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"Liam", o la scuola del terrore



Paola Casella




Liam, diretto da Stephen Frears, scritto da Jimmmy McGovern, con Ian Hart, Claire Hackett, Anne Reid, Anthony Borrows, Megan Burns, Russell Dixon

"Il timore di Dio si alimenta soprattutto con la considerazione dei tremendi castighi con cui Dio punisce eternamente i peccatori nell'inferno. I bambini hanno una speciale sensibilità per ogni genere di castigo; il catechista se ne valga per instillare loro un efficace timore dell'inferno. Il paradiso e l'inferno sono una realtà insopprimibile, della quale i bambini devono avere chiara e ferma conoscenza e che ha il potere di agire efficacemente sulla loro condotta".


Questa frase, che appare nella nota didattico-pedagogica premessa al capitolo sull'Inferno della Guida, uno di quei manuali didattici editi dal Centro catechistico di Roma fra la fine degli anni '50 e gli inizi dei '60 e affidati agli insegnanti della prima elementare, viene riportata da Ernesto Rossi nel capitolo "La scuola del terrore" di "Pagine anticlericali" (Massari Editore). Ma potrebbe anche precedere tutte le scene di vita scolastica che appaiono in Liam, l'ultimo film del regista inglese Stephen Frears, presentato in concorso alla scorsa Mostra del cinema di Venezia.

Liam è un bambino di sette anni, il membro più giovane di una delle pochissime famiglie di cattolici inglesi (cioé non irlandesi) della Liverpool degli anni '30. La maggior parte delle scene che vedono Liam protagonista si svolge a scuola o in Chiesa, e racconta la sua educazione religiosa come assolutamente impostata sul terrore.

"Le vostre anime sono sudicie!!", grida Mrs. Abernathy, la maestra di Liam (brillantemente interpretata da Anne Reid), davanti a una nidiata di frugoletti di terza elementare. "Se non vi pentite subito brucerete tutti all'Inferno!!" Minaccia cui fa seguito una descrizione minuziosa di cosa voglia dire ardere senza sosta per tutta l'eternità.

Mrs. Abernathy è adeguatamente coadiuvata nella sua opera da Padre Ryan (Russell Dixon), il parroco del quartiere operaio dove risiede la famiglia di Liam (alla quale il prete non manca di chiedere continuamente elemosine, malgrado la famiglia viva al limite dell'indigenza): "Ogni vostro peccato conficca ancora più a fondo i chiodi nelle mani di Cristo", inveisce Padre Ryan, suscitando profondi sentimenti di colpa fra i piccolissimi della scolaresca.

Tutto questo in preparazione della loro Prima Comunione, alla quale i poverini arrivano in uno stato di angoscia insopprimibile, convinti di essere ognuno immondo e immeritevole. Soprattutto Liam, adorabile bimbo tartaglione (interpretato dall'esordiente Anthony Burrows, che ogni spettatore vorrebbe portarsi a casa), che ha la sfortuna di intravvedere la propria madre tutta nuda proprio alla vigilia della prima confessione, e che nel buio del confessionale, al cospetto (occultato) di Padre Ryan, non ha il coraggio di riferire l'incidente, del quale naturalmente si sente unico responsabile.

Anche perché la visione della madre coincide con la scoperta, da parte di Liam, della curiosità nei confronti del corpo femminile in generale, suscitata da alcune riproduzioni artistiche che il bimbo scova in un volume della biblioteca scolastica (evidentemente ancora non epurato dalle autorità eccelsiastiche).

Secondo il film di Frears, che è coprodotto dalla BBC e pensato principalmente per la visione televisiva, nella protestante Inghilterra la religione cattolica ha inciso fortemente non solo sull'educazione morale e sul comportamento dei suoi fedeli, ma anche sulla loro preparazione scolastica e su ogni altro aspetto della loro esistenza quotidiana. E la condanna di Frears (che non è cattolico), anche quando espressa in toni umoristici (le scene dell'indottrinamento scolastico sono spassose), è inequivocabile.


Liam mostra inoltre come l'adesione al dogma religioso sia stata totale e totalmente acritica proprio perché in Inghilterra la fede cattolica ha costituito da un lato un elemento di identificazione sociale (soprattutto fra gli immigrati irlandesi), dall'altro un fattore discriminatorio, costringendo i suoi adepti a un integralismo di sopravvivenza, o viceversa alla necessità di mimetizzarsi fra gli altri, qualche volta rinnegando le proprie convinzioni. La breve scena nella quale Teresa, la sorella maggiore di Liam (interpretata da Megan Burns, che per questo ruolo ha vinto il premio come Miglior attrice esordiente a Venezia), premette: "Io non sono cattolica" per paura di perdere il posto come cameriera presso una ricca signora di Liverpool (che, ironia della sorte, si scoprirà essere ebrea) dà immediatamente la misura di ciò che poteva comportare far parte di una minoranza religiosa in Inghilterra.

Liam non è uno dei film più riusciti di Frears. Ben lontano dal realismo di My beautiful laundrette, dalla raffinatezza di Le relazioni pericolose, dal cinismo di Rischiose abitudini o anche solo dal garbo del recentissimo Alta fedeltà (un gioiellino ingiustamente punito dall'uscita estiva italiana), Liam tocca un po' troppo spesso le corde del melodramma (alle quali Frears ci aveva ahimé già abituato con Mary Reilly) e cerca la lacrima facile, sfruttando senza ritegno l'amabilità dei suoi protagonisti più giovani.

Ben più sottile è il ritratto del fratello maggiore di Liam, Con, interpretato da David Hart, nella realtà figlio di Ian Hart, lo straordinario attore che ha il ruolo di suo padre anche nel film. Con è un adolescente profondo e intenso, tanto più saggio del padre (o forse solo un po' meno oberato dalle responsabilità familiari) da capire che la politica dei polli di Renzo fra minoranze etniche e religiose fa solo l'interesse dei potenti del quartiere.

Però il viso che ci rimane negli occhi uscendo dal cinema è quello tondo e paffuto del piccolo Liam, talmente soggiogato dalle sue circostanze (e dal fiume di minacce apocalittiche dei suoi insegnanti) da non riuscire a spiccicare parola, e la voce che ci rimane negli orecchi è la sua, sottile e cantilenante, mentre ripete a tempo di musica la frase che la mamma gli ha chiesto di riferire, per non dimenticarsela, per riuscire a pronunciarla senza impappinarsi.

 

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