Questa intervista fa parte dellEnciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche, unopera realizzata da Rai-educational in collaborazione con
lIstituto italiano per gli studi filosofici e con il patrocinio dellUnesco,
del Presidente della Repubblica Italiana, del Segretario Generale del Consiglio
dEuropa.
L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme despressione
e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza della filosofia nel
suo svolgimento storico e nei termini vivi della cultura contemporanea.
Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it
La nostra conversazione verte sulla semiotica o semiologia. Alcuni si chiedono se
semiotica o semiologia siano la stessa cosa o due cose diverse...
Semiotica e semiologia sono due discipline che studiano il funzionamento dei segni e
della loro significazione nella vita culturale e sociale. La differenza fra i due nomi ha
una valenza di tipo storico (prima si e' parlato di semiologia, in Europa almeno, poi di
semiotica) ma anche applicativa e di riflessione di metodo. Dal punto di vista applicativo
le discipline semiotiche tentano di studiare il funzionamento della significazione dal
punto di vista della conoscenza; la semiologia tenta di studiare i segni. In altri termini
la semiologia e' piu' orientata verso uno studio dei linguaggi e delle categorizzazioni
segniche: la differenza fra un segno verbale, un segno visivo, un gesto o uno spezzone di
film; invece la semiotica si interessa di piu' ai sistemi, ma anche ai processi del
significare.
Possiamo cercare di fare una ricostruzione storica di queste due branche che sono
connesse, ma in un certo sono anche distinte. Dove, quando e in quale contesto culturale
nascono queste due scienze?
La riflessione sulla problematica del segno, e specialmente del segno linguistico,
accompagna tutta la cultura e tutta la filosofia occidentale. Tuttavia, dal punto di vista
della nascita di una disciplina autonoma (con intenti scientifici di classificazione e di
conoscenza metalinguistica) questa si costituisce insieme alla linguistica moderna come
disciplina filosofica, ma sorattutto scientifica, nel periodo intorno alla fine della
Prima Guerra Mondiale con l'insegnamento di Ferdinand de Saussure. Nello stesso tempo, il
successo delle discipline semiotiche, cioe' il tentativo, almeno all'inizio, di estendere
ed espandere i metodi con cui la linguistica studia il linguaggio ad altri sistemi
segnici, permette di tornare con interesse sugli studi filosofici e linguistici che erano
precedenti alla scoperta saussuriana. Da questo punto di vista, c'è oggi una disciplina
molto feconda di studi della pertinenza delle ricerche semiotiche, di filosofia del
linguaggio e di filosofia dei segni, per cosí dire, che risale alla cultura greca secondo
una classica tradizione della nostra storia della filosofia.
In questo periodo, cioè verso la seconda metà dell'Ottocento, oltre a Ferdinand de
Saussure, emerse Charles Sanders Peirce, fondatore della semiotica negli Stati Uniti.
Peirce fu forse il più grande pragmatista americano, fondatore probabilmente di una
tradizione che continua fino ad oggi. Una delle attività di questo filosofo (che e' anche
un grande epistemologo, soprattutto un grande teorico della scienza e della conoscenza) fu
quella di organizzare tutti i sistemi di segni in una maniera altamente complessa e
differenziata.

Come si differenzia l'approccio peirciano, la classificazione e i funzionamenti dei
segni, dall'approccio saussuriano, quindi la semiotica di Peirce dalla semiologia
saussuriana?
Peirce e' eminentemente interessato ai problemi della conoscenza e quindi centra la
propria attenzione su una problematica di tipo classificatorio, ma anche di modalità
conoscitive epistemologiche, gnoseologiche: per esempio centra la nozione di segno sulla
nozione di trasferimento e di inferenza. Per Peirce un segno e' una cosa che sta al posto
di un'altra cosa sotto qualche rispetto o qualche altra proprieta'. In altri termini, il
segno e' sempre relazionale, ma per passare da un segno ad un altro segno, sono necessarie
delle operazioni cognitive ed epistemologiche, nel caso particolare, delle inferenze.
La teoria peirciana e' una teoria della trasposizione tra segno e segno; in questo senso,
il significato e' non intrinseco, ma soltanto traspositivo, pero' attraverso modalità
inferenziali classiche. Per Peirce un allargamento delle modalita' aristoteliche
dell'inferenza (per esempio la deduzione e l'induzione) porta a definire come
specificamente semiotici dei processi, delle operazioni del pensiero, di tipo abduttivo,
in cui, senza partire ne' da leggi generali per arrivare a fenomeni particolari, ne' da
fenomeni particolari per inferire leggi generali, con un fenomeno combinatorio, con una
ipotesi ipotetico-deduttiva, si cerca di passare da un segno all'altro, anticipando a
volte delle leggi generali ipotetiche e poi verificandole.
Potrebbe fare qualche esempio sull'abduzione in relazione alle due altre inferenze,
cioè deduzione ed induzione, in modo da far capire qual'è la novità di questa proposta
di Peirce?
Mentre la deduzione è una disciplina tautologica (esempio: noi sappiamo che tutti gli
uomini sono mortali, poi sappiamo che Socrate è un uomo, quindi la scoperta che Socrate
è mortale non ci dà nessuno stupore), l'induzione è necessariamente limitata dal punto
di vista della conoscenza. Per esempio, sappiamo che l'insieme di tutti i dati del mondo
non potrà mai costituirsi in una legge generale, perche' è sempre possibile aggiungere
un nuovo dato differenziato che smentirà la nostra ipotesi.
Professore, puo' fare qualche esempio di induzione classica, la piu' banale e semplice?
Beh, poiche' tutti i corvi che abbiamo incontrato fino ad oggi sono neri, noi abbiamo una
legge del tipo: tutti i corvi sono neri. Ma se qualcuno arriva un giorno con un corvo
bianco, la legge decade immediatamente. Quindi la pretesa di verita' dell'induzione e'
limitata a una smentita che puo' darsi su un solo esempio. Qual'e' il valore
dell'abduzione? Questa ipotesi, che ha molto fruttificato nel pensiero per esempio di
Umberto Eco e ne ha costruito, insieme alla teoria dei mondi possibili, una delle basi
della propria riflessione, rappresenta un modo di giungere alla verita' non per via
gradualmente induttiva, ma attraverso alcuni dati insufficienti per creare una legge. Si
fa, cioé, l'ipotesi di una legge generale e si ridiscende poi per provare i dati. Un
esempio che Eco fornisce spesso (ma che potrebbe essere estrapolato dal pensiero di
Peirce), è la pratica del romanzo poliziesco, dove da pochi indizi si anticipano le
generali, culturalmente e generalmente valevoli o naturalmente valevoli, e da queste poi
si arriva alla verità. Diciamo: un marito uccide la moglie perche' ha bisogno dei suoi
soldi.
Gli interessi e le passioni costituiscono fin da Aristotele un eccellente modo di
ragionamento. Ero arrabbiato, dunque... Questo aspetto di cui abbiamp parlato fino adesso,
è la problematica di Peirce, cioè la riflessione sui segni in quanto rinvio a base
inferenziale. La semiologia parte da un punto di vista assolutamente diverso e la
convergenza con la semiotica peirciana costituisce il problema. La semiologia parte da una
base linguistica e si definisce, almeno nelle prime applicazioni (quelle ad esempio di
Roland Barthes) come una translinguistica, cioè come un modo di applicazione di categorie
del linguaggio ad altri sistemi di segni, per renderli intelligibili. Si parla di una
sintassi dell' immagine per definire i modi di relazione che le immagini intrattengono fra
loro. Ancora, si parla evidentemente di metafora, nozione elaborata all'interno di una
teoria linguistica allargata, retorica o letteraria, per estrapolarla dalla gestualità.
In altri termini, all'inizio il primo movimento semiologico è di estrapolazione e di
estensione delle conoscenze linguistiche. Si tenta, in maniera molto forzosa, di applicare
analogicamente a sistemi di espressione diversi dal linguaggio categorie elaborate dal
linguaggio. Per esempio: esistono dei cinemi, esattamente come esistono dei fonemi, cioè
esistono delle unità visuali del cinema identiche alle unità sonore del linguaggio?
Evidentemente si tratta di operazioni speculative ed ipotetiche che vanno sottoposte alla
smentita e alla verifica. Per un lungo periodo, questo tipo di ipotesi iniziale di
verifica translinguistica ha costituito un documento di applicazione di una certa
importanza. Questo significava pero' che nell'ambito semiologico, in qualche misura ogni
segno veniva trattato piu' o meno come una parola, anzi, per essere piu' precisi, come un
elemento del lessico, perche' la semiologia si voleva come una lessicologia di segni e
quindi come tale applicava prevalentemente alla lingua nozioni di tipo lessicalista.
Uno sviluppo radicale di questo secondo aspetto della semiotica, cioè la semiologia, è
stato costituito dallo studio delle teorie narrative. Questa ipotesi non è soltanto una
ipotesi letteraria: si puo' sostenere che nella relazione linguaggio-realtà,
segni-realtà, il problema di base non sia quello della relazione tra un segno, una
parola, e il reale, ma che l'atto di riferimento, che coi segni e col linguaggio noi
compiamo rispetto alla realtà, è un atto che viene compiuto eminentemente a livello di
atto segnico o di atto linguistico, cioè che la referenza passa attraverso azioni
linguistiche di riferimento che sono di taglia molto diversa dalle parole.
Puo' portare qualche esempio di narrazione, di analisi del racconto, che faccia capire
cosa significhi questo in pratica?
L'analisi narrativa è cominciata in semiotica quando Greimas, semiologo lituano che
viveva in Francia, ha applicato una tecnica di ricostruzione logica interna alla scoperta
di Vladimir Propp, un folklorista russo, che, nell'ambito del sistema formalistico, aveva
tentato di ricostruire una specie di morfologia idealtipica delle favole; cioè aveva
tentato di ridurre gran parte delle favole del floklore russo, un certo genere di favole e
racconti di magia, a una serie regolata di disposizioni di elementi successivi. Greimas ha
riorganizzato questa tipologia empirica e ha tentato di estrapolare una serie di
comportamenti, di azioni e di interazioni di azioni, cioè di intrighi, che sarebbero
antropologicamente generali.
Questa operazione è stata di grande importanza perche', da una parte, ha staccato
immediatamente la problematica della significazione dall'aspetto lessicale o
translessicale e, dall'altra parte, lo ha posto deliberatamente a livello di significato e
a livello di una sintassi degli elementi del significato, intendendo in questo caso per
sintassi le regole di azione che legano fra loro le componenti narrative. Spostare
l'accento dagli elementi segnici, dalle loro articolazioni per codici, cioè per paradigmi
costruiti per sostituzione, all'importanza invece della combinatoria degli elementi, ha
costituito, secondo me, un progresso considerevole persino per la definizione del
riferimento, che preoccupava piu' i logici non semiotici, nel senso che l'atto di
riferimento al mondo è dunque, come dicevo, non un atto per cui da una parola si rinvia
alla cosa, da un segno alle cose, ma un atto configurante, come direbbe Ricoeur, per cui
un'organizzazione di senso, narrativamente articolata, rinvia a un mondo, che è
semiotica.
Effettivamente vedendo le cose dall'esterno, il fatto che l'interesse della semiologia si
sposti da una dottrina del segno alla narrazione potrebbe far pensare che in realtà la
semiologia si occupa sempre meno della questione del senso, del rapporto
significante-significato, e si occupa sempre piu' in qualche modo di costruire dei
paradigmi; in effetti è molto difficile intendere che cosa possa voler dire "un
racconto ha un senso". Quindi in realtà c'e uno spostamento di accento che va, mi
sembra di capire, da una concezione di filosofia del segno verso qualche altra cosa, che
ha a che fare, forse, con altre dimensioni. Allora, in questo caso entra in gioco quello
che dagli anni Sessanta in poi si è chiamato "strutturalismo".
Secondo lei, lo "strutturalismo", che è molto legato all'esperienza della
semiotica, ha a che fare con questa svolta per cui ci si interessa sempre di piu' ai
racconti, oppure sono due cose indipendenti?
No, affatto. Il problema è che lo "strutturalismo" è un movimento generale
affermatosi in diversi tipi di scienze (scienze umane e non), che mette in evidenza piu'
che i termini, la problematica della relazione fra i termini. Se si accetta questa
definizione dello "strutturalismo", la cosa interessante della semiotica e' di
aver tentato di estendere la problematica delle relazioni non solo alla forma, come il
"gestaltismo" aveva fatto, per esempio, ma prevalentemente alle questioni dei
contenuti. L'idea di fondo è che il contenuto, non la realtà, ma il contenuto del segno
è anch'esso articolato. E questo tipo di articolazione puo' essere descrivibile sia in
termini paradigmatici, cioè per opposizioni e correlazioni, sia in termini sintagmatici,
cioè per movimenti e trasformazioni.
Pare che sia appunto fondamentale questa distinzione fra il "sintagmatico" e
il "paradigmatico". Forse sarebbe il caso di spenderci qualche parola in piu'...
Una volta accertato il modo con cui noi parliamo, è limpido che il nostro modo di
esprimerci è di tipo sequenziale. Le parole che io ho appena pronunciato non sono piu'
presenti nel discorso e il mio discorso si configura come una sequenza di segni il cui
significato appare a posteriori. Ora, un altro modo di organizzazione del segno è quello
evidentemente analitico di una scomposizione della sequenza del discorso e della
organizzazione di categorie che, per esempio, permetterebbero dopo una lunga conversazione
di classificare tutti insieme tutti gli aggettivi che ho usato, tutti i verbi che ho
usato, tutti i nomi che ho usato, tutti gli articoli che ho usato.
In questo caso tutte queste categorie sintattiche sarebbero dei paradigmi che
formerebbero, diciamo cosi', le riserve all'interno delle quali io opero una scelta per
disporle sintagmaticamente. Si tratta di un fenomeno molto importante (il paradigma)
perche' possiamo dire che quello che noi conosciamo, la nostra conoscenza linguistica,
archiviata o no nel nostro cervello o in generale in quella rappresentazione che sarebbe
piu' comodo chiamare mente, è di tipo paradigmatico. Noi abbiamo una serie di conoscenze
di tipo paradigmatico e la sintassi è in qualche misura un modo di creazione di ritmo,
cioè di disposizione, di scansione e di processo, che introduce nuove relazioni di senso
sui paradigmi che sono a nostra disposizione e che costituiscono in qualche misura, come
diceva Saussure, il "tesoro" della nostra lingua.
Se possiamo tornare ai rapporti con lo "strutturalismo", com'è che a un
certo punto il destino della semiotica sembra legarsi in modo intimo alla fase
strutturalista nelle scienze umane? E che apporto la semiotica ha dato ad altre scienze
umane nella loro fase strutturalista o nelle loro tendenze strutturaliste?
La semiotica è una disciplina che, studiando i metodi di costruzione, di distruzione e di
disposizione del significato, evidentemente ha posto le scienze dell'uomo come suoi
elementi privilegiati. Ma anche le scienze naturali, nella misura in cui vengono scritte,
vengono descritte; in questo senso l'oggetto della semiotica, che è il linguaggio,
permette di accedere non alla realtà in diretta, ma al modo con cui questa realtà viene
descritta dalle scienze naturali. In ogni caso, tutti i fenomeni di costruzione di
significazione possono essere passibili di un trattamento semiotico. Il fatto che lo
"strutturalismo" si sia definito, diciamo intorno agli anni Sessanta, come una
disciplina che inaugurava una maggiore attenzione alla problematica di codice,
paradigmatica, piuttosto che a quella storicista, di tipo sintagmatico, il fatto che lo
"strutturalismo" per un certo periodo abbia messo in evidenza apertamente le
dimensioni relazionali fra i segni, ha rappresentato la base di incontro con la semiotica.
La semiotica tuttavia si e' subito definita come una disciplina piu' ambiziosa, ma in un
certo senso piu' limitata: piu' ambiziosa perche', porsi la questione di significato vuol
dire, in altri termini, coinvolgere gran parte della riflessione filosofica sulla
costituzione del senso. Percio' parte della semiotica ha preso un andamento francamente
filosofico. C'è oggi una filosofia del segno che non utilizza le problematiche tecniche
dell'analisi degli strumenti semiotici, esattamente come c'è una filosofia del linguaggio
che puo' essere condotta ignorando nella maniera assoluta le categorie costruite dalla
linguistica.

E per quanto riguarda l'altra semiotica? Mi pare infatti di capire che ce ne siano di
due tipi, e che lei ha parlato per ora solo di una branca....
L'altra ipotesi della semiotica è quella di porsi come una metodologia per le scienze
dell'uomo, cioè di porsi come un metodo che procura delle organizzazioni concettuali, che
sono in parte costruite a partire dai risultati e dalle scoperte nelle scienze dell'uomo -
psicoanalisi, antropologia, sociologia, psicologia - ma che dall'altra parte utilizza
queste scienze dell'uomo come fonti di concetti, che possono essere organizzati in modelli
e poi riapplicati con criteri di scoperta alle scienze umane. Di qui una gerarchia che
descriverei facilmente in questo modo: il linguaggio semiotico ha uno strato teorico, uno
strato di metodo e uno strato applicativo. Lo strato applicativo è piu' vicino alle
conoscenze dei testi - intendo per testo anche quelli gestuali, visivi, cinematografici,
eccetera - un livello superiore, metodologico, che controlla, per cosi' dire, e rende
coerenti fra loro i metodi delle applicazioni, e un livello teorico, che in qualche misura
riflette sulle categorie fondamentali che sono all'opera nel riconoscimento di questi
metodi.
Fornisco un esempio immediato, che è quello di soggetto-oggetto: definire oggi il
soggetto-oggetto è assai arduo, a meno che non si accetti una interdefinizione tra i due
elementi e a questo punto lo studio dell'interdefinizione di concetti come, per esempio,
azione-passione, azione-comunicazione, si costituiscono come delle coppie che fanno parte
del livello teorico. Osserveremo senza difficoltà che il livello teorico (riflettere
sulla azione o la passione, sulla comunicazione o l'azione, sul soggetto o l'oggetto) è
in realtà già un livello filosofico; in altri termini, la teoria è in presa con una
definizione filosofica.
Che ruolo ha l'opposizione nella semiotica?
Siccome la semiotica è una disciplina fondata sulle relazioni, evidentemente le grandi
categorie logico-relazionali, quali sono quelle estrapolabili dal linguaggio e
precisamente dalle preposizioni, "e", "o", e cosí via, costituiscono
caratteri privilegiati del suo trattamento. La dimensione sintagmatica privilegia la
relazione consequenziale (la "e") mentre la struttura paradigmatica privilegia
le opposizioni; naturalmente sulla natura e la complessità di queste opposizioni sono
stati costruiti da una parte discorsi filosofici che le fondano o che le revocano, ma
dall'altra parte, strutture metodologiche che consentono di organizzarle e di
semplificarle. Per esempio l'investimento oppositivo, per cui il bianco e il nero sono
opposti, viene immediatamente sfumato se si pensa che ci sono categorie come il non-bianco
e come il non-nero, oppure che ci sono categorie che possono permettere di riunire insieme
categorie come "ne' bianco ne' nero"o "bianco e nero".
In altri termini, a livello metodologico la teoria consente di produrre modelli esagonali,
che a partire da una opposizione minima sfumano e rendono complesse le opposizioni. Quindi
sarebbe un errore dire che la semiotica è una disciplina essenzialmente binaria. I
principi delle opposizioni sono binari, ma gli sviluppi e le applicazioni metodologiche
giustamente vanno molto oltre. L'affermazione iniziale di Jakobson secondo cui ogni forma
di intelligibilità si faceva per opposizione, risale ad una opposizione grammaticale e
lessicale fondamentale. Tutto il lessico è organizzato per sinonimia o per antonimia,
cioè per elementi con consonanza di significato o con opposizione di significato.
Quando Saussure parla di semiologia, effettivamente si parte dall'idea di un sistema,
cioè si da' come presupposto di una linguistica o di una semiologia scientifica, il fatto
che questo insieme di relazioni fra i segni costituisca un sistema. Ora il concetto di
sistema ha avuto un grandissimo successo nel nostro secolo, anche fuori della linguistica
e della semiotica. In molte discipline anche in antropologia, in biologia, in un certo
senso si parla del primato del sistema. Che differenza c'è fra questo sistema, come, per
esempio, se ne parla in alcune tendenze sistemiche, e quello della semiologia o semiotica?
Direi che la tesi fondamentale della semiotica è che non c'è mai un solo sistema ma
ce ne sono parecchi in una società. E che anzi in una società, per definizione, la
significazione è caratterizzata da diversi sistemi fra loro in condizione di
trasposizione e di traduzione. Questa versione della semiotica è a mio avviso capace di
conservare gli aspetti di codice (cioè di organizzazione sistemica del linguaggio) e di
rendere, da una parte, conto della complessità di interazione tra codici e, dall'altra
parte, altri tipi di codici e l'attività di traduzione fra questi.
Codice e sistema sono per la semiotica la stessa cosa?
No, sistema e codice non sono la stessa cosa. Il sistema puo' essere puramente
paradigmatico, puramente disgiuntivo. Per esempio tutte le vocali della lingua italiana
sono un sistema, eppure non c'è incluso in questo sistema il fatto che in italiano non si
puo' mettere la "n" davanti alla "p". L'introduzione della regola che
non si puo' mettere "n" davanti alla "p" o che non si possono mettere
quattro consonanti di seguito all'inizio di una parola che precede una vocale, sono regole
che vengono introdotte, che fanno parte del codice, ma che non sono sistemiche. Cioè, per
la definizione del sistema ci sono sufficienti criteri distintivi, per capire cos'è un
codice è necessario introdurre le regole di combinazione.
In altri termini, la semiotica studia simultaneamente l'aspetto paradigmatico e l'aspetto
sintagmatico, cioè l'aspetto di disgiunzioni categoriali ma anche delle regole di
compatibilità ed incompatibilità combinatoria. Questa è quindi una differenza
fondamentale. L'altra differenza fondamentale è che la semiotica studia lingue naturali,
oppure sistemi di segni naturali, come la gestualità dei sordomuti, voglio dire. E'
evidente che lo studio di sistemi di segni naturali provoca un'alterazione radicale della
conoscenza, perche' una lingua non è solo un sistema, ne' un codice è un sistema di
sistemi, anzi un codice di codici.
Pero' si potrebbe obiettare che la semiotica si occupa anche di racconti o testi
letterari, che forse non sono sistemi naturali.
No, i racconti, che si possono compiere oralmente, anziche', per esempio, con un balletto,
con i gesti e con la musica, sono comunque costruiti sulla base della lingua naturale e
quindi risentono inevitabilmente di una organizzazione categoriale della lingua naturale.
Pensate alla poesia, dove effettivamente le regole di traduzione ma anche di violazione
poetica, tengono conto necessariamente delle regole di base della prosodia naturale della
lingua. D'altra parte è vero che la lingua è un carattere naturale, quindi in crescita;
dunque queste operazioni di codice non sono naturali; non c'è un codice naturale della
lingua. E' attraverso i codici descrittivi, cioè i metalinguaggi, che noi descriviamo i
sistemi naturali e cerchiamo di renderli omogenei e intelligibili.
Professor Fabbri, cosa si intende per metalinguaggio?
Per metalinguaggio si intende la costruzione di un linguaggio descrittivo che rende conto
dei fenomeni del significato. Per esempio, quando si dice "Mosca ha due sillabe"
e "Mosca ha sette milioni di abitanti", la differenza fondamentale è che quando
diciamo "Mosca ha sette milioni di abitanti", parliamo proprio della città,
mentre quando diciamo "Mosca ha due sillabe", parliamo della città di
"Mosca", cioè quella cosa "Mosca", di sette milioni di abitanti, che
è composta di due sillabe. In altri termini, per parlare noi abbiamo bisogno di
categorie. Dire, per esempio, che noi parliamo per parole è già metalinguaggio: le
parole sono il modo con cui noi parliamo perche' abbiamo deciso di rendere queste parole
distinguibili.
Le distinzioni che noi facciamo, per esempio, fra sintassi, grammatica, morfologia,
lessico, rappresentano categorie che noi abbiamo costruito, che da millecinquecento anni
ci trasciniamo dietro e che hanno quindi assunto un grado di alta naturalezza. Tuttavia la
caratteristica fondamentale del linguaggio rispetto al metalinguaggio è che il linguaggio
naturale non ha bisogno di interdefinizioni, salvo quelle compiute da elementi
costruttivi, tipo i dizionari; il metalinguaggio invece deve essere interdefinito, cioè
ogni elemento del metalinguaggio deve occupare, rispetto a un altro, una distinzione
significativa che lo renda intelligibile rispetto all'altro. Mi spiego: se noi diciamo
"sintassi" e poi diciamo "morfologia", dobbiamo spiegare che la
morfologia è il sistema delle forme e che la sintassi invece è il sistema dei modi con
cui queste forme possono essere combinate.
Quindi metalinguaggio rappresenta un livello in cui la lingua stessa si interroga dentro
di se' e separa alcune sue parti per poter organizzare e meglio comprendere. Il nostro
linguaggio non sarebbe affatto omogeneo se noi non avessimo delle categorie interne a esso
stesso che lo possono rendere intelligibile. Possiamo tuttavia fare la stessa operazione
attraverso altri sistemi di segni; possiamo dividere il nostro linguaggio in categorie,
per esempio, logiche, oppure servendoci di una caratterizzazione matematica o aritmetica;
tuttavia in ogni caso ci sarebbe un altro livello di lingua che controlla il primo. Questa
è una delle caratteristiche straordinarie della lingua: essere nello stesso tempo la
grande fonte delle categorie per pensare se stessa.
Quando Lei dice che lo studio semiotico di alcuni sistemi di testi, per esempio
visuali, di immagini della danza, o di altre cose, in un certo senso sono possibili
perche' tutti partecipano della lingua, cosa vuol dire? Vuol dire che tutti questi sistemi
di segni hanno dei punti in comune essenziali con la lingua parlata, e che quindi in
realtà sono tutti quanti sullo stesso piano, o che dobbiamo presupporre la lingua parlata
come piu' fondamentale, come originaria rispetto a qualsiasi altro sistema di segni e che
quindi la linguistica in questo senso sia piu' "semiotica" di qualsiasi
altra cosa?
No. E' evidente che noi possiamo ritenere che nella nostra cultura il linguaggio si
sia sviluppato in maniera particolare e che il linguaggio verbale abbia, per cosí dire,
delegato una sua propria parte alla sintassi (perche' in fondo la sintassi non è altro
che avere delegato un certo numero di segni linguistici alla organizzazione dei segni
stessi) conseguendo una superiore caratteristica di intelligibilità. Tuttavia questo non
è esatto, prima di tutto perche' esistono altri sistemi di comunicazione altrettanto
importanti dal punto di vista del significato: pensiamo, per esempio, che parte del
significato non è solo cognitivo, concettuale, ma anche affettivo, si puo' sempre dire,
per esempio, che un'altissima quantità di significato passa attraverso l'odore con la sua
specifica organizzazione, mentre non passa attraverso il linguaggio; in casi molto
specifici, voglio dire, il contrario è sempre possibile.
D'altra parte l'esperienza di studio dei linguaggi dei sordomuti ci ha dato una curiosa
esperienza, cioè abbiamo imparato che alcune categorie fondamentali grammaticali, che noi
credevamo caratteristiche delle lingue, come il tempo, per esempio, o la modalità,
l'aspetto, il punto di vista, si ritrovano anche nei linguaggi dei sordomuti. Naturalmente
potrebbe prendere piede l'ipotesi che il linguaggio dei sordomuti abbia queste
caratteristiche proprio perche' ha dovuto adattarsi all'assenza del linguaggio verbale;
tuttavia questo puo' condurci alla conclusione molto piu' importante che alcune categorie
che noi abbiamo messo a punto riflettendo sul linguaggio sono in realtà molto piu'
profonde, cioè che le stesse categorie come tempo, spazio, aspetto, soggettività, sono
categorie generali di tutti i sistemi di segni, che si sono rese soltanto piu' specifiche
e diverse, a loro modo, nel segno linguistico. Quanto poi agli altri sistemi di segni e
evidente, per esempio, che si tratta di studiare quali sono i loro fondamentali meccanismi
di significazione.
Faccio un esempio che mi è sembrato sempre persuasivo; esiste, nella struttura della
narratività verbale una base minima: la qualificazione iniziale. L'eroe si qualifica per
compiere l'operazione - un'azione fondamentale che è il vero fare - l'eroe realizza
l'operazione, e molto spesso un terzo momentodi glorificazione, in cui l'eroe e la sua
operatività viene o riconosciuta o misconosciuta. Questa operazione, che è soggiacente a
milioni di racconti, è una vera regola grammaticale molto elementare (anche se altri tipi
di configurazione sono possibili) la si ritrova, che so io, nel profumo del vino,
nell'assaggio del vino: quando si percepisce il profumo, si sente che c'è una preliminare
apertura, c'è una testa del profumo, che rende competente il naso, lo apre per cosí
dire, poi arriva il corpo, si dice, cioè l'odore vero e proprio; sullo sfondo dell'odore
appare a volte una coda, che si qualifica rispetto all'odore precedente.
Si può dire che anche il profumo quindi sia un segno...
Voglio dire che il profumo è un segno dotato di significato, ma che probabilmente la
taglia dei modi con cui esso si esprime non è di tipo lessicale. Si ha un gustare
iniziale, cioè un momento preliminare qualificante per la bocca, che apre per cosí dire
le papille, poi c'è il sapore del vino, poi c'è quello che si chiama il retrogusto,
cioè il momento in cui sullo sfondo del sapore appare un sapore finale che qualifica e
che chiude la sequenza. Possiamo domandarci se quando facciamo queste operazioni con il
vino, con il profumo, noi non siamo soltanto in grado di estrapolare la narratività
linguistica.