Per preservare la dimensione storica
Paul Ricoeur con Ennio Galzenati
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storica
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sbarazzarcene
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Paul Ricoeur è stato uno dei firmatari dell'Appello che l'Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici, insieme con RAI Educational e
l'Istituto Italiano dell'Enciclopedia Italiana, hanno rivolto qualche
anno fa ai Parlamenti e ai Governi per allargare, estendere ed
eventualmente reintrodurre l'insegnamento della filosofia nelle scuole
superiori
Cosa pensa di questo appello?
Innanzi tutto bisogna ricordare al pubblico che è un appello rivolto:
“A tutti i Governi e a tutti i Parlamenti del mondo”, un appello
che si rivolge quindi all’istanza politica più alta,
internazionale. Dico questo perché non è soltanto una questione
pedagogica: non chiediamo ai docenti di fare posto alla filosofia tra
le materie d’insegnamento, anche se li consideriamo dei partners: di
ciò parleremo dopo. È una scelta, al più alto livello, per coloro
che sono responsabili della politica culturale. Ciò che è in
questione non è solo il posto della filosofia e del suo insegnamento
nella cultura, ma anche il posto che deve occupare la cultura tra gli
impegni dei governi e dei parlamenti. Io penso che dobbiamo rivolgerci
ai parlamenti e ai governi attraverso l’opinione pubblica e che
possiamo servirci dell’opinione pubblica come di un amplificatore
per parlare a coloro che sono responsabili delle scelte politiche e
amministrative, di coloro che decidono la composizione dei programmi
scolastici. È dunque a questo livello che si deve porre la questione.
Con l’appello sono rimesse in discussione le direttive generali
della nostra cultura.
Nella società contemporanea che funzione svolge la filosofia?
E' importante ricordare il ruolo storico della filosofia nella
costituzione delle grandi culture, in particolare occidentali: poiché
la filosofia è greca, appartiene al mondo occidentale. Ciò non vuol
dire che non ci sia un problema simile per l’Oriente, ma noi siamo
responsabili della grande area culturale e politica dell’Occidente.
Va ricordato che la filosofia può preservare le nostre culture da un’estrema
frammentazione, determinata dall’esistenza di un nucleo scientifico,
tecnologico, assai diviso al suo interno. Se penso, vicino a tale
nucleo, all’esistenza del diritto e delle scienze giuridiche nella
formazione degli studenti, alla cultura artistica, estetica, al posto
della poesia, direi che il filosofo ha tre grandi responsabilità.
La prima è garantire la diversità dei linguaggi e la loro
connessione reciproca.
La seconda è preservare la dimensione storica, perché la filosofia
è un modello di transazione tra continuità e discontinuità. La
filosofia nasce dalle domande proprie di un’epoca: quella greca
nasce dall’ontologia; nel Medioevo ruota intorno al rapporto tra la
ragione e la fede; dal Seicento in poi mette in primo piano i suoi
rapporti con le scienze, dall’algebra fino alla biologia. Ma la
filosofia è un fenomeno cumulativo perché le sue domande sono la
trasformazione di domande anteriori: c’è una dialettica di
tradizione e innovazione. La filosofia è un luogo privilegiato per
vedere come il tempo delle nostre culture si sviluppa preservando il
patrimonio acquisito e ponendo insieme nuove domande. Le scienze non
hanno lo stesso rapporto col tempo: l’astronomia dei Greci è
abolita dalla scienza di Galileo, Keplero, Copernico, Newton. Nella
storia delle scienze ci sono rotture, discontinuità, denominate “fratture
epistemologiche”. Le tecnologie hanno un rapporto negativo con la
durata perché uno strumento nuovo impone di disfarsi del vecchio. Si
potrebbe dire che la tecnica non ha memoria: siamo proiettati in
avanti e ci dimentichiamo della storia. Preservare la memoria storica
è estremamente importante.
Vi è una terza dimensione, quella critica: il testo dell’Appello
afferma il bisogno di un’educazione al giudizio. E' interessante
trovare il termine “giudizio” in questo testo perché “giudizio”
e “critica” sono lo stesso: in greco “krisis” è il giudizio,
la capacità di discernere, non soltanto il bene dal male ma anche l’utile
dal piacevole. La funzione critica è importante e ciò rappresenta
una peculiarità della cultura occidentale che si è sempre dovuta
misurare con un problema molto europeo: combinare delle convinzioni
forti con la capacità critica. Se si prende la storia del
Cristianesimo, si vede che essa ha sempre avuto di fronte a sé la sua
critica. Il Settecento è forse il momento più alto: il ruolo di
verifica è svolto dall’Illuminismo, dal secolo dei Lumi. Abbiamo
Voltaire, ma anche Pascal: la filosofia indica questo confronto della
convinzione, non soltanto religiosa, ma morale e civile con lo
strumento della critica, perché la filosofia è sempre stata in
rapporto critico con la propria tradizione. Descartes dice: “Rompo
con il Medioevo e ricomincio da capo”. Kant dice: Non sono state
ancora poste le domande: ‘che cos’è il trascendentale’, ‘quali
sono le condizioni di possibilità di certe proposizioni’. Le grandi
filosofie speculative dell’Ottocento poggiano su una critica della
filosofia del soggetto. La filosofia è un buon modello della
congiunzione di convinzione e di autocritica. Educare al giudizio
significa educare alla critica degli altri e di sé stessi. Sono
queste le tre grandi funzioni in cui la filosofia costituisce un
modello per la pratica della parola, del discorso e del giudizio.
Si può affermare che un aspetto della filosofia, poco sottolineato
ma di grande importanza, è il superamento di tutte le frontiere?
Bisogna porre mente al fatto che l’area geografica della discussione
filosofica non coincide con le frontiere. Si può parlare di
caratteristiche della filosofia anglosassone o tedesca, italiana,
francese, spagnola, ma nessuna delle questioni è regionale o
nazionale. È estremamente importante che il giudizio critico sia
esercitato anche verso ciò che nelle nostre culture è localistico e
chiuso in se stesso. C’è un problema di un’identità che
rischiamo continuamente di perdere in un mondo tecnologico o in
sottoculture senza frontiere. Alla televisione non si vedono ormai che
avanzi della sottocultura americana che invadono tutto. C’è quindi
una legittima difesa delle identità forti, delle identità nazionali
intorno alle lingue e alle tradizioni. La filosofia certamente ha in
questo la responsabilità del tutto particolare di non distruggere
quelle identità forti, ma di situarle in rapporto ad altre. Da questo
punto di vista si può dire che non c’è questione filosofica che
non sia attualmente una questione universale. Il discorso della
filosofia non è regionale o nazionale e nemmeno continentale, ma
internazionale: le vere domande filosofiche, almeno nelle intenzioni,
intendono rivolgersi a tutti gli uomini. L’idea di “diritti dell’uomo”
non è un caso particolare, ma un’ applicazione assai precisa,
perché “diritti dell’uomo” vuol dire diritti che ha l’uomo,
non in quanto cittadino di questo o quel Paese, ma in quanto è nato
uomo. In una serie di dichiarazioni è detto che gli uomini sono nati
con eguali diritti. Troviamo l’idea di “nascita”: nascendo,
nasciamo all’umanità tutta quanta, prima di appartenere, tramite la
lingua materna, a una determinata nazionalità.
Attualmente uno dei grandi compiti della filosofia è equilibrare la
dimensione universale con l’esperienza umanitaria del vivere
insieme, che non è illimitata: le culture hanno dei contorni, sono
delimitate, definite, ma la filosofia con le sue domande apre un
orizzonte di universalità. Tale universalità si concretizza in un’arte
dell’argomentazione. Mi sembra molto importante che la filosofia
possa indirizzarsi a un’opinione pubblica internazionale, non
soltanto perché le questioni che pone, si pongono a ogni uomo, ma
perché l’arte dell’argomentazione non è un’arte regionale,
locale e nemmeno nazionale: un argomento è in linea di principio
idealmente comprensibile per tutti gli uomini. Universali allora sono
non soltanto le domande poste e gli argomenti usati, ma anche il
diritto di partecipare alla discussione, all’argomentazione. In
fondo la grande idea degli Illuministi è che partecipiamo idealmente
a una grande discussione che non ha limiti nello spazio e in cui, in
definitiva, ogni uomo ha il diritto di prendere la parola e il dovere
di rispondere alla domanda: “Qual è l’argomento più valido per
sostenere la tua tesi? Qual è il miglior modo di difendere la tua
tesi?”. Accettare gli argomenti dell’altro, ma anche rispondere
alla domanda: “Quali sono le ragioni che hai di credere quello che
credi?” è ciò in cui consiste l’arte dell’argomentazione, una
delle maggiori conquiste della filosofia, di quella occidentale in
particolare. D’altronde è un problema anche per noi: in filosofia,
nelle scuole di filosofi, che non sono affatto scuole nazionali e le
cui discussioni si intrecciano trasversalmente rispetto alle nazioni,
dobbiamo imparare a scambiarci i nostri argomenti: gli argomenti di
una filosofia che riflette sulle scienze, o di una filosofia che
medita sulla morale, di una filosofia dell’arte, o della religione.
Che ruolo ha la filosofia nel processo di formazione del cittadino?
Si deve parlare di formazione del cittadino a partire dalla funzione
critica, perché gli attuali regimi politici riposano sull’abilità
argomentativa. Esiste una funzione civile della filosofia per un
motivo legato alla natura del funzionamento della democrazia: regimi
elettorali, rapporti tra Stato, governo e parlamento e così via. Nell’accezione
più ampia, la democrazia si regge sul consenso dei cittadini a vivere
insieme. Il tema del Contratto sociale di Rousseau è
importante: non c’è mai stata un’adunanza di genti che avessero
deciso di vivere insieme; al contrario, si vive insieme, come se tutti
i giorni si firmasse il contratto sociale su cui si basa la
coesistenza sotto le stesse leggi. I nostri regimi non si fondano su
un’autorità superiore, ma sulla fiducia degli uni negli altri:
voler vivere insieme è il solo fondamento della legittimità e della
sovranità. Siamo sovrani perché ci riconosciamo mutuamente come
portatori di sovranità. La filosofia è responsabile di questa comune
volontà in tre modi diversi.
Primo: con l’idea che la sovranità si esprime in una costituzione,
regola generale della comunità, predominante sulle leggi particolari.
Diventano rilevanti l’apprendimento e la comprensione della
costituzione, ma sono assenti dai programmi di filosofia.
Secondo: il riconoscimento della base morale della politica. L’elemento
giuridico, che si esprime nella costituzione di uno Stato, si fonda su
leggi morali. Un solo esempio: la legge morale fondamentale è la
capacità di mantenere le promesse; ogni tradimento di questa
affermazione indebolisce la forza del linguaggio basata sulla fiducia
di tutti in tale stabilità. Uno degli assiomi del diritto delle genti
nel Seicento e nel Settecento era l’idea che pacta sunt servanda,
“i patti devono essere rispettati”. Il patto è al tempo stesso il
patto interno di un Paese, ma anche il patto tra le nazioni. Ognuno di
essi serve a mantenere la pace: penso al Progetto per una pace
perpetua di Kant, erede di una speranza nata nel Medioevo,
derivata dall’Impero Romano che, tuttavia, non si poneva il problema
di un diritto internazionale, perché era un mondo a sé, da cui
restavano fuori i barbari. La responsabilità fondamentale della
filosofia consiste nel mettere in rapporto la morale con la politica.
Ciò non significa ricondurre la politica alla morale: ma il potere ha
bisogno di critica filosofica, perché è sempre minacciato dall’abuso;
qui occorre la massima vigilanza morale.
Terzo: la gente si sente minacciata e l’individualismo diviene una
legittima compensazione; la nostra vita privata, familiare,
individuale, è possibile perché regna la pace. Prima della caduta
del muro di Berlino mi recavo spesso presso le università clandestine
per favorire gli incontri tra studenti e professori espulsi dagli
atenei, i quali chiedevano di parlare non di sistemi politici, ma di
filosofia, per tornare alle domande fondamentali, alla fiducia in una
parola fondante. È grave credere che la vita privata sia un rifugio
contro ciò che c’è di scandaloso nella vita politica: senza una
politica sana non avremmo vita privata. La vita privata e la vita
pubblica si corrispondono e poggiano su valori morali identici: non ci
sono valori privati e valori pubblici, ma una morale unica che si
modifica nell’aspetto qualora si debba confrontare con le
manifestazioni del potere o con i rapporti privati tra gli uomini. Il
privato e il pubblico devono trovare un accordo e in ciò la filosofia
ha delle grandi responsabilità civili: comprendere il carattere
permanente del contratto sociale; consolidare le virtù che difendono
il potere da ogni forma di abuso; unificare la vita privata con quella
pubblica.
In che modo si possono affrontare i problemi dell’insegnamento
della filosofia nella formazione dei cittadini e del rapporto tra
cultura umanistica da una parte e discipline tecnologiche dall’altra?
Va tenuto presente l’Appello rivolto ai Parlamenti e ai Governi per
una politica culturale e scolastica in cui la filosofia trovi il posto
che le compete. In Francia i sistemi scolastici sono organizzati in
modo tale che le opportunità di riuscita sono maggiori per coloro che
scelgono una formazione scientifica e tecnologica. Non credo che la
protesta degli insegnanti di filosofia contro questo predominio dell’insegnamento
scientifico e tecnologico sia una difesa corporativa. Nell’interesse
dell’economia moderna è importante ritrovare un nuovo equilibrio
tra cultura scientifica e umanistica. La filosofia è essa stessa una
branca della cultura umanistica, che si articola essenzialmente in
quattro punti di pari importanza.
Primo, la conoscenza della storia, perché la storia della
filosofia non è che una parte della storia. È importante valorizzare
l’insegnamento della storia, sia dei nostri Paesi, sia delle altre
culture.
Secondo, la letteratura, che ha una grande funzione educativa, non
soltanto perché è l’apprendimento di un linguaggio complesso,
raffinato, ma anche perché nella letteratura ci sono mondi di
esperienza. Nella letteratura si conosce il mondo; nella letteratura
moderna c’è un elemento prezioso, ossia la possibilità di
sperimentare con il pensiero delle forme di vita. La nostra
immaginazione tenta dei modi per unire insieme la vita e la morte, il
bene e il male, l’amore e l’odio. Ogni romanzo, ogni opera
teatrale è una specie di combinatoria in cui si provano delle
strategie, dei progetti esistenziali. In questo senso la letteratura
è un laboratorio della morale e della politica. Nella tragedia greca,
per esempio, sono rappresentati príncipi e re, perché la letteratura
è una riflessione sulla grandezza umana e sui modi per conseguirla.
Terzo, le lingue straniere, attraverso le quali si può entrare nelle
diverse culture, trovando in ciò un rimedio ai pericoli del
nazionalismo. Sostengo che l’apprendimento delle letterature
straniere non dev’essere limitato dalla pratica delle lingue
straniere, ma può servirsi di traduzioni. C’è spesso una
diffidenza ingiustificata verso le traduzioni, che sarebbero di aiuto
per instaurare un buon rapporto con le letterature antiche: non vedo
perché gli autori greci e latini debbano restare un’esclusiva dei
classicisti.
Quarto, la cultura artistica, troppo sacrificata non solo alla cultura
scientifica, ma anche alle altre parti dell’indirizzo umanistico che
ho menzionato. La cultura umanistica va considerata un modo per
ristabilire l’equilibrio perduto: anche la vita economica ha bisogno
di persone colte, nel senso di persone che abbiano consuetudine con la
lettura e in essa si ritrovano i quattro elementi di cui ho parlato.
Gran parte dell’economia moderna si fonda sulle relazioni umane, non
solo sul rapporto con le cose. C’è un intreccio straordinario di
relazioni umane, in primo luogo all’interno di un impresa. Si
potrebbe dire che il linguaggio è un fattore produttivo all’interno
stesso del sistema economico. Non si producono solo macchine, ma anche
uomini. Più in generale, una cultura letteraria, storica, artistica,
è utile in tutti i rapporti umani, per una migliore qualità della
parola: qui si trova il problema della filosofia come sentinella di un
pluralismo pedagogico, che comprenda la formazione scientifica e
tecnologica con tutto il blocco dell’indirizzo umanistico, la
storia, la letteratura e le lingue straniere, compreso il greco e il
latino. In conclusione, compito della filosofia è proteggere la
diversità e garantire l’integrazione.
(traduzione: Francesco Fanelli; 4/5/1993)
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