Da Aristotele a Spielberg
Ivo Lini
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pensieri
Cos'è la guerra? Un conflitto armato che inizia dove finisce la
mediazione politica, potrebbe essere la risposta del filosofo.
Definizione ineccepibile. Ma se ne afferra davvero l'essenza? No,
perché per cogliere fino in fondo cosa sia la guerra ci vuole
qualcosa di più. Ci vuole una risonanza emotiva. Sangue e carne.
Speranze distrutte a vent'anni. Sacrificio, terrore, tradimento. Ci
vuole, cioè, quello che alla massima potenza esprime soltanto uno
strumento relativamente recente: il cinema. In altre parole, l'idea
platonica di "guerra" assume un significato molto più
chiaro in film come Il cacciatore o Tornando a casa che
non in pensosi trattati accademici.
Tra i tanti modi di essere del cinema, infatti, c'è proprio quello di
offrire una verifica empirica alle conquiste del pensiero, ai problemi
filosofici che hanno attraversato nei secoli l'umanità. E' con questa
intuizione che il filosofo argentino Julio Cabrera propone Da
Aristotele a Spielberg (Bruno Mondadori), una cavalcata attraverso
2.500 anni di filosofia e un secolo di cinema.
Filosoficamente, spiega Cabrera, il cinema è "concettimmagine",
qualcosa cioè che si oppone, per ampliarlo, al "concettidea"
del testo scritto. Detta in parole più semplici, il cinema è un
mettersi in cammino verso una direzione dedotta "alla
buona", indicata dalla nostra bussola con approssimazione, ma
senza che si debba per questo svalutarla rispetto ai tracciati
ufficiali. Anzi. E così, mentre la filosofia tende spesso a
sottomettere la vita a istanze organizzatrici, riparatrici,
giustificative o cosmetiche, il cinema fa da antenna all'esperienza.
Che, il più delle volte, è demoniaca, fuori controllo, sconcertante.
Ma vera.
Da questa premessa anche il pensiero dei grandi filosofi sembra
assumere valenze nuove. Si trasforma, in qualche modo, sotto i colpi
della pellicola. Il soprannaturale di San Tommaso, per esempio:
Cabrera lo legge attraverso Rosemary's Baby di Roman Polanski.
Esiste la prova dell'esistenza divina? Certo, sembra rispondere il
film, che racconta la consegna di un neonato a una setta satanica. Ma,
come la maggior parte delle pellicole, il trascendente è espresso con
maggiore forza nella sua forma negativa, quella diabolica.
Argomentazione teorica stringente che si sposa con l'esperienza
vissuta sulla pelle dallo spettatore. Anche quando questo non è
d'accordo con l'analisi del filosofo o del regista, osserva Cabrera,
ciò che conta è il piacere di una rivelazione che di rado il
ragionamento scritto riesce a offrire. Tutti i più importanti nodi
della storia della filosofia, da Platone a Wittgenstein, sono visitati
nel libro con la lente dello studioso-cinefilo. Ecco allora
Aristotele, la cui teoria della verosimiglianza nella Poetica
è messa a confronto con un film neorealista come Ladri di
biciclette: può l'arte riprodurre la realtà del mondo in quanto
tale? "Lo spettatore - si legge nel libro - non vuole la verità,
ma il possibile, il verosimile, ciò che può riuscire a credere.
Vogliamo essere sì ingannati, ma con qualcosa che assomigli alla
verità. Che spesso non possiede questo requisito". E secondo
Cabrera, anche il film di De Sica, malgrado il pedinamento realistico
dei protagonisti, non sfugge a questa sapiente manipolazione
artistica.
Il rapporto dell'uomo con la natura, descritto dai presocratici e da
Francesco Bacone, è rappresentato invece da film come Lo squalo
e Jurassic Park di Steven Spielberg. Cosa succede quando le
ineludibili necessità animali vengono ignorate?
Acute poi le osservazioni su Cartesio, filosofo e matematico che
attraverso il dubbio esprimeva il massimo anelito alla ricerca di una
verità assoluta. A seconda del film che Cabrera analizza, il pensiero
cartesiano genera nuove domande: ecco allora Blow-up di
Antonioni (si può credere a tutto quello che si vede?), La
finestra sul cortile di Hitchcock (come catturare un
assassino trascurando Descartes), Istantanee di Jocelyn
Moorhouse (esiste una prova morale dell'esistenza del mondo?).
Pulp fiction, con la sua struttura temporale ambigua, sembra
invece mandare in frantumi i principi della causalità dell'empirismo
di Locke e Hume: il succedersi degli eventi secondo un rigoroso legame
tra cause ed effetti, visto il film di Tarantino, diventa un concetto
molto più elastico. E ancora, il rapporto tra teoria e prassi
studiato da Kant rivive negli esempi dell'Attimo fuggente di
Weir e di Un uomo per tutte le stagioni di Zinnemann. L'idea
del tempo di Hegel trova conferme di diverso tipo in Paris, Texas
di Wenders (la riconciliazione hegeliana di una famiglia distrutta) e
in L'impero del sole di Spielberg (il perdersi per ritrovarsi).
Il valore della vita si esalta con Viridiana di Buñuel (lo
Schopenhauer del cinema) e La vita è meravigliosa di Capra
(l'ottimista a oltranza).
La carrellata di domande filosofiche prosegue: in politica si può
rimanere obiettivi (Marx contro Costa-Gavras e Oliver Stone)? Che
rapporto c'è tra eroismo e violenza (Nietzsche contro Clint Eastwood)?
Cosa sono l'essere e la condizione umana (Heidegger contro Antonioni e
Anderson)? C'è un legame tra libertà e morte (Sartre e Thelma
& Louise)? Si chiude con Wittgenstein, dal cui repertorio di
citazioni Cabrera adatta una bella metafora per spiegare la poetica di
John Ford: "Ciò che non può essere detto, un film di cowboy
può benissimo riuscire a mostrarlo".
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