti rotolando sassi in uno scatolone di metallo, che in
modo stentoreo annuciano il buon esito di una vicenda travagliata.
Questa stessa voce sigla la conclusione di molti melodrammi barocchi,
ma esclama anche che "ha vinto amore....", proclamando la
fine delle sofferenze occorse ai protagonisti dell'Idomeneo di
Wolfgang Amadeus Mozart.

E' l'età romantica che consacra il destino quale protagonista
assoluto. Beethoven è il precursore, ma non ci si deve fermare
all'aneddotica che circonda la Quinta sinfonia: tutta l'arte del
musicista è segnata dalla contrapposizione fra i desideri, le
aspirazioni individuali e la forza cieca e devastante del fato, di
fronte al quale anche la religione perde molto del suo potere
consolatorio. Beethoven aspira a musicare il Faust di Goethe e
Robert Schumann vi mette mano senza però terminare l'impresa.
Entrambi sono affascinati dalla tragedia dell'uomo che tenta
disperatamente di forzare i limiti della sua condizione esistenziale -
del suo destino, appunto - anche a costo di perdersi.
Il teatro musicale dell'Ottocento si colora di passioni sconvolgenti
che fanno dimenticare il dovere, la pietà e la sottomissione al
divino e contro le quali la condanna della natura sa essere spietata.
I protagonisti de La forza del destino di Giuseppe Verdi sono
dominati da potenti e contrastanti sentimenti d'amore che creano
profondi conflitti. Il destino non permetterà che i nodi si
sciolgano, anzi si accanisce nel creare nuove occasioni di scontro. La
prima versione dell'opera si chiude in un crescendo drammatico con la
morte dei tre protagonisti. In un rifacimento successivo, un nuovo
librettista, lo scapigliato Antonio Ghislanzoni, temendo "che i
morti si ammucchiassero troppo", salva invece Don Alvaro.

Il fato è il protagonista di molta parte dell'opera di Richard
Wagner. Tutta la Tetralogia è costruita sul compiersi di un destino:
l'oro delle figlie del Reno, che simboleggia la ricchezza e la potenza
della natura, viene sottratto con l'inganno, ma deve tornare alle sue
custodi. Sigfrido e Brunilde sacrificano il loro amore e la vita per
questo scopo e anche gli dei del Walhalla, colpevoli di aver cercato
di modificare il corso degli eventi, vengono travolti dalla rovina.
Johannes Brahms è però il musicista che ha espresso con sensibilità
profeticamente moderna l'angoscia e la solitudine dell'uomo di fronte
all'inconoscibile. Un gruppo di composizioni corali - Rapsodia per
contralto, Canto del destino, Nenia e Canto delle Parche su testi
di Hölderlin, Goethe e Schiller - tutte risalenti agli anni fra 1868
e il 1882, ruota intorno a questo tema. I testi hanno forza
espressiva, eppure in uno di questi brani, il Canto del destino,
Brahms ha l'ambizione di esprimere qualcosa che il poeta tace. Il Canto
di Hyperione di Hö lderlin si apre con la contemplazione
della beatitudine degli spiriti eletti cui si contrappone la
condizione umana dominata dal dolore e dall'incertezza. La musica
segue il testo aprendo con una lunga introduzione strumentale, serena
e luminosa, che introduce il canto delle anime beate. Le grida
dell'umanità dolente spezzano la quiete, ma la musica non si ferma
sulle parole disperate che il poeta pone in bocca agli uomini. Procede
oltre riprendendo il luminoso brano strumentale dell'inizio che sigla
il messaggio di speranza del compositore.
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