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Letti per voi/Secolarizzazione, biglietto da visita dell'Europa

Gianni Vattimo

 

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È fin troppo evidente che l'unità dell'Europa è una questione politica e giuridica, e anche anzitutto finanziaria, come ha mostrato la realizzazione dell'Euro. Tuttavia, come sempre accade nelle trasformazioni di strutture costituzionali e politiche, non basta modificare leggi, abbattere sbarre di frontiera, nemmeno unificare programmi scolastici e curriculi universitari. Come diceva uno statista dell'Ottocento italiano, dell'epoca in cui l'Italia compì appunto il proprio Risorgimento nazionale diventando uno Stato unitario, una volta fatta l'Italia bisogna fare gli italiani. La cultura, nel senso più vasto e anche naturalmente vago della parola, ha proprio questo compito, difficile e impreciso insieme: ora che abbiamo cominciato a fare l'Europa, con il Trattato di Maastricht, di Schengen, di Amsterdam, dobbiamo fare gli europei.

Il termine secolarizzazione che ho voluto collocare nel titolo del mio intervento riassume in una sola parola, a mio parere decisiva, il contributo che gli uomini di cultura, filosofi storici scrittori ma anche teologi e artisti, possono dare per costruire una mentalità europea. Si diventa europei, potremmo dire, solo accettando di secolarizzare molti elementi della propria tradizione - nazionale, anzitutto: ma anche religiosa, filosofica, ecc. -: e assumendo la secolarizzazione stessa come il vero e proprio contenuto dell'eredità culturale caratteristica del nostro continente. Per continuare con le citazioni, anche in forma di slogan: il titolo del saggio di Novalis, "Die Christenheit oder Europa", potrebbe essere trasformato in: "Die Saekularisation ierung (?) oder Europa". Sottolineo che non è affatto una trasformazione blasfema. Come ho cercato di mostrare in altre sedi, la secolarizzazione, intesa nel senso più ampio, come passaggio dal sacro misterioso e trascendente alla divinità incarnata e coinvolta nella storia dell'umanità, può essere considerata ragionevolmente l'essenza stessa del cristianesimo. Se la salvezza, come insegna la Bibbia, ha una storia, essa può solo essere la consumazione progressiva della distanza tra umano e divino. Le varie secolarizzazioni che hanno segnato la storia europea dall'antichità a oggi si possono legittimamente intendere in questo senso. Penso, ovviamente, come esempio emblematico, alla tesi di Max Weber sul capitalismo moderno come realizzazione secolarizzata dell'etica cristiana.

Credo che si debba estendere la tesi di Weber molto al di là dei limiti in cui egli l'ha voluta mantenere: in sensi diversi, tutta la moderna civiltà europea mi pare descrivibile come un fenomeno di secolarizzazione: non tanto di secolarizzazione del cristianesimo, ma ancora di più, di secolarizzazione di ogni sacralità naturalistica in virtù del cristianesimo.

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Ciò che ha fatto la moderna civiltà europea è stato bensì secolarizzare il messaggio cristiano, interpretandolo in maniera sempre meno letterale e sempre più "spirituale", secondo l'intuizione di Gioacchino da Fiore: ma in tal modo non si è secolarizzato solo il contenuto della Bibbia, antico e nuovo testamento: proprio in nome dei valori cristiani, dell'idea di una storia della salvezza che è stata predicata da Cristo e dalle chiese, l'Europa è diventata il continente delle secolarizzazioni, della laicità, della dissoluzione dei valori eterni in favore di una concezione consensuale della verità, fondata più sulla ricerca dell'accordo e il rispetto reciproco delle opinioni, che sulla pretesa di rispecchiamento oggettivo dei fatti. Come filosofo, questo mi sembra particolarmente evidente nell'evoluzione dell'epistemologia del nostro secolo, nella centralità che ha assunto per l'etica filosofica e religiosa l'idea dell'incontro con l'altro, nella stessa trasformazione della nozione di universalità, che sempre più viene concepita come una meta da realizzare attraverso la pratica del dialogo e non mediante la ricerca sulla struttura del mondo. Persino l'annuncio di Nietzsche, secondo cui "Dio è morto", ed è morto perché è stato ucciso dai suoi fedeli, può essere interpretato in questo senso. Nella prospettiva di Nietzsche, Dio è stato una "bugia" utile all'umanità per darsi un ordine sociale praticabile, tale da rendere il mondo abitabile. E la credenza in Dio ha svolto questa funzione di razionalizzazione del mondo anche in quanto ha comandato la veridicità. Ma alla fine, quando il mondo è diventato un ambiente un poco più sicuro per l'umanità almeno relativamente civilizzata, il comandamento divino di non mentire si è rivolto contro Dio stesso: i fedeli hanno capito che per non dire bugie dovevano negare anche la bugia suprema, la loro fede in Dio.

Questa ricostruzione nietzschiana della storia del nichilismo occidentale mi sembra una rappresentazione metaforica della storia delle secolarizzazioni. È la rivelazione cristiana della storia della salvezza che ci ha permesso di dissolvere le credenze superstiziose, e di vedere il mondo come "natura" che può essere studiata dalla scienza fisica e manipolata dalla tecnica. La razionalizzazione ha così secolarizzato, cioè demitologizzato, il mondo naturale rendendolo abitabile per l'uomo. Nello stesso tempo, però, la secolarizzazione ha proceduto anche a spogliare progressivamente lo stesso messaggio giudeo-cristiano dei suoi elementi superstiziosi, sacrali, misteriosi: si è capito sempre meglio che la salvezza non consisteva nella recitazione di formule magiche, ma nel portare a compimento nella storia l'incarnazione di Dio. Le trasformazioni moderne dello stato in senso costituzionale e democratico, per esempio, la politica dei diritti umani, in genere le conquiste del liberalismo. Sono - finora - questo compimento, sebbene spesso esso sia avvenuto in contrasto con le autorità religiose che, fatalmente, hanno sempre cercato di porre limiti istituzionali al proseguimento della rivelazione nella vita della comunità dei credenti.

Non si tratta solo di riconoscere questo senso alla secolarizzazione finora avvenuta: non cerchiamo solo una visione retrospettiva della storia dell'Europa moderna. Ciò che importa in un dibattito come il nostro è cogliere un filo conduttore capace di servire come progetto per il futuro, come criterio per le opzioni sempre più complesse di fronte a cui ci troviamo. Così, anzitutto, una politica dei diritti umani di carattere europeo si fonderà molto più legittimamente sull'idea di secolarizzazione che su quella di una costituzione naturale dell'uomo che si tratterebbe di rispettare. Capisco che l'idea del diritto naturale ha avuto un peso determinante nel processo di civilizzazione della modernità. Credo però che oggi, proprio come effetto di quella morte di Dio di cui ha parlato Nietzsche, e che in termini politici significa anche la fine dell'imperialismo e dell'eurocentrismo, noi dobbiamo fare a meno di una simile nozione, che rischia di divenire un intralcio a quel progresso dei diritti che ha inizialmente promosso. È un fatto che non si vede particolarmente chiaro in certe situazioni. In Italia, per esempio, ma anche in altri paesi cattolici dell'Europa, la legislazione sul terreno della bioetica, del diritto di famiglia e di aree affini, è rallentata e spesso distorta dalla pretesa di conformare le leggi dello Stato alla "legge naturale" che solo certe istituzioni, anzitutto la Chiesa cattolica, riconoscono come tale, opponendola anche alla libera decisione delle maggioranze parlamentari e soprattutto imponendola in modo autoritario a tutti, credenti e non credenti. Così, mentre nella generalità dei paesi europei è consentita alle coppie sterili, e anche ai single spesso, il ricorso alla fecondazione "eterologa" (con sempre di donatore estraneo alla coppia), in Italia sta per essere approvata una legge che lo vieta a tutti in nome di una concezione della famiglia "naturale" che è ormai estranea a gran parte dei cittadini, anche credenti, e che tende farsi valere al di là delle scelte di coscienza dei singoli. Cito questo esempio perché mi pare che proprio su questo terreno dovrà svilupparsi il lavoro per porre al centro della legislazione europea una concreta politica dei diritti, che non può farsi ispirare, e ormai soprattutto limitare, dal riferimento a essenze, leggi naturali, strutture immutabili. In generale, una legislazione democratica non può conciliarsi con idee metafisiche di questo tipo. È probabilmente vero che la democrazia ha bisogno di una fede nel valore della persona umana che ha l'apparenza di una concezione metafisica: ma se si analizza il contenuto della nozione di persona, è facile vedere che esso si riduce all'idea di libertà e autodeterminazione. Il che, in termini più comprensibili, come aveva già insegnato Pico della Mirandola alla fine del Quattrocento nella mirabile orazione De dignitate hominis, significa che l'essenza naturale dell'uomo è di non avere un'essenza prestabilita e di doversela scegliere liberamente.

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Se ci si pensa, questo schema di una storia della salvezza come storia delle secolarizzazioni che sbocca nella scoperta della centralità della libertà individuale, traduce con estrema fedeltà l'idea cristiana secondo la quale la storia della redenzione è anche processo di progressiva comprensione del vero senso spirituale della rivelazione. La scrittura e la tradizione cristiane insegnano che l'essenza della rivelazione non è una qualche conoscenza della vera natura dell'uomo o di Dio, ma che tutto si riduce alla carità. Le secolarizzazioni che proprio il cristianesimo, con l'idea di incarnazione, ha inaugurato e messo in moto aprendo la via alla modernità, hanno un solo criterio e un solo limite, quello della carità: ama et quod vis fae. Secondo il detto di Agostino.

Si può domandare, conclusivamente, se questa identificazione della cultura dell'Europa con la secolarizzazione e, dunque, con l'idea di una storia della salvezza che ci proviene soprattutto dalla Bibbia giudeo-cristiana, non rischi di chiuderci in una prospettiva ancora una volta eurocentrica, che ignorerebbe proprio quel pluralismo culturale che vuole realizzare. Certamente vi è qualcosa di paradossale nel fatto che la stessa idea di pluralismo culturale sia, per ora, un valore soprattutto presente in una determinata cultura, quella occidentale cristiana. Noi però non possiamo immaginarci di saltare fuori dalla nostra tradizione, collocandoci in una posizione "universale", in una "view from nowhere", che pretenderebbe ancora di identificare la nostra concezione dell'umano con la vera essenza di ogni umanità. Possiamo solo, riconoscendo la finitezza del nostro progetto, cercare, proprio il nome dei nostri valori, di ascoltare i valori degli altri, aprendoci anche a forme di sincretismo, eclettismo, contaminazioni che mettono da parte ogni illusione di purezza - ideologica, razziale, linguistica - in nome del rispetto dell'altro come interlocutore a cui riconosciamo pari diritti. Si tratta forse di sostituire, alla pretesa di verità lo sforzo della carità: in fondo è in questo senso che, come diceva Croce, in quanto europei non possiamo non dirci cristiani - o anche, come dice un paradossale detto italiano, che "grazie a Dio, siamo atei".

 

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