Il documento/Convegno "Innovazione e
sistema televisivo" Fondazione
ItalianiEuropei
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Il documento/"Innovazione e sistema televisivo"
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Il Convegno "Innovazione e sistema televisivo", organizzato
dalla Fondazione Italianieuropei (www.italianieuropei.it),
si e' tenuto a Roma, venerdi' 25 giugno
Lo sviluppo dell'industria della comunicazione deve essere posto al
centro del dibattito sul futuro dell'Italia. La debolezza che sta rivelando la nostra
economia dopo l'ingresso nella moneta unica e a fronte delle nuove sfide poste dal
procedere della integrazione europea non è un fenomeno congiunturale. E' la spia del
fatto che il paese sta sulla difensiva, invecchia e ha paura di rischiare, che non riesce,
quindi, a cogliere le nuove opportunità e a impiegare le sue risorse -che tuttavia
restano grandi- su una frontiera più avanzata. E' tempo che la leadership del paese apra
un discorso più di fondo sul tipo di sviluppo dell'Italia. Ma non si tratta solo
dell'Italia. Al fondo, anche il problema europeo è la mancanza di una visione e di un
progetto che vadano al di là dell'orizzonte della moneta unica per ridisegnare una idea
dello sviluppo. Quello italiano è aggravato dalla più generale debolezza dell'organismo
politico-amministrativo-istituzionale nazionale a fronte di un problema del tutto inedito
e che consiste nell'integrarsi in modo attivo e non subalterno in un organismo molto più
ampio e diversamente organizzato, in una costruzione nuova non solo economica ma politica
(e per molti aspetti statuale) come quella europea.
L'industria della comunicazione, per la sua centralità nell'evoluzione
del ciclo tecnologico e nella competizione globale tra imprese e tra sistemi territoriali
è il terreno cruciale sul quale si misura la forza e la qualità del progetto europeo e
dove si mette alla prova una nuova visione dello sviluppo italiano.
1. L'Europa come problema
1.1 La guerra nei Balcani ha posto in modo ancora più stringente
la questione di un nuovo ordine mondiale e la necessità che l'Europa riesca ad esprimere
una visione autonoma del proprio ruolo in un sistema globale che nessuna superpotenza è
in grado da sola di governare. Governare il mondo significa in realtà governare una
enorme e crescente complessità di fenomeni, di nuove realtà emergenti, di relazioni. Di
qui la necessità di fare un passo avanti sostanziale non solo nel campo della
soggettività politica europea e della sicurezza collettiva ma in quello volto a delineare
un modello dell'innovazione europeo che non sia la semplice imitazione di quelle americano
e che sia capace di stabilire una relazione molto più stretta tra economia post-fordista,
identità culturale, ambiente civile e riorganizzazione dei modi e dei tempi di vivere e
lavorare. L'unione monetaria è stata la premessa necessaria per andare in questa
direzione ma non ha risolto il problema del ritardo nella costruzione di una visione
europea del futuro. Si tratta di progettare una società in cui i diritti di cittadinanza
siano garantiti a tutti; una società in cui l'accesso alla nuove tecnologie,
l'alfabetizzazione informatica, la qualificazione professionale siano un diritto e
un'opportunità e non un fattore di diseguaglianza sociale.
1.2 L'industria della comunicazione rappresenta il luogo privilegiato
di costruzione di questo futuro. Al suo interno le tecnologie ICT costituiscono il motore
del ciclo di sviluppo non solo perché interagiscono con l'insieme dell'apparato
industriale, ma perché esse rappresentano sempre più il "tessuto connettivo"
che unifica in uno stesso linguaggio digitale le diverse parti del sistema: dai servizi
alla scuola, dalla pubblica amministrazione all'impresa, dal tempo libero alle attività
culturali. Da un lato, quindi, l'industria della comunicazione innesca processi pervasivi
di innovazione e modernizzazione dei modelli di consumo, delle reti sociali, dei
linguaggi, degli stili di vita e dei valori condivisi. Dall'altro rappresenta uno dei
luoghi più rilevanti per la produzione dell'immaginario e dell'identità collettiva,
contribuendo a determinare le condizioni di autonomia e di dipendenza dei singoli paesi e
delle comunità locali dai luoghi più forti in cui si alimentano i circuiti globali delle
idee, dei linguaggi, delle immagini.
1.3 Le telecomunicazioni, l'informatica, l'industria audiovisiva devono
perciò essere poste al centro di una visione dello sviluppo che consenta, al contempo,
una collocazione forte dell'Europa nel nuovo ordine economico mondiale e una sua autonomia
culturale.

2. L'Italia come problema.
2.1 Il problema italiano si caratterizza sia come debolezza
strutturale dell'apparato economico nazionale, sia come insufficiente capacità
progettuale di molte forze politiche che, unite da nessi non virtuosi con gli interessi di
gruppi industriali e finanziari attivi nel mercato della comunicazione, non sono in
condizione di progettare soluzioni innovative o di assecondarle, sia infine come
fragilità delle reti di connessione della società. L'industria della comunicazione si
presenta quindi come fattore cruciale della modernizzazione complessiva del paese. Le
indifferibili trasformazioni nell'apparato produttivo, nella pubblica amministrazione, nei
sistemi formativi, nei rapporti fra società civile e società politica non sono possibili
senza far leva su questa fondamentale risorsa.
2.2 Gli elementi che rendono il problema italiano di difficile
soluzione sono noti e di varia natura. Qui si vuole solo porre l'accento sull'assenza, nel
corso degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, di una politica di sviluppo delle
infrastrutture (cavo a fibra ottica, satelliti di comunicazione), sul ritardo nel rompere
il vecchio monopolio nel campo telefonico, sul modo in cui è stata privatizzata e poi
gestita Telecom. Il tutto aggravato da una insufficiente visione dell'integrazione
multimediale, come dimostra il fatto che per troppi anni le forze dirigenti sono rimaste
abbarbicate su una scelta sempre più anacronistica come quella della tutela del duopolio
televisivo tra la Rai e l'allora Fininvest, attraverso un compromesso tra i rispettivi
partiti trasversali nessuno dei quali poteva, nelle condizioni del tempo, prevalere
definitivamente sull'altro.
2.3 Fra i danni apportati al Sistema Italia dalla competizione
esasperata negli indici di ascolto fra i due maggiori gruppi televisivi, non vi sono
soltanto quelli relativi alla missione del servizio pubblico, ma anche la crisi
dell'industria audiovisiva nazionale di fronte ad importazioni di fiction dagli Stati
Uniti, dal Sud America e, per i cartoons, dall'Estremo Oriente, in quantità e a prezzi
che, sacrificando spesso la qualità, hanno messo in ginocchio i produttori nazionali; una
prassi che solo recentemente, grazie alla L. 122/98 che indica chiaramente quote di
produzione europea e nazionale da realizzarsi da parte delle emittenti, è stata
arrestata. Tuttavia l'assenza di forme efficaci di rilevazione dell'ascolto vanifica in
parte l'applicazione della legge.
2.4 Un altro dei problemi tipici dell'Italia in questo campo è infatti
il ritardo con il quale sono state introdotte forme efficaci di regolazione del sistema
delle comunicazione che non si limitassero ad una interessata fotografia dell'esistente: e
dunque in particolare dalla L. 249/97 in poi. Ma il disegno di regolazione è rimasto
interrotto, perché non è stato poi approvato il secondo dei disegni di legge di
regolamentazione; inoltre l'avvio dell'Autorità per le Comunicazioni è stato lento e non
ha ancora consentito di sottoporre il sistema delle comunicazioni a controlli e verifiche,
a cominciare da un efficace monitoraggio delle tariffe e delle trasmissioni
radiotelevisive nazionali e locali.
3. ICT e sviluppo
3.1 Se ciò che definisce un nuovo modello di sviluppo economico e
sociale sono la densità delle interazioni a livello di sistema (e quindi non solo con
l'apparato produttivo ma con la società nelle sue diverse articolazioni) questo dovrebbe
indurre a modificare seriamente le politiche industriali da mettere in campo. In
particolare, vanno considerati cruciali elementi come quelli che indichiamo a titolo di
esempio.
3.2 Quanto i gruppi della comunicazione che operano nel territorio
nazionale vi localizzano le attività di ricerca e sviluppo e quanto la loro presenza
favorisce l'acquisizione e l'adattamento di tecnologie da parte di altre imprese e dei
sistemi civili, nonché rafforza i networks nazionali della ricerca.
3.3 Quanto la natura delle produzioni che i gruppi della comunicazione
anche non italiani impiantano nel territorio nazionale, sia tale da favorire non solo la
quantità dell'occupazione ma la qualificazione del capitale umano.
3.4 Quanto i gruppi della comunicazione scelgono di instaurare un
rapporto strategico, di lunga durata, con altre componenti del sistema economico e con i
sistemi civili; quanto cioè siano capaci di favorire la nascita di imprenditoria minore
per la produzione di servizi e contenuti.
3.5 Ci limitiamo a questi accenni anche perché in questa sede vogliamo
soprattutto richiamare l'attenzione sulla necessità di costruire un ambiente o se
si vuole- un "sistema nazionale dell'innovazione" che sia tale per cui le
tecnologie ICT non solo vengano diffuse ma siano adattate e metabolizzate dalle imprese e
dal capitale umano.
3.6 Noi partiamo dal fatto che non è ancora diventata senso comune e
cultura politica diffusa l'idea secondo cui l'obiettivo di offrire servizi a basso costo e
fortemente innovativi come beni intermedi per le imprese richiede non solo una nuova
organizzazione dei mercati, ma la creazione delle condizioni perché si esprimano nuovi
consumi collettivi e individuali attraverso un processo interattivo di apprendimento da
parte dei produttori e degli utenti. Richiede quindi sia la costruzione di nuove reti, sia
l'offerta di nuovi contenuti.
3.7 Ma che vuol dire "nuovi contenuti"? Per noi vuol dire,
prima di tutto, produrre "cittadinanza", ovvero inclusione sociale, con
l'alfabetizzazione alle nuove tecnologie e alle nuove culture della società postfordista
e con politiche attive di welfare incentrate sul riconoscimento del diritto alla
educazione, alla formazione permanente, all'accesso alle reti di comunicazione
multimediale.
3.8 Richiede di produrre identità sfruttando in positivo la dialettica
tra la globalizzazione degli apparati culturali e la specificità di strumenti e
iniziative locali attraverso i quali si può esprimere la diversità e la ricchezza dei
patrimoni culturali.
4. La centralità della cultura
4.1 In questa visione più ampia della modernizzazione italiana la
questione della cultura assume non solo una ovvia importanza ma un profilo in parte nuovo.
L'identità culturale non si esaurisce più nella costituzione di una trama di valori o di
rappresentazioni che consentono il formarsi di una soggettività individuale e collettiva.
In un mondo sempre più globale e a fronte di una economia che si regge sempre più su
bisogni non soltanto primari il fatto culturale diventa davvero cruciale. Non solo perché
produce significati ma perché fornisce e legittima i sistemi di regolazione più profondi
quali il rapporto tra individuo e responsabilità sociale, tra politica ed economia, tra
presente e futuro. Si può dire che il mutamento culturale è ancora più di prima nel
cuore della trasformazione produttiva e sociale.
4.2 Se ciò è vero, occorre riconoscere che solo in misura ridotta il
ciclo tecnologico dell'informazione e della comunicazione ha finora interpretato bisogni
inespressi, producendo nuovi servizi o prodotti. La diffusione delle tecnologie
dell'informazione e della comunicazione si manifesta tuttora, in Europa e più ancora in
Italia, prevalentemente attraverso la reingegnerizzazione dei processi di produzione, e si
traduce quindi in innovazione di processo piuttosto che in innovazione di prodotto, con
una diminuzione anziché un aumento dell'occupazione. E se le cose in America vanno in
altro modo la spiegazione principale non sta nella flessibilità del mercato del lavoro ma
nel fatto che, mentre negli Stati Uniti buona parte della crescita è assicurata da
industrie che dieci anni fa non esistevano, l'Europa stenta ad entrare in una nuova
economia. Fra le regioni di questo stallo c'è la resistenza culturale alla
sperimentazione di risposte innovative a bisogni socialmente non soddisfatti.
4.3 Si tratta quindi di creare stili di vita, tipologie di beni e
servizi, mercati di tipo nuovo. Lo sviluppo di nuovi universi culturali può accelerare la
transizione all'economia della conoscenza, sviluppando l'innovazione come processo sociale
che trasforma le forme mentali, le interazioni tra gli individui, il loro modello di
consumo.
4.4 Mutamento culturale e trasformazione sociale e produttiva si
tengono quindi in un rapporto dialettico molto forte. Accettare un indebolimento
dell'identità culturale significa indebolire la capacità di dare una ossatura a un
sistema troppo molecolare come quello italiano. Significa, dunque, rinunciare a darsi
strumenti forti per governare il mutamento. Siamo in un momento di grande discontinuità
dovuta al passaggio a una nuova forma di economia. Chi non difende, innovandola
profondamente, la propria identità culturale non riesce a gestire questo processo e
rischia di esserne travolto sia sul piano culturale che su quello del modello di economia
e di società.
4.5 E' vero che protagonisti della formazione dell'identità culturale
sono una molteplicità di centri in gran parte privati: i grandi gruppi televisivi e
cinematografici, quelli editoriali, le grandi istituzioni culturali, da quelle teatrali a
quelle musicali a quelle di conservazione, classificazione ed esposizione dei beni
storico-artistici. Ma è altrettanto vero che produrre una integrazione dialettica di
queste strutture in un sistema avanzato della comunicazione che produca identità
culturale anche al di fuori degli ambiti nazionali è una responsabilità alla quale lo
Stato non può sottrarsi.

5. Il ruolo del servizio pubblico e la Rai
5.1 In tutti i paesi d'Europa, diversamente dagli Stati Uniti, la
radio e la televisione sono stati considerati gli elementi di un disegno di welfare
diretto ad elevare la cultura, l'informazione e la formazione dei cittadini e a fornir
loro un intrattenimento a costi nulli quando forti barriere rendevano problematico
l'accesso a un offerta di servizi a pagamento per il tempo libero. Questo ambizioso
disegno non ha esaurito il suo ruolo, ma il contesto è però mutato profondamente. Il
servizio pubblico deve ancora assicurare la conservazione e lo sviluppo della cultura e
della creatività nazionale, creare cittadinanza e inclusione, integrare i cittadini
immigrati, fornire informazioni e servizi determinanti per essere cittadini a pieno titolo
e per qualificare la presenza europea e mediterranea dell'Italia. Il patrimonio delle
imprese di servizio pubblico non va quindi disperso, ma qualificato e aggiornato alle
nuove condizioni.
5.2 Ciò vale soprattutto per l'Italia il cui nuovo scenario è
caratterizzato non solo da internazionalizzazione, convergenza multimediale e
finanziarizzazione, ma anche da un sistema televisivo ancora duopolistico nel quale non è
stato ancora affrontato e sciolto il grave conflitto di interessi tra la maggiore impresa
privata del settore e il leader dell'opposizione
5.3 Tutte le imprese televisive devono raggiungere dimensioni
finanziarie e industriali di gran lunga superiori alle attuali e costruire una rete di
alleanze che consenta di internazionalizzare le loro strategie. Ciò vale sia per le
emittenti commerciali sia per il servizio pubblico, anche se non con le stesse modalità e
gli stessi fini.
5.4 Per i servizi pubblici televisivi nazionali, tipici del paesaggio
audiovisivo europeo, questo passaggio è particolarmente arduo perché esso è determinato
dal mercato e dal mercato sono generate le potenziali risorse per i nuovi servizi e le
nuove infrastrutture, mentre la risorsa originaria dei servizi pubblici, il canone o il
suo equivalente, è stagnante. I servizi pubblici rischiano così di trovarsi ai margini
del mutamento, chiusi nelle aree meno innovative del sistema.
5.5 La globalizzazione destabilizza i sistemi nazionali misti fondati
sulla delimitazione nazionale e linguistica dei mercati e la loro regolazione da parte
della politica, com'è caratteristico delle scena europea. La competitività di tali
sistemi dipende dunque dalla capacità di assumere i tempi, i comportamenti e i vincoli
propri di mercati in rapidissima evoluzione. In particolare i servizi pubblici da un lato
possono far valere la loro diversità come una condizione di qualità che li caratterizzi
sui nuovi mercati, dall'altro se non sanno avvalersi positivamente delle loro
caratteristiche migliori- sono a rischio di marginalità e di delegittimazione.
5.6 La Rai è potenzialmente, ma solo potenzialmente, un gruppo europeo
della comunicazione medio-grande. Per diventarlo deve darsi una strategia per crescere,
trasformandosi in un'azienda che sappia stare sul mercato, e che svolga in piena
trasparenza anche missioni di servizio pubblico in cambio di risorse pubbliche,
rilanciando la propria identità e la propria immagine qualitativa di marca ma senza
rinunciare semplicemente alla propria diversità, il che potrebbe corrispondere alla mera
privatizzazione e allo smembramento di parti essenziali dell'azienda, che travolgerebbero
le altre, più legate a una missione di servizio pubblico, rimaste prive di economie di
scala e caricate di tutti i costi fissi che sicuramente gli acquirenti non si
accollerebbero. Lo scenario che indichiamo non significa quindi ricerca dell'audience a
qualunque costo, inseguendo la tv commerciale sul suo terreno, con scarsa produzione di
qualità e molta distribuzione di contenuti prodotti prevalentemente negli Stati Uniti.
Significa rompere l'assetto attuale incentrato intorno a una competizione povera con
Mediaset, offrendo servizi innovativi e una produzione di elevata qualità, in chiaro o
no, che oggi il mercato è pronto a recepire.
5.7 Ciò obbliga a conferire alla proprietà dell'azienda un assetto
come quello della fondazione- che permetta di stringere alleanze con altri gruppi,
raccogliere capitali, sempre in una chiara distinzione fra capitali di diversa provenienza
(di mercato o pubblici).
5.8 Si pone dunque un problema di crescita, rafforzamento e sviluppo
della Rai, che deve essere percepito come grande questione nazionale proprio perché la
Rai rappresenta una fondamentale risorsa per il sistema Paese, per la sua modernizzazione
industriale, culturale e sociale. Sarebbe contrario agli interessi del Paese indebolire o
dividere la Rai, perché si andrebbe in una direzione opposta a quella che è necessario
imboccare: la ricerca di dimensioni industriali e finanziarie più grandi. Per questo è
necessario che la soluzione prescelta per l'evoluzione del servizio pubblico e per il suo
assetto proprietario non presti il fianco alla divisione della Rai o alla vendita di
frammenti di essa; né si può imporre alla Rai di frenare le sue capacità espressive
costringendola nella gabbia squalificata e perdente del duopolio anche perché sono già
entrati in scena nuovi competitori. Ma tutto questo non significa pensare a un assetto
proprietario o a un modello di gestione dell'azienda che prescinda dal fatto che
l'esistenza di un forte servizio pubblico nel sistema nazionale della comunicazione resta
tuttora valido e distintivo del modello-Europa.
5.9 Vi è quindi un problema di rilegittimazione del servizio pubblico
a fronte dei nuovi processi di globalizzazione dei mercati e di sviluppo dell'industria
della comunicazione. Il punto cruciale sta nel passaggio da una concezione del servizio
pubblico inteso come strumento che obbedisce prevalentemente alle logiche del sistema
politico anche a costo di tralasciare logiche di impresa, ad una concezione per cui il
servizio pubblico è una missione volta al raggiungimento di obiettivi di interesse
generale, alcuni dei quali possono non avere una convalida economica, ma sono una
necessità per il Paese e pertanto vengono finanziati con fondi che non provengono dal
mercato, ma dalla mano pubblica o dagli utenti. La qualità della programmazione; la
produzione nazionale europea in quote rilevanti e in generi e formati di pregio;
l'attenzione a tutta la filiera audiovisiva e della fiction e il legame strategico con il
cinema nazionale ed europeo sono compiti speciali, che la legge può richiedere solo ad
un'azienda di servizio pubblico che interamente, e non soltanto in una ristretta sua
componente, svolge tale missione.
5.10 Ciò significa che le istituzioni e la politica devono essere in
grado di mettere a fuoco le finalità da perseguire e gli obiettivi da raggiungere. Ma
anche di dare al tema della proprietà della Rai, ora che l'Iri è vicino al suo
scioglimento, una risposta certa che consenta a questa azienda di trovare in Europa e
altrove partners e joint ventures per la sua presenza multimediale. Rilegittimare la
radiotelevisione pubblica significa dunque ricollocarla con forza sul terreno delle grandi
scelte politiche e istituzionali che ridefiniscono, nel mondo di oggi, le nozioni di
"interesse generale", di "servizio universale", di "servizio
pubblico".
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