Editoriale/Ora e sempre, trattative
Giancarlo
Bosetti
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Fuori misura tante, troppe
reazioni alle parole del presidente del Consiglio sulla giornata dell'orgoglio omosessuale
che si terrà in luglio a Roma. Hanno davvero esagerato, soprattutto quelli che hanno
visto in quel "purtroppo" una minaccia alla Costituzione, ai diritti di
libertà, alle garanzie per le minoranze. Quando Amato dice che "purtroppo" c'è
la Costituzione che garantisce a tutti il diritto di manifestare - forse non la più
indovinata delle sue battute - ci vuole una discreta fantasia per immaginare che il capo
del governo deplori i principi di libertà contenuti in quel documento.
Non occorre un esegeta troppo sofisticato per intercettare nel paradosso di quel
"purtroppo" la rappresentazione di una realtà diplomaticamente complicata, alla
quale non si può - ahinoi! - sfuggire, come quando ci capita di lamentarci: purtroppo ho
gli occhi per vedere e le orecchie per sentire. E se quello che vedi e che ascolti è un
amico che sparla di te o una fidanzata che ti tradisce, ti scappa di dire: meglio essere
ciechi e sordi. O vorresti essere altrove. Ma poi non è vero, ci tieni agli occhi e alle
orecchie. E così pure alla Costituzione. Tutte complicazioni della nostra esistenza, in
un certo senso. Così come la facoltà di ragionare (non deplorava già Brecht questo
"difetto", questo "purtroppo" degli esseri umani?), la quale ci può
aiutare a capire che nella fattispecie - manifestazione gay contro giubileo - non è in
gioco un diritto in assoluto ma che si tratta di un conflitto tra opportunità, e magari
di opportunismi, tra soggetti adulti e vaccinati: il Vaticano da una parte ed il movimento
gay dall'altra.
Dalle due parti rimbalzano le accuse: lo sapevate da un pezzo, almeno due anni, che
volevamo fare questo raduno omosessuale. Di là possono ben rispondere che l'arrivo del
giubileo nel 2000 era prevedibile fin dal principio del secolo, e ancora più su. I laici
sono comprensibilmente infastiditi da un certo "effetto di padronanza" della
Chiesa su Roma e su tutto quanto nella città avviene durante l'anno. E i cattolici
potrebbero essere non meno seccati del fatto che un raduno mondiale dei gay proprio
quest'anno è sì l'esercizio di un diritto, ma anche una tipica azione di
"contromarketing", di quelle cioé che cercano di ricavare forza di immagine
proprio dal disturbo che recano all'evento maggiore che ha già concentrato tutte le
telecamere del mondo.
In questi casi l'unica soluzione giusta e possibile è un compromesso. E' un compromesso
più che tra diritti, indiscutibili, tra esigenze e interessi in conflitto, tra reciproche
ragioni da rispettare (lo ha detto bene il ministro Livia Turco). Negli anni caldi della
contestazione c'era forse più pratica di queste cose. I percorsi dei cortei e le forme
delle manifestazioni erano oggetto di trattative. Ci si metteva davanti a una mappa, i
manifestanti, il Comune, il questore. Qui sì, là no, questa piazza è troppo piccola,
quell'altra è troppo grande. Si riusciva a far ragionare anche le teste calde. Quasi
sempre.
Vedrete che ci si riesce anche stavolta, senza incrinare i principi dell'89. E senza che
nessuno pretenda di costringerci a credere che le ragioni dell'etica stiano dalla parte
dell'eterosessualità, o viceversa. Perché lì entriamo nel campo degli articoli di fede.
Liberi tutti di schierarsi dalla parte che preferiscono.
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