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Al pacino con o senza rete


Giancarlo Bosetti

 

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Giancarlo BosettiChe succede al giornalismo nell'era digitale? A guardarci intorno vediamo diluviare promesse di un mondo trasparente, di gente informata attraverso migliaia di nuovi canali e strumenti. Le informazioni arrivano, o arriveranno tra poco, nei modi piu' comodi e piu' strani: dal telefonino, dalla tv, dai palm-top, dai computer, dai display collocati ovunque, anche sulle lavatrici, sul forno, dal manager elettronico della cucina, da nuovi apparati nati dall'intreccio genetico tra tutti i nostri vecchi attrezzi domestici, dalla carta digitale che prima o poi uscira' fuori dai laboratori del Media-lab, dall'e-book. E certo continueremo, in buona misura, a leggere le notizie sulla vecchia cara carta sfornata dalle vecchie care rotative.

Ma che succede alle notizie e al mestiere di chi le deve scegliere e scrivere? Il "New York Times" mantiene in prima pagina il fortunato box "All that's fit to print", tutto quello che merita di essere stampato. Nella versione digitale suggerita da un titolo di "Wired", lo slogan diventa: "All that's fit to pixel". Ma, computer o carta, le cose non cambiano. La notizia è la notizia. E se andate a vedere il film "Insider" scoprirete che il mito del NYT resiste immutato. Al Pacino, eroe televisivo del giornalismo libero e ardito, capace di sfidare le multinazionali del tabacco, salva la situazione vuotando il sacco con un cronista del Times. "Interessa la storia?" "Si', dammi dieci minuti" E poi: "Ok, la mettiamo in prima pagina". E finisce in gloria come l'avventura di Woodward e Bernstein, i due cronisti del Watergate (la' era il "Washington Post", ma fa lo stesso). La verita', insomma, trionfa, eppure… Eppure, c'è da chiedersi: siamo sicuri che le cose stiano davvero cosi'?

L'era digitale ha tutta l'aria di fare bene al giornalismo. Internet arricchisce le fonti, di sicuro, e le rende disponibili in tempi piu' rapidi, ma qualcosa (molto) cambia nell'equilibrio dei poteri, tra gli attori e i fruitori del mondo dell'informazione. E capire le logiche di questo cambiamento richiedera' un po' di tempo. Ma è bene applicarsi a interpretare il senso della evoluzione in corso, se vogliamo ricavarne tutti i benefici in termini di liberta' e forza dell'opinione pubblica, senza cadere nelle trappole di un mondo ancora piu' controllato e condizionato dal potere di pochissime enormi concentrazioni. Ecco un breve provvisorio promemoria.

1)Dal Web in tutte le sue forme di uso (via Tv, computer, telefono portatile etc.) avremo un mare di informazione, ma la quantita' finisce per azzerare il risultato. Ha ragione il solito Eco: se ti regalano un miliardo di dollari ma solo a condizione che li conti a uno a uno, non ti basta una vita intera per poterli usare veramente. Meglio un assegno. E la metafora dell'assegno nel mondo dell'informazione significa che le notizie devono essere selezionate e messe in una certa gerarchia di importanza. Una persona veramente bene informata non si deve leggere quattromila spacci di agenzia al giorno, ma una buona selezione e sintesi in funzione delle sue esigenze, per esempio: un giornale o una rassegna stampa o una striscia di top-news. Il problema si sposta: chi fa questa sintesi e con quali criteri?

2)L'editoria della carta stampata ha collaudato un equilibrio, difettoso quanto si vuole, ma funzionante, tra produttori e consumatori di notizie. Sappiamo che ci sono le imprese editoriali (con proprieta' piu' o meno "pure") e che i giornali che mandano in edicola sono finanziati in due modi fondamentali: le copie acquistate dai lettori e la pubblicita'. Ora, l'editoria on line sembra avere nei suoi cromosomi una caratteristica nuova: i lettori non comprano, guardano gratis. Dal momento che Internet offre tanti contenuti gratis e che una legge fondamentale della "webonomics" è "get it free", ovvero "prendi gratis", succede che viene meno quel misuratore efficace e diretto del gradimento del pubblico che è l'edicola, un posto dove si paga. Rimane la sola pubblicita' ad alimentare l'editoria on line, che si misura in contatti. Ma questo schema di finanziamento assomiglia assai a quello della televisione generalista commerciale gratuita che i contatti li chiama "audience". Conseguenza possibile: la anarchica, flessibile e personalizzabile Rete non finira' in un solo boccone nelle fauci delle grandi sorelle dei network esattamente come il "broadcasting" televisivo?

3)L'ingresso nella Rete ha ancora i suoi scogli iniziali (costo dei computer, addestramento, necessita' di passare da un provider che ti fornisce le chiavi, assistenza in caso di intoppi e cosi' via). Molti percio' ne sono ancora fuori e rischiano di rimanerne fuori per sempre. I ritmi di sviluppo in Italia sono ancora molto lenti se paragonati a quelli americani, inglesi, tedeschi. Se i giornali raggiungono direttamente o indirettamente un terzo degli italiani, Internet arriva attualmente a 5 milioni di persone, meno di un decimo.

4)Si stanno diffondendo i portali (come gli italiani Virgilio, Kataweb, Clarence, Yahoo etc.), una nuova entita' potente nella mediazione dell'informazione, che non ha precedenti nella vecchia editoria su carta. I portali sono "infomediari", come li chiamano gli specialisti, che forniscono l'entrata su Internet ai loro clienti. Essi cercano di conquistare quanti piu' utenti possibile in funzione dei contatti pubblicitari, della vendita di servizi, delle piu' diverse attivita' commerciali e finanziarie. L'informazione nei portali ha una funzione di sostegno essenziale (l'utente sul portale vuole vedere le informazioni importanti in tempo reale anche se non è disposto a pagarle, perche' se gli chiedono soldi si cerca un altro portale), ma i portali non sono veri e propri editori. Gli editori continuano a fare i giornali sulla carta e sul Web. Per cui dentro i portali trovate i giornali con le loro vecchie testate, "Corriere", "Repubblica" etc. ma anche una specie di "metagiornale" realizzato dal portale. Qui i rapporti professionali e le responsabilita' editoriali entrano in una zona scivolosa e fluida: i portali affideranno tutte le informazioni alle redazioni e alle direzioni dei giornali oppure diventeranno editori in proprio?

C'è quanto basta per dire che il modello di Rete immaginato da George Gilder qualche anno fa mostra la corda. L'idea che il dinosauro televisivo con il suo sistema di diffusione di informazioni e intrattenimento dall'alto in basso, da una centrale "intelligente" a milioni di scatole "idiote", lasciasse il passo a un sistema di intelligenza diffusa in cui ciascun nuovo computer allacciato alla Rete aggiunge una quota di intelligenza. L'idea che la diffusione di contenuti "one-to-many" cedesse il posto a una circolazione "one-to-one", che alla passivita' subentrasse l'interattivita', che a una architettura oppressiva si sostituisse una architettura libertaria, si rivela scricchiolante. La Rete non perde il suo fascino, ma questo fascino va bevuto con giudizio. La fusione tra America on line e Time Warner ha scatenato una discussione in America. Guardatevi il forum su "The American Prospect" (www.epn.org). Ci siamo abituati a vedere Internet come un mondo di simpatici anarchici minacciati da un unico monopolista, che è Bill Gates. Adesso ci accorgiamo che i monopolisti del mondo dei presunti dinosauri (le tv, le major di Hollywood) sono in grado di riprodurre e allargare il loro potere sulla Rete.

Dobbiamo quindi buttare a mare Internet, la "digital age" e la "new economy"? Decisamente no. Dobbiamo invece abbandonare la utopia che tutto questo nuovo mondo di beni e servizi avesse, nella stessa tecnologia, la soluzione di tutti i problemi di liberta', pluralismo e grandi opportunita'. La vecchia e civilissima abitudine liberale di fare regole e vigilare che vengano rispettate si conferma necessaria. Dobbiamo portarcela dietro nel mondo nuovo. Il coraggio del giornalista alla Al Pacino di "Insider", che dice di no al boss per difendere la notizia e rischia il posto, continuera' a servire. Chi ce l'ha ce l'ha e chi non ce l'ha non ce l'ha. Dentro Internet e fuori da Internet.

  

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