Lo confesso: so
molto poco di fumetti, e ancora meno di fumetti al femminile. Se vado indietro con la
memoria, mi vengono in mente pochissime eroine di cartone, e quasi nessuna autrice.
Ricordo Valentina, quella di Crepax, e il mio senso di inadeguatezza di bambina davanti a
quelle gambe chilometriche e a quel seno alto e perfetto, un fisico da Barbie, ma più
sexy, e grazie a Dio un caschetto bruno, due occhi scuri come i miei, invece dei colori
slavati della Reginetta del ballo.
Ricordo le donne di Corto Maltese, esotiche, erotiche, con zigomi così
alti e sporgenti che ci avresti potuto tenere in equilibrio una tazzina da caffè, e
infatti me lo vedo, Corto, che si fa portare l'espresso da una principessa javanese come
su un vassoio. Poi le donnine di Manara (altro modello irraggiungibile), Paglia del
Corrierino (anglosassone, bionda, lentigginosa), le guerriere del Corrierboy, sempre
seminude (ma perchè?), la fidanzata indiana di Tex (tinca assoluta). Non entro nel merito
dei personaggi femminili non umani (Minnie, Paperina, la Puffetta) ma cito brevemente
alcuni agghiaccianti modelli femminili di cartone: Wilma (dammi la clava... così magari
poi te meno meglio), la moglie dei Pronipoti (intercambiabile con il robot-cameriera) e
quella di Andy Capp (ma perchè se lo teneva, quel parassita alcolizzato?), Momma e le
depresse di Claire Bretecher, strepitose, sì, ma tanto avvilenti (Claire, per essere la
prima autrice di fumetti che ricordo, mi lasci un po' l'amaro in bocca).

Le uniche icone femminili non sconfortanti che ricordo sono le bambine
dei Peanut: Piperita Patty (atletica, cameratesca, complice), Violet (individualista,
surreale, l'antesignana della Lisa dei Simpson), persino Lucy (rompiballe, prepotente,
prima della classe, ma temuta e rispettata - peccato solo per la sua insana passione per
Schroeder, artista egocentrico fino all'autismo, e come tale oggetto archetipale del
masochismo femminile).
In realtà l'unico modello credibile col quale una bambina italiana
della mia generazione poteva identificarsi era Valentina (quella di Grazia Nidasio), che
nonostante i capelli rossi e gli occhi chiari era riconoscibile nelle sue paure, nelle sue
timidezze, nelle sue cotte senza speranza (Gianluca, ma anche un po' Donald, quello
irlandese e sciroccato), nei suoi rapporti familiari (la mamma casalinga, il papà
brontolone, e il Miura, che sta al fumetto - e alla fantasia - femminile come Laurie delle
Piccole donne sta alla letteratura per bambine - Jo, a che pensavi quando l'hai rimosso in
favore del professore segaiolo, per di più lasciandolo nelle grinfie di Amy?). Grazie
Grazia, per Valentina, e poi anche per la Stefi, vero spirito ribelle al femminile. Nel
mare magno delle eroine di cartone a seguire (Heidi e Anna dai capelli rossi, Lady Oscar e
Candy Candy, Licia e la Pimpa, se vogliamo sconfinare nel regno animale) nessuna è stata
più alla tua altezza.
E' dunque con curiosità e non poco spirito critico che sono andata a
visitare l'Expocartoon, in cerca di nuove immagini femminili e di autrici emergenti
all'interno dell'universo dei fumetti. L'ho fatto da profana che i fumetti non li legge
più da tempo: perdonatemi dunque errori e omissioni, a fronte della mia autentica voglia
di capire. E di apprezzare, visto che ciò che conta è che un fumetto sia divertente,
efficace, innovativo, al di là del politicmente corretto.
Le nuove eroine di cartone sembrano dividersi in tre grandi categorie:
donne adulte molto molto formose, teenager vagamente androgine e lolite prepubescenti.
Alla prima categoria appartengono la Legs Weaver di Antonio Serra (della mitica Bonelli),
le Danger Girl (Magic Press) e il team madre-figlia (apparentemente coetanee, entrambe
esageratamente carrozzate) di Witchblade darkness (Top Cow Productions). Sono donne
guerriere, tendenzialmente virago (appena possibile le vediamo in stivaloni e frusta,
stile dominatrix) ma anche capaci di repentina e totale sottomissione, secondo il pendolo
sadomaso che caratterizza gran parte del fumetto firmato da autori maschi: è fin troppo
scontato definire queste eroine proiezioni delle fantasie sessuali maschili, fantasmi
erotici adolescenziali, archetipi dell'immaginario collettivo, spesso cinematografico (e
infatti Legs Weaver assomiglia a Sigourney, così come Julia, creta da Giancarlo Berardi
sempre per la Bonelli, ha il viso di Audrey Hepburn - una deriva rispetto al canone
estetico dell'eroina ipersessuata).
Fra le teenager androgine (non tanto per dotazione fisica quanto per
atteggiamento mentale), ci sono ad esempio la strega adolescente Gea (di nuovo Bonelli) e
la graffitara hip-hop Sprayliz (Macchia Nera), entrambe create e realizzate da autori
maschi, entrambe fenomeni da guerriglia urbana: combattive, sfacciate, indipendenti,
sessualmente disinibite per non dire onnivore - anzi no, Sprayliz è solo lesbica, come
Legs Weaver e varie altre eroine della nuova generazione fumettara, che fanno già
volentieri a meno degli uomini, come insegna la teoria evolutiva. (Se può servire a
consolare il genere maschile, Minnie è stata appena eliminata dalla nuova serie dei
fumetti di Topolino).
Poi ci sono le innumerevoli lolite giapponesi degli shojo manga (cioè
i manga per ragazze), protagoniste di melodrammi strappalacrime ambientati sui banchi di
scuola o all'interno di club di appartenenza (la squadra sportiva, il circolo
pomeridiano), le quali alternano alla competitività agonistica (fra donne) quella
romantica per l'Oggetto d'amore, di solito uno spocchioso teenager troppo narcisista per
accorgersi di loro, o troppo segaiolo, come il professore di Jo, per decidersi a fare il
primo passo. L'immolazione sacrificale e monomaniaca al fidanzatino di turno, col quale la
relazione è quasi sempre platonica, è un classico degli shojo manga, una risposta ala
censura giapponese, che non si fa problemi a inquadrare gli slip delle ragazzine da sotto
le loro microgonne, ma non va oltre il casto bacio alla fine della soap di cartone. Molte
le autrici, ma talmente imbevute di sciovinismo nipponico che la differenza con i colleghi
uomini non si nota.

Alcune autrici occidentali sono invece notevoli per inventiva e
allontanamento dalla tradizione sciovinista del fumetto mondiale: prendiamo ad esempio
l'americana Phoebe Gloeckner, autrice di Vita da bambina (Topina Comixx, la divisione
dedicata al fumetto al femminile della Topolin Edizioni), collezione di fumetti
dichiaratamente autobiografica che racconta il disagio infantile e adolescenziale (e
alcuni traumi, come quello dell'abuso sessuale) dalla parte delle bambine, o la spagnola
Maria Colino (sempre Topina Comixx) che firma fumetti vietati ai 18 non tanto per il
contenuto (porno)grafico quanto per la violenza delle emozioni messe a nudo (non a caso il
suo ultimo comic si chiama Massima rabbia).
Anche le nuove autrici italiane manifestano attraverso i fumetti
sentimenti di frustrazione, di incertezza, di scontento, spesso in chiave onirica, spesso
come ricostruzioni di un passato traumatico. Non manca però l'autoironia che le mantiene
al di qua del piagnisteo, e fa dei loro disegni prodotti appetibili anche per lettori
maschi. Prendiamo ad esempio Nicoz, al secolo Nicoletta Zanchi, e Barbara Fagiolo, due
giovanissime della scuderia (indipendente) Kerosene: i loro fumetti sono, secondo Dario
Morgante, uno dei fondatori di Kerosene, brutti, sporchi e cattivi, cioè non femminili
nel senso tradizionale del termine. Ma coraggiosi nel voler dire, come sottolinea
Morgante, "eccomi, ci sono anch'io, e questo è quello che faccio", ed
estremamente vitali, coinvolgenti, di forte impatto, aggungo io.
Per ribaltare lo stereotipo, dietro queste grandi donne ci sono grandi
uomini, per lo più portavoce del fumetto indipendente (e quindi più underground e
coraggioso): ad esempio Jorge Vacca, ispanico editore della Topina Comixx, - è stato lui
a chiedere ad Asia Argento di firmare la presentazione di Vita da bambina, e a pensare a
Meg, la cantante dei 99 Posse, per la prefazione di Massima rabbia. Oppure Andrea Fenti,
Luca Bonanno e Michele Ginevra, responsabili di Schizzo, la rivista indipendente del
Centro Fumetto Andrea Pazienza di Cremona, che si fa un punto d'onore del fare da vetrina
ai lavori di nuove firme femminili italiane come Maria Castellana, Valentina Rosset e
Michela Alquati.
Antonio Pepe e Dario Morgante, oltre ad aver lanciato tramite la loro
rivista Kerosene nuove autrici come Nicoz e Barbara Fagiolo, firmano (sempre per Kerosene)
le Storie di Valeria, serie a fumetti che vede protagonista una donna credibile nelle sue
attività ed espressioni: una che regge il volante di un minivan (mentre il boyfriend sta
nel sedile passeggeri) e poi si abbandona a considerazioni trasognate come "Vorrei
essere felice per un po'... e non dovermi più chiudere in bagno la notte per piangere
senza farmi sentire".
E sono tre uomini (Franco Urru, Marco Marini e Mauro Uzzeo) a
raccontare una storia di identità scissa al femminle, con la miniserie Velo di Maya
(Montego), nella quale si alternano due personalità ben distinte: la guerriera, sempre
nuda e fisicamente perfetta emanazione della fantasia maschile (e dunque personificazione
di un'aspettativa irraggiungibile), e la ragazza della porta accanto, timida, insicura,
tormentata appunto dal fantasma onirico di quell'altra sè che il mondo (soprattutto
quello maschile) vorrebbe che lei fosse. Dal punto di vista fumettistico, Il velo di Maya,
le cui protagoniste sono disegnate separatamente da due autori proprio per accentuarne la
diversità, può rappresentare la coesistenza di modi diversi di rappresentare la figura
femminile nei comic: la dominatrix sexy e disponibile convive (anzi, vive dentro) la
ragazza di carne, quella che costituisce il vero miraggio del classico disegnatore di
fumetti scollegato dal mondo e segaiolo, come il professore di Jo, come Schroeder, come i
teenager degli shojo manga.