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Se la sinistra neoliberista non convince i suoi elettori

Ralf Dahrendorf

 

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Questo articolo è apparso su La Repubblica (www.repubblica.it) del 7 settembre

La politica economica e sociale dei paesi europei conferma ancora una volta che molte vie conducono al successo. Anche nell'era della globalizzazione, non c'è soltanto un modo per stimolare la crescita, ridurre la disoccupazione e conseguire l'equilibrio di bilancio. Al momento, è in primo piano il successo della Francia. In Gran Bretagna, Blair ha la stessa fortuna di Clinton in America: grazie all'economia che procede a gonfie vele, la sua popolarità non declina, malgrado il disagio all'interno del suo partito. Il caso dell'Italia e quello della Germania sono più difficili, sebbene anche in questi due paesi i ministri Amato e Eichel abbiano varato programmi di riforma riusciti, è vero, solo a metà, ma destinati ad assicurare una base durevole alla crescita e a una politica sociale sostenibile.

E' interessante chiedersi in quali termini i riformatori abbiano spiegato la loro politica all'elettorato. E c'è una seconda domanda, anche più difficile: come conciliano le riforme, spesso dolorose, con la loro connotazione di governi di sinistra? E come fanno a convincere il proprio partito, per lo più socialdemocratico? La risposta è semplice: non lo convincono affatto. Né Jospin, né D'Alema, e neppure Schroeder o Blair hanno realmente persuaso il nocciolo duro dei rispettivi partiti della natura progressista e di sinistra delle loro scelte politiche.

Jospin non ha forse nemmeno tentato di farlo. Anche se il suo linguaggio è quello tradizionale della socialdemocrazia, di fatto sta portando avanti un programma di riforme nuovo ed efficace. Blair, dal canto suo, tende sempre più a sussumere ogni sua iniziativa o progetto in un unico termine: "modernizzazione". Che si tratti di ridurre le liste d'attesa del sistema sanitario, di imporre tasse universitarie agli studenti o di obbligare al lavoro le madri nubili, si tratta sempre di modernizzazione. Schroeder si trova invece in difficoltà, dato che non è mai riuscito a trovare il linguaggio giusto per vendere al suo partito la propria merce.

E il fatto di aver calato sull'SPD il documento Schroeder-Blair non gli è stato di grande aiuto, così come non lo sono state le recriminazioni di Lafontaine o la perdita del sostegno elettorale. Il tema chiave è sempre più quello della riforma del welfare, e in particolare la trasformazione del sistema pensionistico in forme sostenibili a medio termine. Ciò comporta ovunque una riduzione dei diritti automatici, e un passo in direzione di quello che gli svizzeri chiamano il "sistema a tre pilastri": le pensioni di Stato e quelle contributive, con in più un sistema di pensioni private. Per "modernizzazione" si intende la riduzione delle pensioni di Stato in favore dei rimanenti due pilastri, il che comporta segnatamente un maggior coinvolgimento diretto dei singoli nel risparmio per la propria vecchiaia.

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In parte, la confusione deriva forse dal fatto che cambiamenti del genere (dei quali esistono peraltro numerose varianti) perseguono due obiettivi diversi: da un lato, la tutela delle generazioni future, dato che in un certo senso gli attuali sistemi di politica sociale favoriscono chi oggi è anziano, a spese dei giovani. E' il caso, in particolare, dei sistemi pensionistici a ripartizione, che trasferiscono ai lavoratori di ieri il reddito di quelli attuali. Da qui il massiccio aumento dei contributi e la crescita del debito pubblico.

In questo modo si ipoteca l'avvenire; e quindi è indispensabile cambiare, se si vuole portare avanti una politica per il futuro. Non a caso, in Germania i Verdi sono anche più drastici dei socialdemocratici nel chiedere misure come lo sganciamento permanente tra pensione e il reddito netto dei contribuenti. In un certo senso, la difesa dell'ambiente e la riforma pensionistica sono questioni politiche correlate, nella misura in cui sono rivolte al futuro; e in quanto tali fanno legittimamente parte dei programmi delle sinistre.

Il problema sorge dal fatto che con queste politiche si persegue, implicitamente o apertamente, un altro obiettivo che molti definirebbero "neoliberista". La riduzione del prelievo fiscale, con una maggior responsabilizzazione dei cittadini, stimola la crescita in un contesto competitivo globale. Ma in questa crescita ci sono vincitori e vinti. La sinistra tradizionale si è sempre schierata con i perdenti, cercando di migliorare la loro sorte. La nuova sinistra - e in ogni caso il New Labour - vede se stessa come rappresentante dei vincenti; se tenta di mitigare gli effetti della crescita, e in particolare le crescenti sperequazioni dei livelli di reddito, ripone le proprie speranze nella dimensione della torta da spartire più che nella giustizia distributiva.

Lo dimostra chiaramente l'attuale dibattito sulla giustizia: i socialdemocratici tedeschi continuano a citarla tra i loro obiettivi, mentre il New Labour britannico ha ormai lasciato cadere anche il termine. E se i socialisti francesi continuano a parlare il linguaggio della giustizia, quella che stanno portando avanti è una politica di crescita.

Potrebbe essere questa l'origine della confusione ideologica che oggi assilla la sinistra europea. Una parte dei suoi esponenti guarda al futuro, propugnando sia la riduzione degli oneri fiscali a carico delle nuove generazioni, sia il sostegno ai vincenti del nuovo clima socio-economico; mentre molti accettano con riluttanza il primo di questi due postulati, respingendo il secondo. Ma né gli uni né gli altri trovano le parole per spiegare il loro progetto. O forse, nella sua imprecisione e ambiguità, il termine di "modernizzazione" è davvero il più appropriato?

Se quest'analisi è grossomodo corretta, può portare a più d'una conclusione. Si potrebbe desumerne che abbiamo bisogno di vedere più chiaramente dove stiamo andando; ma anche che per il momento dobbiamo accontentarci di procedere alla meglio, senza attenerci a una teoria. La lezione del successo di Jospin potrebbe essere non meno valida di quella di Blair. Nel frattempo, siamo comunque ben lontani dall'aver superato il dibattito su ciò che si debba intendere oggi per progresso, o sul modo migliore per definirlo.

(traduzione di Elisabetta Horvat)

 

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