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La spiegazione/Tobin Tax

Dario Di Vico

 

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Ha venticinque anni ma non li dimostra. La proposta di tassazione internazionale dei movimenti di capitale avanzata nel ’74 dall’economista americano James Tobin – che sette anni dopo avrebbe vinto il premio Nobel – torna d’attualità. A rilanciarla sono state le crisi dei paesi emergenti e il deficit di credibilità a cui è andata incontro la cultura del Fondo Monetario. Alle origini Tobin propose di controllare i soli movimenti di capitale che potessero avere effetti destabilizzanti sulle economie: si trattava di prelevare l’1 per cento degli importi sulle operazioni (di cambio) a breve in modo da favorire l’investimento a lungo termine. Lo stesso Tobin ha avuto modo di precisare questo passaggio sostenendo che "tutti vogliono preservare la mobilità dei capitali che s’investono nello sviluppo".

La Tobin tax ha incontrato molto successo nei circoli intellettuali europei e in particolare francesi, assumendo però tratti palingenetici. A Parigi si è costituita un’Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie per l’Aiuto ai cittadini (Attac), il cui appello è una riprova di come la proposta di Tobin venga letta come una via per la riforma della finanza internazionale. "La Tobin tax ha una vocazione universale: integrare, attraverso il negoziato, l’insieme dei governi del mondo in un progetto coordinato di ricostruzione di un sistema finanziario e monetario stabile". Le somme "liberate" dalla nuova tassa, sempre secondo Attac, "potrebbero essere devolute a obiettivi di eguaglianza sociale, di sviluppo sostenibile e di riparazione dei mali più gravi causati dalle politiche di liberalizzazione". Pur senza nominare mai la Tobin tax di recente anche il ministro delle Finanze tedesco Oskar Lafontaine ha auspicato un controllo dei movimenti di capitale a breve termine con l’obiettivo "di colpire la speculazione, non l’economia reale". E Massimo D’Alema, prima di diventare presidente del Consiglio, si era espresso a favore della Tobin tax in un articolo pubblicato da "Aspenia", la rivista dell’Aspen Institute.

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Sul fronte dei critici vanno sottolineate le osservazioni di Mario Sarcinelli, il banchiere che più di altri si è battuto in Italia per la liberalizzazione dei movimenti di capitali. A suo parere una tassazione delle manovre speculative per essere efficace dovrebbe essere adottata con un accordo universale e non basterebbe un’intesa in sede di G7, perché avrebbe l’unico risultato di favorire gli off shore center. Infatti ogni volta che in passato si è cercato di evitare la migrazione dei capitali questi sono andati a domiciliarsi nei paesi più ospitali. "La Tobin tax presenterebbe altissime chance di elusione e aggiramento e per questo la considero un’idea brillante ma scarsamente praticabile". E’ vero che singoli paesi, come il Cile, hanno introdotto e gestito per qualche tempo controlli e imposte per limitare le passività in valuta e allungarne la scadenza, ma si tratta di pur sempre di rimedi di breve-medio periodo.

Contro la speculazione Sarcinelli ritiene che sia molto meglio adottare monete comuni per aree geografiche con sufficiente omogeneità, sul modello dell’euro. E comunque le ricorrenti crisi, prima del sud-est asiatico e poi del Brasile, non possono essere spiegate semplicemente con l’avanzamento del processo di globalizzazione. Non è il libero movimento dei capitali la causa prima, bensì la debolezza dei rispettivi sistemi bancari, la scarsa vigilanza sugli intermediari finanziari e la mancanza di regole di corporate governance.

 

 

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