Libertà e religione nel Risorgimento
Roberto Balzani
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Roberto Balzani è professore associato di Storia contemporanea all’Università
di Bologna. Quello che segue è il resoconto, non rivisto dall'autore,
del suo intervento nel corso della convegno "Scienza, Chiesa e
libertà. Ieri e oggi", organizzato a Roma il 20 settembre dal
Partito radicale
Io sono romagnolo, e debbo dire che in questa sala a Roma trovo un’atmosfera
piacevolmente familiare. Molto banalmente cercherò di analizzare
alcuni punti di vista, a partire anche da una discussione apparsa sui
giornali, relativi a quella che potrebbe essere non tanto una
revisione della storia risorgimentale, quanto una ricostruzione
analiticamente corretta di questo processo che, come cercherò di dire
poi alla fine dell’intervento, è oggi messo in discussione.
Il primo punto è per me, e penso per molti di voi, assolutamente
ovvio, e tuttavia è stato contestato sui giornali. Mi riferisco al
fatto che, si dice, l’Italia è l’unico caso europeo di uno Stato
che si unifica contro la Chiesa. Io credo che questo sia un punto di
vista sostanzialmente sbagliato, nel senso che il processo di
costruzione dello Stato moderno, in tutta Europa, è un processo di
secolarizzazione, che ha per base proprio la separazione del potere
religioso dal potere politico, dal potere laico. Questa è una delle
caratteristiche fondamentali dell’Occidente, un elemento che è
considerato la base del miracolo europeo, come lo chiamano alcuni
studiosi americani.
Il caso italiano è un caso sì anomalo, ma semplicemente perché
questo processo si è verificato con un forte ritardo. Gli altri
paesi, soprattutto la Francia e Inghilterra, hanno risolto questo
problema alle origini delle monarchie nazionali o quando è emerso lo
Stato moderno, cioè fra il Trecento e il Cinquecento in generale.
Quindi questo fenomeno dello Stato che si scontra con la Chiesa, che
costituirebbe un’anomalia del caso italiano, in effetti non è
affatto un’anomalia. Lo Stato nazione italiano nasce esattamente
come gli altri Stati: la differenza è che ciò avviene in un momento
particolare.

E qui passo al secondo punto: questo momento particolare è assai
sfortunato per l’Italia, perché coincide con un grande rilancio del
potere temporale della Chiesa. Dopo la fine della Rivoluzione
francese, è esistita una grande corrente di pensiero che tendeva a
riportare le origini della civiltà europea alla "res publica"
cristiana che si ricostituiva, di cui la Chiesa veniva considerata l’interprete
più autentica. Quindi noi abbiamo una sfilza di grandi pensatori
francesi come de Maistre e de Bonald, non solo ecclesiastici, ma anche
laici, e non solo conservatori, ma anche progressisti, radicali in
qualche caso, i quali teorizzano questa sorta di unità della civiltà
europea sotto il segno cristiano come momento di riunificazione
spirituale del continente dopo il venticinquennio scandito dalla
Rivoluzione francese e da Napoleone.
In questa sorta di grande continuità della presenza della Chiesa come
momento unificante dello spirito del tempo e della vicenda europea, è
chiaro che le ambizioni temporalistiche del papato risultano
assolutamente potenziate. E qui c’è Leone XII, c’è Pio VIII, c’è
Gregorio XVI soprattutto, e poi lo stesso Pio IX. Abbiamo una forte
affermazione della presenza del potere temporale nella società
europea, che è legata a una particolare temperie culturale all’inizio
dell’Ottocento.
Nel caso di Pio IX, abbiamo, com’è noto, una grande ambiguità, che
è stata più volte sottolineata, ma che credo in realtà vada letta
come un’ambiguità perfettamente riconducibile alla mentalità del
tempo e del pontificato. Da una parte la presenza temporale della
Chiesa appare legata all’accordo con le monarchie dell'epoca, quindi
è la presenza dall’alto di un potere della Chiesa che si connetteva
direttamente al potere del trono. Dall’altra parte troviamo una
scelta diversa, che però aveva lo stesso medesimo fine di affermare
il potere temporale della Chiesa: essa consisteva nel passare
viceversa per una ripresa di uno degli elementi culturali della
civiltà cristiana delle origini, cioè il rapporto diretto fra il
popolo e il Buon Pastore.
Il legame fra il popolo e il Pastore delle anime, cioè il Papa,
attraverso quello che potremmo chiamare una sorta di populismo
cattolico, trova la sua massima espressione in Italia fra il giugno
del 1846 e l’aprile del 1848, con il tentativo, da parte di Pio IX,
di percorrere questa seconda via, cioè una via che passa dal basso e
non dall’alto, ma il cui fine è pur sempre quello di affermare in
maniera più pertinente e cospicua il potere della Chiesa all’interno
della società, e della società italiana in particolare.
Sappiamo che il tentativo salta per aria durante la prima guerra d’indipendenza,
quando viene meno questa sorta di legittimazione dal basso, ma il
conflitto, secondo me, non è determinato solo dalla necessità di una
scelta fra il potere spirituale, universale della Chiesa e l’essenza
del pontificato come rappresentante di un potere temporale. C'è
qualcosa di più: da parte di Pio IX c'è la percezione che in questo
periodo, cioè tra il 1846 e il 1848, nella società italiana il
tentativo di recuperare le radici del rapporto fra il popolo e la
Chiesa, attraverso la riscoperta della matrice cristiana degli
italiani, ha una conseguenza indesiderata. Se, come diceva Gioberti,
“si può essere cattolici, senza essere italiani, ma non si può
essere italiani senza essere cattolici”, quindi il cattolicesimo è
un pre-requisito della nazionalità italiana, succede che, andando
alla ricerca di questo rapporto diretto, non filtrato dalle gerarchie,
la situazione sfugge di mano. Capita che il popolo cattolico, quello
vero, delle campagne, della gente comune, chiede la riforma della
Chiesa e il ritorno a un’evangelizzazione più auentica, originaria.
Si manifesta insomma una critica dell’istituzione ecclesiastica, una
messa in discussione della Chiesa stessa come istituzione.
Si tratta di un fenomeno largamente presente in tutta un’enorme
quantità di pubblicistica minore, locale, che si diffonde non solo
nello Stato Pontificio, ma in generale in tutta Italia. Insomma, la
marcia indietro di Pio IX è anche dovuta al fatto che la sua
precedente “apertura liberale” finisce per mettere in crisi non
solo l’idea stessa della Chiesa come potere temporale, ma anche la
struttura dell’istituzione ecclesiastica così come era stata
pensata fino a quella prima parte dell’Ottocento.
Questo momento è decisivo ed è stato perfettamente descritto in una
frase icastica di Benedetto Croce, nella Storia d’Europa nel secolo
XIX, quando scrive: “Un papa liberale, un impossibile nella logica e
nella realtà”
Punto terzo: il Risorgimento, che i ciellini vogliono rimettere in
discussione, fino al 1848 sicuramente non è anti-cristiano, e
probabilmente in prevalenza non è neanche anti-cattolico. E'
naturale: la maggioranza dei patrioti italiani - lasciamo perdere
Mazzini e alcuni grandi intellettuali - sono assolutamente persuasi,
soprattutto nel periodo “neo-guelfo”, di poter conciliare
effettivamente questi due elementi: riscatto nazionale e fede
religiosa
D’altra parte la rivoluzione europea del 1848 non è anti-cattolica
e anti-cristiana neppure in Francia. Una delle cose che più mi hanno
colpito, un paio di anni fa, andando alla bellissima mostra
organizzata dall’Assemblea nazionale francese per i 150 anni della
Seconda Repubblica, è stato vedere una quantità enorme di stampe a
sfondo cristiano, in cui c’erano gli angioletti col berretto frigio,
i sacerdoti, il Crocefisso. Io non immaginavo che la rivoluzione del
1848 a Parigi, quella degli "ateliers nationaux", di Louis
Blanc, della bandiera rossa, si riconnettesse tanto intensamente al
messaggio cristiano.
Quindi in realtà la cifra del 1848, molto di più di quanto la Chiesa
stessa comprese, si muoveva nel solco della riscoperta di una radice
cristiana dell’Europa in un senso umanitario, di evangelizzazione
democratica. Non sto a citarvi frasi di Mameli su questi concetti: ce
n’è una quantità enorme.
Il problema è che il Risorgimento italiano diventa anti-temporale e
anti-clericale nel 1848. Ed è la Chiesa che costruisce il
Risorgimento anti-clericale. Il Risorgimento italiano all'inizio non
è anti-cattolico e anti-cristiano. Diventa anti-temporale e
anti-clericale, e in alcune frange anti-cristiano, proprio in virtù
della scelta che Pio IX compie nella primavera del 1848, quando non
solo si ritira dalla guerra d’indipendenza, ma rimette in
discussione l'approccio “populistico” (non direi liberale, ma
sicuramente populistico), che aveva inaugurato nel 1846. Questo è un
altro punto che secondo me va messo in evidenza, anche per
discriminare le fasi del Risorgimento che non è un
"unicum", un blocco compatto, così come non lo è la
vicenda della Chiesa, ovviamente.
Quarto e ultimo punto: il conflitto con la Chiesa a questo punto va
considerato come una delle radici stesse dello Stato liberale. E'
consunstanziale, potremmo dire, alla nascita dello Stato liberale, che
di fatto viene inventato da Cavour nell’esperienza pratica fra il
1850 e il 1855 e ha come origine, nella sua espressione parlamentare,
lo scontro con la Chiesa. Il primo grande discorso di Cavour, quello
in cui spiega la sua idea del riformismo, viene pronunciato il 7 marzo
1850 al Parlamento subalpino, quando si discute la legge Siccardi, che
abolisce il foro ecclesiastico. Cavour utilizza quella ribalta non per
scagliarsi contro la Chiesa, ma per dire che cosa dev’essere lo
Stato.
In quel momento si afferma l'idea fondante del separatismo liberale,
di cui si nutre un processo di costruzione della società civile che
diventa a quel punto assolutamente alternativo al potere temprale
della Chiesa. E bisogna puntualizzare che questo processo è
compiutamente anteriore alla messa in discussione dello Stato
pontificio come soggetto internazionale. Non è, badate bene, legato
alla necessità che hanno i patrioti italiani di abbattere lo Stato
del Papa. No. Questo processo si avvia in Piemonte fra la legge
Siccardi e la crisi Calabiana, cioè fra il 1850 e il 1855, molto
prima del 1858 e dei famosi accordi di Plombières, quando per la
prima volta, grazie a una favorevole congiuntura internazionale, entra
in discussione l’esistenza dello Stato pontificio.
Quindi non è il frutto di un complotto contro lo Stato pontificio, ma
qualcosa di anteriore. E' piuttosto il prodotto del fallimento della
soluzione populista di Pio IX nel 1848. Questo è il vero snodo. Che
ciò avvenga in Piemonte e al tempo di Cavour deriva ovviamente dal
fatto che solo lì c’è lo Statuto albertino, esiste il Parlamento e
così via. E' un punto da cogliere: non esiste un problema dello Stato
italiano che nasce contro la Chiesa, per sopprimerne il potere
temporale. Lo Stato liberale nasce dal conflitto con l’idea del
potere temporale come concetto, come elaborazione concettuale e
logica. Il conflitto politico, tra il 1858 e il 1870, è un passaggio
successivo.
Detto questo, vorrei concludere soffermandomi su un aspetto, su quello
che può fare la cultura per divulgare questi messaggi, che sono per
chi fa ricerca banalmente accettati, a tutti livelli, ma che fanno
fatica a penetrare sui giornali, alla portata del grande pubblico. Io
credo che ci sia bisogno di una grande opera di rialfabetizzazione
civile in questo Paese, e che questa impresa sia un compito
pre-politico, che non riguarda la lotta politica, ma la stessa
costruzione dell’identità civile.
Gli aspetti che possono essere documentati dalla ricerca storiografica
noi li possiamo discutere, mettere in dubbio, verificare sui
documenti. Poi però abbiamo bisogno di un’altra cosa: della memoria
culturale, che è un altro processo ancora rispetto alla ricerca
storica. La memoria culturale è quello che decidiamo di portarci
dietro, di costruire come, chiamiamola così, susperstizione
volontaria sulla quale basare i nostri valori condivisi.
Ecco, questo tipo di processo, secondo me, nel mondo laico è
mancante, proprio perché siamo abituati all’uso del dubbio, al
confronto a volte parossistico, a una sorta di individualismo
intellettuale, e facciamo fatica a elaborare la memoria culturale, che
pure è uno degli elementi fondamentali di trasmissione dell’identità.
Un ultimo esempio: Comunione e Liberazione se la prende contro un
modello, quello della ricostruzione teleologica del Risorgimento, che
- lo sappiamo benissimo - non esiste più. Non è che gli italiani
pensino che c’è prima Maroncelli, quindi Silvio Pellico, poi il
1831, il 1848, Garibaldi e così via. No.Gli italiani oggi non hanno
idea di niente. Ormai solo i nomi delle strade ricordano Garibaldi e
Mazzini. Quindi i ciellini se la prendono contro un simulacro: è uno
schermo di carta, senza niente dietro. Cercano di costruirsi una sorta
di antagonista inesistente per affermare un’altra memoria culturale.
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