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L'ultimo bacio, scritto e diretto da Gabriele Muccino, con Stefano Accorsi, Giovanna Mezzogiorno, Stefania Sandrelli, Claudio Santamaria, Marco Cocci, Sabrina Impacciatore, Giorgio Pasotti, Martina Stella, Luigi Diberti.


Bisogna sempre drizzare le orecchie quando un film fa parlare la gente. Ho visto L'ultimo bacio due volte in una settimana, entrambe insieme a un pubblico generico (non critici e giornalisti, cioè), ed entrambe le volte gli spettatori, soprattutto i più giovani (gli under 30), non hanno smesso di bisbigliare, di scoppiare a ridere, di prodursi in commenti a mezza voce durante la proiezione, per poi lanciarsi in accese discussioni durante l'intervallo e all'uscita.

Credo che tutto questo significhi che L'ultimo bacio coglie nel segno, e arrivi al posto giusto al momento giusto. E forse questo, alla lunga, non deporrà a favore del valore artistico del terzo film di Gabriele Muccino, dopo Ecco fatto e Come te nessuno mai. Forse fra qualche anno ci sembrerà un film furbo, datato, da dimenticare. Ma al momento raggiunge due risultati importanti, soprattutto per un film italiano: riempie le sale e crea controversia - per strada, sull'autobus, davanti ai portoni delle scuole ma anche negli uffici popolati da trentenni.

L'ultimo bacio sta facendo parlare anche i giornalisti: Curzio Maltese, critico sui generis, ha dedicato al film un articolone a tutta pagina su la Repubblica (e Repubblica ha addirittura fatto iniziare l'articolo in copertina), profondendosi in lodi sperticate per Muccino "un regista trentenne che sa parlare alla sua generazione", e paragonandolo addirittura a Pietro Germi e Dino Risi. E de L'ultimo bacio scrive: "E' uno dei pochi film italiani coraggiosi, capaci di dialoghi autentici e non immersi nella retorica della fiction televisiva e soprattutto è un ciclone di emozioni, e nel senso meno pieraccionesco che si possa immaginare".


L'avevano preceduto, sempre sulle pagine di Repubblica, le lodi di Roberto Nepoti e Maria Pia Fusco, mentre Lietta Tornabuoni definiva su La Stampa il film di Muccino "una promessa mantenuta". Nel giro di pochi giorni siamo arrivati già ai pareri contrari: Enrico Magrelli su Film TV cerca ad esempio di smorzare gli entusiasmi generali, definendo il regista trentatreenne "molto bravo, forse troppo, e lo sa; perciò non si ferma mai (con la macchina da presa, instancabile, con la musica, onnipresente, con la storia, infinita - nel senso che ha molteplici finali), si esibisce, vuol piacere".

In parte, Magrelli ha ragione: Muccino, che ha alle spalle una preparazione tecnica molto forte, usa la cinepresa (e il montaggio, e il suono) con molta competenza ma anche con un compiacimento che ogni tanto si fa sentire. I punti di riferimento cinematografici di Muccino sono visibili, soprattutto il Paolo Virzì di Ovosodo e il Paul Thomas Anderson di Magnolia (la scena del pianto di uno dei protagonisti dopo la morte del padre è molto simile a quella fra Tom Cruise e Jason Robards).

Certe manifestazioni di abilità tecnica - come i movimenti ampi e scorrevoli della cinepresa, vedi la scena del matrimonio - e certe inquadrature - le riprese dall'alto dei personaggi sdraiati, ad esempio, ormai un marchio di fabbrica del regista - sono qualche volta fastidiose, perché aumentano il piacere della visione (e il cinema di Muccino è soprattutto entertainment) ma ingolfano la trama.

Per fortuna la trama è molto ben strutturata e ancor meglio arricchita dai dialoghi: Muccino è, prima di tutto, un ottimo sceneggiatore, specializzato in storie corali (come Virzì, come Anderson) e la sua mano è già inconfondibile. In che cosa consiste lo stile di Muccino? Battute a raffica molto aderenti al linguaggio contemporaneo, non solo quello dei giovanissimi (come in Ecco fatto e Come te nessuno mai) ma anche quello dei trentenni e dei cinquantenni; scene velocissime e spesso inframmezzate, per non dire frammentate (in perfetta coerenza con i nostri tempi); un passo trafelato, ansioso e ansiogeno, che ben si adatta alle sue storie precipitose (nel senso che precipitano verso il finale): la spirale della gelosia in Ecco fatto, l'occupazione del liceo in Come te nessuno mai, i tentativi di fuga in L'ultimo bacio.

Questa la trama dell'Ultimo bacio: Carlo (Stefano Accorsi) e Giulia (Giovanna Mezzogiorno) convivono da qualche tempo e aspettano un bambino. Giulia è perfettamente felice di essere entrata ufficialmente nella fase adulta della sua esistenza, Carlo invece, alla vigilia dei trent'anni, ha una gran voglia di scappare dalle incombenti responsabilità. La via di fuga assume le sembianze di Francesca (Martina Stella), diciottenne incontrata per caso al matrimonio di un amico. Ma la vicenda di Carlo, Giulia e Francesca non è l'unica del film, e forse nemmeno la principale.

C'è la storia di Anna (Stefania Sandrelli), la madre di Giulia, cinquantenne sposata da trent'anni con Emilio (Luigi Diberti), che ha da tempo immemorabile appeso il cappello al chiodo, al punto che Anna ha trovato temporaneo conforto fra le braccia di un amante (Sergio Castellitto). Ora Anna ha raggiunto la misura ed è disposta ad andarsene di casa, pur di cambiare il quadro della sua esistenza.

Ci sono le storie parallele di Adriano (Giorgio Pasotti) e Livia (Sabrina Impacciatore), giovane coppia sposata e già terminalmente inacidita; di Paolo (Claudio Santamaria), abbandonato dalla fidanzata (Regina Orioli) e in procinto di perdere anche il padre; di Alberto (Marco Cocci), dongiovanni impenitente che mente alle sue numerose amanti senza battere ciglio. Tutti e tre i maschi cercano di sfuggire al loro destino - una "vita blindata" per Adriano, la rinuncia ai sogni per Paolo, l'acquisizione di una maturità sentimentale per Alberto.

Tutte le storie riflettono il "nomadismo sentimentale", come l'ha definito Muccino, che è figlio della nostra epoca e che coinvolge tutti, giovani e meno giovani. Anche le due donne apparentemente più stabili, o più inclini ad accettare le responsabilità della vita adulta, cioè Giulia e Livia, sono in realtà altrettanto irrequiete: Livia manifesta la sua insicurezza col diventare "come tutte le vecchie madri rompicazzo del mondo", e col rovesciare la sua angoscia su Adriano, mentre Giulia... lo scoprirete alla fine del film (di qui il parallelo tracciato da alcuni giornalisti col Pietro Germi di Divorzio all'italiana).


Ciò che più mi ha colpito, alla seconda visione del film di Muccino, è la constatazione che il senso di malessere che pervade L'ultimo bacio, è accuratamente pianificato, e "seminato" ovunque, con precisione quasi matematica. Ogni inquadratura - e il termine "inquadratura" è in questo caso particolarmente azzeccato - è costruita per ingabbiare visivamente i personaggi ogni volta che la loro situazione si fa soffocante, o che la loro irrequietezza interiore li fa sentire in trappola. Pensate alla scena in cui Anna viene corteggiata da un neoseparato: il soffitto è praticamente a un centimetro dalla loro testa, le pareti sono tappezzate di quadri dalle cornici sproporzionatamente invadenti, Anna vede la sua immagine riflessa circoscritta da uno specchio a muro. Pensate a Carlo in macchina, quando si chiede: "Che ci faccio io qui?" (la domanda della nostra epoca, tra l'altro), stritolato dall'abitacolo dell'auto, stretto nei riquadri dei finestrini, delle portiere, prigioniero di cromo e lamiera. Pensate infine ad Adriano che respira affannosamente in quel cubicolo di bagno dove si è rinchiuso, incastonato fra la porta, lo specchio (ancora!) e il lavandino, mentre fuori Livia bussa e grida.

Il dramma della nostra generazione è che non sa cosa volere, dice Muccino, e per generazione intende tutto il genere umano che qui ed ora abita il mondo occidentale, con la possibile eccezione di qualche vecchio resto di un mondo - quello del senso del dovere, come dice lo zio di Paolo - destinato a scomparire. Una generazione che si divide in "quelli che partono e quelli che restano" - ma anche quelli che restano sognano in segreto di partire, e quelli che sono partiti non pensano che a ritornare. "Fermo per tutta la vita non ci vuol stare più nessuno", dicono i trentenni dell'Ultimo bacio, ribadendo la necessità di "non smettere di sentirsi in movimento".

"Non c'è via d'uscita se non la fuga", sentenzia Paolo, non a caso quello che deve affrontare le maggiori difficoltà, e che si sente assediato su tutti i fronti. Se nel cinema di Salvatores la fuga era gioiosa e liberatoria, in quello di Muccino è inefficace e malinconica, anzi, patetica, come dice Anna, il personaggio più sincero di un film in cui tutti mentono, soprattutto a se stessi, e tutti sono alla ricerca di qualcuno di cui innamorarsi, di qualcosa in cui non "smettere di credere", perché serve a "sentirsi vivi".

La contrapposizione, in questo film che è solo apparentemente una commedia romantica, non è infatti tra amore e morte ma proprio tra morte e vita. Nella galleria di personaggi ci sono i moribondi (il padre di Paolo), i morti che camminano (l'ex fidanzata di Paolo, per la quale la recitazione catatonica di Regina Orioli trova finalmente una giusta collocazione) e i sopravvissuti loro malgrado (la madre di Paolo). C'è la vita che se ne va e quella che arriva (la figlia di Carlo e Giulia), la voglia di flirtare con la morte (il bungee jumping), il terrore di scoprirsi morituri, o anche semplicemente cloni dei propri genitori.

Quanta disperazione, nell'Ultimo bacio, che trova nella colonna sonora, a tratti straziante, a tratti parodistica, qualche volta accorata, qualche altra ironica, una perfetta corrispondenza con le immagini. Se c'è un suono adatto a questo film, e a questa epoca confusa, è quello del fagotto, insieme grave e ridicolo.

Il senso del ridicolo, e il dosaggio sapiente che ne fanno gli attori e il regista, è ciò che rende il film godibile. Ognuno dei protagonisti ha almeno una scena estremamente drammatica, affrontata con accorata sincerità, e una comica, nella quale l'attore si mette alla berlina. Claudio Santamaria, nel ruolo di Paolo, sa prodursi in monologhi spassosi ma sa anche piangere come un bambino o, ancora più dolorosamente, dichiarare il suo amore a una che "non lo ama niente". Luigi Diberti, il marito di Anna, è un maestro di comica passività aggressiva, ma sa rivelare una tenerezza insospettabile nella scena finale con la moglie. Persino Marco Cocci nel ruolo di Alberto, ironicamente impermeabile a qualsiasi coinvolgimento, riesce per un attimo a comunicare la disperazione che sottende al suo nichilismo programmatico.

I cameo sono strepitosi: in particolare quello di Vittorio Amandola, lo zio di Paolo, che ha due sole scene, una nel negozio di famiglia e una al capezzale del cognato, e rende entrambe indimenticabili; e quello dell'anonima invitata al matrimonio dell'inizio che si è scopata Alberto, e se lo riscoperebbe subito, "di brutto".

In senso lato, la caratteristica di tutte le protagoniste femminili dell'Ultimo bacio è l'assenza di vanità e il coraggio nel presentare il proprio lato più sgradevole: Sabrina Impacciatore (che in Convenscion imitava Maria Antonietta e Marina del Grande Fratello) rende l'ingrato ruolo di Livia tanto sgradevole quanto umanamente comprensibile. Giovanna Mezzogiorno è irresistibile nei panni della Medea delle penultime scene, tanto più sorprendente quanto più contrasta con la compostezza delle scene iniziali (volutamente irritante, sia chiaro). Per contrasto la recitazione di Stefano Accorsi è efficace soprattutto quando è minimalista: uno sguardo di panico, un irrigidirsi dei muscoli bastano a comunicare il suo terrore di essere colto in flagrante. E Martina Stella, con la sua interpretazione impavida e sincera, ci ricorda che non ci si innamora più così completamente come la prima volta.

Ma è Stefania Sandrelli a mangiarsi lo schermo con il suo ritratto di una donna fragilissima e vibrante, mettendo in mostra tutti i cedimenti dell'età (e arrivando al punto di sottoporsi al confronto diretto con un'immagine di se stessa da giovane, una di quelle che ti fanno dire: "Ma quanto era bella la Sandrelli!!"), passando senza soluzione di continuità dalla determinazione allo smarrimento, dalla furia alla dolcezza, cioè facendoci salire in tempo reale sullo stesso ottovolante emotivo che si è impossessato del suo personaggio. E all'onestà di fondo di Anna spetta la scelta fra ciò che è importante e ciò che è "aria".

Qualcosa però ci dice che Muccino non le crede, perché anche lui "non sa cosa volere". Ecco perché il suo film ha molteplici finali. Ecco perché non sceglie da che parte stare. Muccino non pare convinto, come fa dire nel suo film, che la vera rivoluzione sia la normalità, né che la vera utopia sia la fedeltà. Muccino si limita a testimoniare che ogni decisione ne contiene un'altra speculare e contraria, e che l'incoerenza è la nostra attuale condizione di vita.


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