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Dalla parte delle bambine

Paola Casella


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Lo confesso: so molto poco di fumetti, e ancora meno di fumetti al femminile. Se vado indietro con la memoria, mi vengono in mente pochissime eroine di cartone, e quasi nessuna autrice. Ricordo Valentina, quella di Crepax, e il mio senso di inadeguatezza di bambina davanti a quelle gambe chilometriche e a quel seno alto e perfetto, un fisico da Barbie, ma più sexy, e grazie a Dio un caschetto bruno, due occhi scuri come i miei, invece dei colori slavati della Reginetta del ballo.

Ricordo le donne di Corto Maltese, esotiche, erotiche, con zigomi così alti e sporgenti che ci avresti potuto tenere in equilibrio una tazzina da caffè, e infatti me lo vedo, Corto, che si fa portare l'espresso da una principessa javanese come su un vassoio. Poi le donnine di Manara (altro modello irraggiungibile), Paglia del Corrierino (anglosassone, bionda, lentigginosa), le guerriere del Corrierboy, sempre seminude (ma perchè?), la fidanzata indiana di Tex (tinca assoluta). Non entro nel merito dei personaggi femminili non umani (Minnie, Paperina, la Puffetta) ma cito brevemente alcuni agghiaccianti modelli femminili di cartone: Wilma (dammi la clava... così magari poi te meno meglio), la moglie dei Pronipoti (intercambiabile con il robot-cameriera) e quella di Andy Capp (ma perchè se lo teneva, quel parassita alcolizzato?), Momma e le depresse di Claire Bretecher, strepitose, sì, ma tanto avvilenti (Claire, per essere la prima autrice di fumetti che ricordo, mi lasci un po' l'amaro in bocca).

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Le uniche icone femminili non sconfortanti che ricordo sono le bambine dei Peanut: Piperita Patty (atletica, cameratesca, complice), Violet (individualista, surreale, l'antesignana della Lisa dei Simpson), persino Lucy (rompiballe, prepotente, prima della classe, ma temuta e rispettata - peccato solo per la sua insana passione per Schroeder, artista egocentrico fino all'autismo, e come tale oggetto archetipale del masochismo femminile).

In realtà l'unico modello credibile col quale una bambina italiana della mia generazione poteva identificarsi era Valentina (quella di Grazia Nidasio), che nonostante i capelli rossi e gli occhi chiari era riconoscibile nelle sue paure, nelle sue timidezze, nelle sue cotte senza speranza (Gianluca, ma anche un po' Donald, quello irlandese e sciroccato), nei suoi rapporti familiari (la mamma casalinga, il papà brontolone, e il Miura, che sta al fumetto - e alla fantasia - femminile come Laurie delle Piccole donne sta alla letteratura per bambine - Jo, a che pensavi quando l'hai rimosso in favore del professore segaiolo, per di più lasciandolo nelle grinfie di Amy?). Grazie Grazia, per Valentina, e poi anche per la Stefi, vero spirito ribelle al femminile. Nel mare magno delle eroine di cartone a seguire (Heidi e Anna dai capelli rossi, Lady Oscar e Candy Candy, Licia e la Pimpa, se vogliamo sconfinare nel regno animale) nessuna è stata più alla tua altezza.

E' dunque con curiosità e non poco spirito critico che sono andata a visitare l'Expocartoon, in cerca di nuove immagini femminili e di autrici emergenti all'interno dell'universo dei fumetti. L'ho fatto da profana che i fumetti non li legge più da tempo: perdonatemi dunque errori e omissioni, a fronte della mia autentica voglia di capire. E di apprezzare, visto che ciò che conta è che un fumetto sia divertente, efficace, innovativo, al di là del politicmente corretto.

Le nuove eroine di cartone sembrano dividersi in tre grandi categorie: donne adulte molto molto formose, teenager vagamente androgine e lolite prepubescenti. Alla prima categoria appartengono la Legs Weaver di Antonio Serra (della mitica Bonelli), le Danger Girl (Magic Press) e il team madre-figlia (apparentemente coetanee, entrambe esageratamente carrozzate) di Witchblade darkness (Top Cow Productions). Sono donne guerriere, tendenzialmente virago (appena possibile le vediamo in stivaloni e frusta, stile dominatrix) ma anche capaci di repentina e totale sottomissione, secondo il pendolo sadomaso che caratterizza gran parte del fumetto firmato da autori maschi: è fin troppo scontato definire queste eroine proiezioni delle fantasie sessuali maschili, fantasmi erotici adolescenziali, archetipi dell'immaginario collettivo, spesso cinematografico (e infatti Legs Weaver assomiglia a Sigourney, così come Julia, creta da Giancarlo Berardi sempre per la Bonelli, ha il viso di Audrey Hepburn - una deriva rispetto al canone estetico dell'eroina ipersessuata).

Fra le teenager androgine (non tanto per dotazione fisica quanto per atteggiamento mentale), ci sono ad esempio la strega adolescente Gea (di nuovo Bonelli) e la graffitara hip-hop Sprayliz (Macchia Nera), entrambe create e realizzate da autori maschi, entrambe fenomeni da guerriglia urbana: combattive, sfacciate, indipendenti, sessualmente disinibite per non dire onnivore - anzi no, Sprayliz è solo lesbica, come Legs Weaver e varie altre eroine della nuova generazione fumettara, che fanno già volentieri a meno degli uomini, come insegna la teoria evolutiva. (Se può servire a consolare il genere maschile, Minnie è stata appena eliminata dalla nuova serie dei fumetti di Topolino).

Poi ci sono le innumerevoli lolite giapponesi degli shojo manga (cioè i manga per ragazze), protagoniste di melodrammi strappalacrime ambientati sui banchi di scuola o all'interno di club di appartenenza (la squadra sportiva, il circolo pomeridiano), le quali alternano alla competitività agonistica (fra donne) quella romantica per l'Oggetto d'amore, di solito uno spocchioso teenager troppo narcisista per accorgersi di loro, o troppo segaiolo, come il professore di Jo, per decidersi a fare il primo passo. L'immolazione sacrificale e monomaniaca al fidanzatino di turno, col quale la relazione è quasi sempre platonica, è un classico degli shojo manga, una risposta ala censura giapponese, che non si fa problemi a inquadrare gli slip delle ragazzine da sotto le loro microgonne, ma non va oltre il casto bacio alla fine della soap di cartone. Molte le autrici, ma talmente imbevute di sciovinismo nipponico che la differenza con i colleghi uomini non si nota.

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Alcune autrici occidentali sono invece notevoli per inventiva e allontanamento dalla tradizione sciovinista del fumetto mondiale: prendiamo ad esempio l'americana Phoebe Gloeckner, autrice di Vita da bambina (Topina Comixx, la divisione dedicata al fumetto al femminile della Topolin Edizioni), collezione di fumetti dichiaratamente autobiografica che racconta il disagio infantile e adolescenziale (e alcuni traumi, come quello dell'abuso sessuale) dalla parte delle bambine, o la spagnola Maria Colino (sempre Topina Comixx) che firma fumetti vietati ai 18 non tanto per il contenuto (porno)grafico quanto per la violenza delle emozioni messe a nudo (non a caso il suo ultimo comic si chiama Massima rabbia).

Anche le nuove autrici italiane manifestano attraverso i fumetti sentimenti di frustrazione, di incertezza, di scontento, spesso in chiave onirica, spesso come ricostruzioni di un passato traumatico. Non manca però l'autoironia che le mantiene al di qua del piagnisteo, e fa dei loro disegni prodotti appetibili anche per lettori maschi. Prendiamo ad esempio Nicoz, al secolo Nicoletta Zanchi, e Barbara Fagiolo, due giovanissime della scuderia (indipendente) Kerosene: i loro fumetti sono, secondo Dario Morgante, uno dei fondatori di Kerosene, brutti, sporchi e cattivi, cioè non femminili nel senso tradizionale del termine. Ma coraggiosi nel voler dire, come sottolinea Morgante, "eccomi, ci sono anch'io, e questo è quello che faccio", ed estremamente vitali, coinvolgenti, di forte impatto, aggungo io.

Per ribaltare lo stereotipo, dietro queste grandi donne ci sono grandi uomini, per lo più portavoce del fumetto indipendente (e quindi più underground e coraggioso): ad esempio Jorge Vacca, ispanico editore della Topina Comixx, - è stato lui a chiedere ad Asia Argento di firmare la presentazione di Vita da bambina, e a pensare a Meg, la cantante dei 99 Posse, per la prefazione di Massima rabbia. Oppure Andrea Fenti, Luca Bonanno e Michele Ginevra, responsabili di Schizzo, la rivista indipendente del Centro Fumetto Andrea Pazienza di Cremona, che si fa un punto d'onore del fare da vetrina ai lavori di nuove firme femminili italiane come Maria Castellana, Valentina Rosset e Michela Alquati.

Antonio Pepe e Dario Morgante, oltre ad aver lanciato tramite la loro rivista Kerosene nuove autrici come Nicoz e Barbara Fagiolo, firmano (sempre per Kerosene) le Storie di Valeria, serie a fumetti che vede protagonista una donna credibile nelle sue attività ed espressioni: una che regge il volante di un minivan (mentre il boyfriend sta nel sedile passeggeri) e poi si abbandona a considerazioni trasognate come "Vorrei essere felice per un po'... e non dovermi più chiudere in bagno la notte per piangere senza farmi sentire".

E sono tre uomini (Franco Urru, Marco Marini e Mauro Uzzeo) a raccontare una storia di identità scissa al femminle, con la miniserie Velo di Maya (Montego), nella quale si alternano due personalità ben distinte: la guerriera, sempre nuda e fisicamente perfetta emanazione della fantasia maschile (e dunque personificazione di un'aspettativa irraggiungibile), e la ragazza della porta accanto, timida, insicura, tormentata appunto dal fantasma onirico di quell'altra sè che il mondo (soprattutto quello maschile) vorrebbe che lei fosse. Dal punto di vista fumettistico, Il velo di Maya, le cui protagoniste sono disegnate separatamente da due autori proprio per accentuarne la diversità, può rappresentare la coesistenza di modi diversi di rappresentare la figura femminile nei comic: la dominatrix sexy e disponibile convive (anzi, vive dentro) la ragazza di carne, quella che costituisce il vero miraggio del classico disegnatore di fumetti scollegato dal mondo e segaiolo, come il professore di Jo, come Schroeder, come i teenager degli shojo manga.

 

 

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