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Scuole di scrittura: corpo a corpo tra le righe (pagina 3)

Laura Lepri

Niente regole ferree, dunque. Al più si può fare come Raymond Carver che costellava la propria scrivania di schede sei-per-dodici sulle quali riportava suggerimenti utili alla propria scrittura. Coerenti con una voce, la propria, che esisteva al di là delle lezioni di John Gardner, il cui magistero Carver ha sempre generosamente riconosciuto. Come quel monito rubato a Ezra Pound che compare ne Il mestiere di scrivere: "Una fondamentale accuratezza d'espressione è il solo e unico principio morale della scrittura". Potrebbe essere un buon esercizio per un allievo. Ognuno trovi e incida i propri comandamenti. Affidandosi a chi l'ha già fatto. Devo proporglielo.

Ebbene, Lodge non dà consigli, ma legge, propone e affianca soluzioni altrui. Un esempio per tutti. Come si presenta un personaggio? Lodge si affida a due testi. Nel primo propone l'entrata in scena di Sally Bowles in Addio a Berlino (1939) di Isherwood, nel secondo quello di Dorothea Brooke, protagonista di Middlemarch, forse il romanzo più importante di George Eliot, pubblicato a puntate fra il 1871 e il '72. Fra i settant'anni che separano le due scritture non c'è solo un frammento di storia letteraria e di narratologia (il punto di vista dello scrittore non è più ottocentescamente "esterno" ma è "dentro", appartiene alla storia, alla trama, alla narrazione), ma vi si rintraccia anche un'idea diversa della descrizione. Ovviamente quella della Eliot è più insistita, puntuale, "prolissa"; quella di Isherwood è maggiormente consegnata al frammento, al particolare, al dettaglio isolato e significativo. Scrive Lodge che la descrizione della Eliot è splendida, ma "appartiene a una cultura più paziente e meno frettolosa della nostra. I romanzieri moderni di solito preferiscono lasciare che i fatti riguardanti il personaggio emergano gradualmente, diversificati, oppure trasmessi attraverso l'azione e la parola. In ogni caso, qualunque descrizione nella narrativa è altamente selettiva; la sua tecnica retorica di base è la sineddoche, la parte che sta per il tutto". Isherwood, cioè uno scrittore dalla sensibilità più moderna, dice Lodge, si è concentrato su un dettaglio per mettere a fuoco la "sua" Sally. Infatti, l'io narrante ha notato che "le sue unghie erano smaltate verde smeraldo, una scelta di colore sfortunata perché attirava l'attenzione sulle mani molto macchiate dalla nicotina e sporche come quelle di una bambina".

Al lettore vengono consegnati con grande immediatezza alcuni elementi, indizi si potrebbero chiamare dato il loro carattere frammentario ma coerente, per entrare nel cuore di un'esistenza sfrenata e disperata. O almeno per intuirla. E uno scrittore contemporaneo non può non tener conto di questa tecnica della descrizione che appare certamente più essenziale, più visiva. E che verosimilmente molto deve al rapporto "nuovo" con le immagini che soprattutto il cinema ha seminato nel secolo, dalla sua nascita in poi.

Se continuiamo a riflettere sulla lettura non possiamo non aprire una piccola parentesi proprio sul cinema, quale modello di scritture, strutture e linguaggi narrativi. A me personalmente lo impongono anche le lezioni che tengo alla scuola Holden di Torino, frequentata da giovani potenziali narratori, i cui cromosomi culturali, ormai inevitabilmente, sono imbevuti di linguaggi non strettamente letterari. Cinema, fumetti, musica, sceneggiature, strisce, rock e rap, pittori figurativi e informali, hanno intriso le nuove generazioni di un linguaggio e di un immaginario narrativo che attinge dalle "letture" più disparate. I più scaltri ne hanno consapevolezza. Buon primo passo per scrivere. Farò un esempio concreto.

Qualche tempo fa ho assegnato un esercizio in cui gli allievi dovevano raccontare una piccola storia narrandola in prima persona: nella prospettiva di un punto di vista "interno", dunque. Poco tempo dopo il giovane Davide Longo, un ragazzo della provincia piemontese dallo sguardo curioso e dal buon talento, mi ha consegnato un racconto di cinque cartelle, intitolato "La pompa di benzina". Vi aveva racchiuso la "confessione narrata" di un anonimo e solitario benzinaio di New Point, in Virginia, figlio di un viaggiatore di commercio e di una donna a cui piacevano molto i chewing-gum, che dalla famiglia aveva ereditato una pompa di benzina collocata ai margini di un paese intorno al quale si stendevano campi a perdivista. Un luogo di passaggio, "un bucodiculo di posto", un angolo di mondo mormorante desolazione e convenzionale tranquillità dove non si sarebbe mai fermato nessuno. Tranne un pittore che un giorno qualsiasi gli aveva chiesto di dipingere la sua pompa di benzina. E lo aveva ritratto nell'atto di fare pieni che sarebbero stati consumati altrove. Solo un particolare aveva alterato quell'artista, rispetto alla realtà: si era inventato "un grosso cerchio di pelata proprio dietro la testa, perché io di certo non ce l'avevo e nessuno mi aveva mai detto che ce l'avessi. Perché mi aveva fatto così vecchio?", era la domanda sorda del benzinaio che chiudeva il racconto denunciando "qualcosa nello stomaco che non avevo mai sentito, come dei crampi ma senza dolore".

L'esercizio era buono, la scrittura piuttosto ferma e coerente, la struttura semplice ma solida. Tuttavia ogni tanto faceva capolino qualche stereotipo di troppo. Americano, troppo americano. Così ci siamo messi a individuare fonti e modelli. La lingua assomigliava a quella di una sceneggiatura, parlata e sincopata, a tratti manieristicamente; la trama rivelava il bisogno minimalista di narrare in poche pagine l'intera storia di una vita, la visività era cinematografica, appunto. "E poi, sembra un quadro di Hopper", ho detto con il tono di chi la sa lunga. "Ma è un quadro di Hopper, è la storia di quel personaggio!!!".

Già, la sua era una prospettiva interna, e narrativa, a una citazione. Una posizione "naturale" di post-moderno, come si direbbe oggi, con definizione alla moda. E che cos'è un post-moderno, se non un lettore scaltro, eclettico, edotto dei tanti codici "sinestetici" che orizzontalmente si intrecciano nella percezione e nella riproduzione del mondo, anche in quella narrata?

Ecco, in una scuola di scrittura si fa questo. Si impara a leggere, e a rileggere, a verbalizzare il corpo a corpo di ogni allievo con i "testi" - scritti, dipinti, musicati - già letti. L'accanimento passionale e devoto di Nabokov. E forse si impara anche a scrivere. O forse s'impara solo a esercitare una devozione alla scrittura. Assoluta, maniacale, ossessiva.

Laura Lepri è editor ed è succeduta a Raffaele Crovi e Giuseppe Pontiggia alla testa del "Corso di scrittura creativa" di Milano (Teatro Verdi, via Pastrengo 16, tel.02-5398126), la prima scuola del genere sorta in Italia.


Scuole di scrittura: corpo a corpo tra le righe

Manuali offrensi, scrittori cercansi

"Imparare a scrivere per iniziare a leggere"

"Non si legge? Più che della scuola è colpa della Chiesa"

Pochi lettori, qualche perche'

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