Caffe' Europa
Attualita'



Non siamo galline ovaiole


Michele Serra con Paola Casella

 

Articoli collegati:
Al Pacino con o senza rete
Pochi pesci in un piccolo stagno
Non siamo galline ovaiole
Itinerario/I pirati dell'informazione
Segnalazione/Convegno La notizia nella Rete
Recensione/Insider
Segnalazione/Brill's content


Dieci anni fa Michele Serra decise pubblicamente di interrompere il suo rapporto di collaborazione con Epoca perchè il nuovo assetto proprietario della casa editrice - Mondadori - non gli consentiva di continuare il suo lavoro "con la necessaria serenità di spirito". "La sola vera libertà che abbiamo noi pennivendoli", scrisse allora Serra, nel suo articolo di commiato dal settimanale, "è venderci, quando possiamo, a chi ci pare.  E non venderci a chi non ci garba". Col tempo non ha cambiato idea, e ce lo spiega in questa intervista a cuore aperto, schernendosi: "Spero che le mie risposte non sembrino troppo romantiche o retrò".

 

Il film Insider solleva il problema di quanto la proprietà aziendale dei colossi multimediali rischi di limitare la libertà di informazione.  Lei che ne pensa?  

Il discorso è enorme.  A me fa impressione non tanto il fatto che le proprietà editoriali si concentrino in mano a pochissimi gruppi quanto il fatto che il prodotto che ne deriva sia molto omogeneo e conforme.  Se anche in occidente esistessero solo 4 o 5 multinazionali dell'informazione, ma ciascuna si diversificasse dalle altre nel linguaggio e nelle intenzioni, sarei meno preoccupato.  Certo, i vincoli diretti di interesse e controllo economico sono quelli più sporchi, ma che sul Corriere della Sera non vengano pubblicati attacchi frontali alla Fiat - o su Repubblica a De Benedetti - è una cosa di cui il lettore tiene conto, e quindi non lo scandalizza.  Mi sembra invece che il problema più grande, quello macroscopico, sia che le cosiddette scienze di mercato condizionano alla base la comunicazione, che esce già "formattata" a seconda di un input aziendale.

  In questo modo la comunicazione diventa qualcosa di profondamente fasullo e dozzinale, poverissimo di contenuti e terribilmente omologato.  I prodotti Mediaset e Rai, ad esempio, si confondono gli uni con gli altri: è impressionante.   Settimana scorsa sono stato a quella che credevo ingenuamente fosse una riunione di creativi di ambito Rai e mi sono invece trovato davanti una convention produttiva organizzata con gli stessi criteri non solo di Mediaset ma anche di Fiat o di una qualsiasi azienda del settore della moda: si è parlato fondamentalmente di quote di mercato, di ottimizzazione del prodotto.  Questo tipo di conformismo deriva direttamente dalla cultura aziendale e dal predominio dei manager all'interno delle aziende.  E' terribile vedere i creativi che fanno i manager e i manager che fanno i creativi.

 

Di questi tempi infatti i giornalisti vengono definiti "produttori di contenuti".

  Certo, perché sono trattati come galline ovaiole.  Dimenticandosi che quello giornalistico è un prodotto a forte contenuto intellettuale, e che se c'è una regola che ogni persona che comunica impara è che il mittente della comunicazione deve sentirsi indipendente, l'input deve rimanere esterno all'azienda, il che costituisce un posizionamento quasi tecnico rispetto ai mezzi di produzione.  Poi ovviamente nessuno si scandalizza se si deve arrivare a una confezione del prodotto che è anche compromesso e mediazione, ma l'idea che anche l'input della creatività debba rientrare nel meccanismo produttivo aziendale mi pare delirante e anche controproducente, perché il prodotto, ad esempio quello televisivo, diventa sempre più prevedibile, noioso e uguale.  L'informazione dovrebbe poter scegliere parole e strade sue, ed è perché non è così che i quotidiani si trovano in una crisi spaventosa. 

 

Quali condizionamenti subisce il giornalista da parte della proprietà?

  Il giornalista viene ossessionato in partenza dall'idea di pubblico che si sono fatti i manager: devi scrivere determinate cose per determinate persone.   Secondo me invece il messaggio nella bottiglia si lancia senza sapere chi lo riceverà, semplicemente perché si ha urgenza di scrivere quelle cose dentro a quella bottiglia. Il pubblico non esiste, è un magma indefinibile le cui reazioni per fortuna sono difficilmente preventivabili, è un insieme di persone in cui ognuno fa storia a sè, anche come consumatore, perché ha interessi che non sono incasellabili.  Non credo che quello sforzo gigantesco di incasellamento che è il marketing riesca ad aiutare chi deve comunicare a farlo meglio.

  Io ho sempre lavorato come se scrivessi per tre persone: me stesso, chi mi vuole bene e due amici.  Dopodichè mi è successo con grande stupore che altre persone che non conoscevo mi leggessero.Se tutto fosse così prevedibile e programmabile come crede il marketing sarebbe molto triste.  Per fortuna molto è affidato al caso, alle emozioni, alle strane correnti che si stabiliscono tra chi parla e chi ascolta, tra chi scrive e chi legge.

 

Ho anche un piccolo caso concreto da raccontare a suffragio della mia tesi: quando mettemmo in piedi Cuore fu fatta una ricerca di mercato il cui responso fu che l'inserto avrebbe venduto circa 50-60 mila copie fra i 30-40enni di sinistra.  Ma il marketing non ci prese minimamente, per nostra grande fortuna, perché vendemmo il triplo di quello che ci avevano pronosticato, e cioè 160.000 copie, a un pubblico composto soprattutto di ventenni.

 

Qual è il tipo di condizionamento più forte per un giornalista?  

Quello politico è oggi molto meno forte di quello aziendale. Lo si vede quando una sola persona assume entrambi i poteri, come nel caso di Berlusconi: l'istinto al condizionamento politico da parte di Berlusconi potrebbe essere quello di avere tre telegiornali perfettamente allineati con le posizioni del Polo, ma il condizionamento aziendale, per un calcolo produttivo preciso, fa invece sì che si decida di avere un telegiornale "neutrale". Il fatto che il TG5 sia guardabile anche da un pubblico di sinistra senza vomitare corrisponde a una pianificazione aziendale dell'informazione Mediaset. Ovviamente serve anche come foglia di fico politica, ma di base c'è la coscienza che il telegiornale principale del gruppo non può essere fatto alla Liguori o alla Fede perché perderebbe parte del pubblico, punto e basta.  E' una decisione di marketing.

 

Quale può essere l'antidoto al controllo aziendale dell'informazione?

  L'antidoto è lottare, litigare.  In ogni situazione bisogna cercare, con i propri mezzi, quando se ne ha il piccolo potere, di discutere, di tenere duro, di dire dei no. Se il livello di compromesso che ti viene richiesto è medio alto bene, altrimenti dici di no e amen.  Molti giornalisti e intellettuali non lo fanno perché non si accontentano di un pubblico di nicchia, anche se ci sono pubblici di nicchia attraverso i quali si può campare benissimo.  Certo, non si diventa ricchi. C'è un prezzo da pagare alla coerenza, discorso banalissimo ma profondamente vero.  Allentando la propria gabbia di resistenza o di discussione entrano in casa più quattrini. Il potere di corruzione da parte del denaro e dei modelli di vita di un ambiente nel quale il denaro circola a fiumi, come quello della televisione, è fortissimo.  I soldi sono una bella cosa, quindi capisco che facciano parte del dicorso a pieno diritto: nessuno vuol fare della retorica pauperista. Ma la vera scelta è sempre fra fare quello che piace a te o quello che piace agli altri, e molti, per fortuna, cercano ancora di fare quello che piace a loro e sono felici anche se non sono ricchi.   

 

E' una responsabilità individuale, allora.

 

Sì, secondo me sì: in una fase di conformismo acuto come quella che stiamo vivendo penso che la presa di posizione, o anche solo il dubbio individuale, siano l'unica salvezza possibile.  Non vedo in questo momento grandi antidoti politici in senso ben organizzato e strutturato. E' buffo,  si sta verificando un capovolgimento dei ruoli: la destra aziendale, che è l'unica vera grande destra, parla nel nome dei grandi numeri e delle masse, e la sinistra deve riformattare attorno alle libertà e ai diritti individuali. Sono tornato da poco dalla serata di Genova per De Andrè, un artista che era proprio l'antitesi rispetto al discorso produttivo aziendale: irregolare e pigro, non seguiva le norme del mercato e faceva i dischi quando voleva lui, perché prima doveva scattargli la voglia di dire una cosa e poi si poneva il problema della confezione. De Andrè, che pure era il più profondamente di sinistra di tutti gli artisti di sinistra, lo era soprattutto per questo suo essere totalmente fuori dalle regole della produzione coatta.  

Forse però la globalizzazione del mercato non consente più di sottrarsi a certe regole.

 

Tutti dicono che non può più esistere nulla di piccolo, perchè il pesce grosso mangia inevitabilmente il pesce piccolo.  Io non ci credo, credo invece che le piccole e medie aziende culturali possano sopravvivere all'interno del loro ambito.  Il problema è che nessuno accetta di restare all'interno di un ambito limitato.  Si diventa vittime di un condizionamento a priori per cui si crede che di non riuscire a nuotare da soli, ci si mette in testa di essere pesci piccoli e si finisce per andare a cercare il pesce grosso e infilarglisi in bocca.

Io invece mi auguro che ciò che è troppo grosso prima o poi scoppi, come la rana che diventa bue: il collasso di certi macrosistemi provoca sempre un brivido di piacere in chi non ama il troppo potere. Spero che la megalomania paghi un dazio, e che fra cento anni ci si racconti con sgomento di quel periodo storico nel quale si credette che soltanto le macroaziende potessero stare sui mercati, quando poi invece i colossi aziendali fecero la fine dei dinosauri, mentre sopravvissero gli organismi più agili, i piccoli mammiferi, come le lontre, che a me piacciono tanto.

   

 

Articoli collegati:
Al Pacino con o senza rete
Pochi pesci in un piccolo stagno
Non siamo galline ovaiole
Itinerario/I pirati dell'informazione
Segnalazione/Convegno La notizia nella Rete
Recensione/Insider
Segnalazione/Brill's content

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio Attualita'

 


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo