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"Non si legge? Piu' che della scuola la colpa e' della Chiesa"

intervista a Romano Luperini di Raffaele Oriani

 

Romano Luperini
"Il professore come intellettuale.
La riforma della scuola e
l'insegnamento della letteratura"
Lupetti/Piero Manni, 1998

pp.128, lire 18.000

Romano Luperini, docente di italianistica a Siena e autore di un fortunato manuale per le scuole superiori (Il 900, Loescher 1981), ha scritto un pamphlet in difesa dell'insegnamento della letteratura italiana nelle scuole: cento pagine per convincerci che "il rilancio dell'insegnamento della letteratura coincide con la rifondazione stessa della scuola italiana".
A Luperini abbiamo chiesto perché, se la poesia è sparita e il romanzo stenta, in Italia è ormai la lettura stessa ad essere un genere a rischio di estinzione.

"E' di moda dare la colpa alla scuola, ma dovremmo chiederci perché in un paese come gli Stati Uniti si verifica questo fatto strano: a scuola le materie umanistiche sono curate molto meno che da noi, ma le file dei lettori sono molto più folte e non sembrano accusare i gli ammanchi che da qualche anno si notano in Italia. La realtà è che noi non siamo un popolo del libro, non abbiamo avuto la Riforma e non siamo stati abituati a leggere i testi sacri. Abbiamo sempre subito e goduto della mediazione della Chiesa che in questo senso ci ha viziati e ci ha resi molto più propensi alla cultura orale".

D'accordo, la scuola non sarà il veleno, ma è un fatto che non fornisca l'antidoto all'analfabetismo letterario degli italiani.

"Certo, a scuola si potrebbe fare molto di più, si potrebbero invogliare i ragazzi alla lettura, avviarli all'avventura che si nasconde nei libri. Eppure anche qui mi sento di invitare alla cautela: stiamo attenti da una parte al feticismo del testo e alle analisi troppo formalistiche e dall'altra alle interpretazioni puramente soggettive che vanno tanto di moda nei paesi anglosassoni. Qui lo studente è infatti spesso lasciato solo in balia di un testo di cui viene invitato a fare e pensare ciò che vuole: sembra l'ideale, ma è un atteggiamento che a lungo andare annulla ogni senso comunitario dell'interpretazione".

L'alternativa quindi?

"Il punto centrale, la sfida vera che si propone oggi alla scuola italiana è quella di creare in classe una sana e conflittuale situazione ermeneutica, in cui il testo parli perché interrogato e dia risposte perché c'è un ambiente in grado di ascoltarlo. Da questo punto di vista la classe scolastica è anzi un ambiente pressoché ideale: la comunità garantisce che vengano fatte al testo delle domande sensate, la pluralità dei suoi componenti promuove il libero conflitto delle interpretazioni, il dibattito che valorizza e affina le opinioni di ciascuno. Ecco, in questo senso il confronto col testo può trasformarsi in una vera e propria palestra di democrazia: c'è un soggetto collettivo, c'è un interlocutore testuale e c'è una varietà pressoché infinita di interazioni possibili".

Ma non sarà che a scuola si parla troppo di letteratura e si pratica poco la lettura?

"Certo, a scuola come all'università capita che ragazzi ferratissimi su caratteristiche e contraddizioni del Verismo non conoscano nemmeno la trama dei Malavoglia. E' un errore di vecchia data, ma sono convinto che l'alternativa non sia agli antipodi estremi di quest'atteggiamento, perché insegnare la letteratura è certo insegnare a leggere, ma anche avviare all'interpretazione, al commento, all'opinione sui testi e sulla tradizione in cui si inseriscono".

E la scrittura creativa, non può costituire un modo un po' eccentrico per avviare i ragazzi alla lettura?

"Le scuole di scrittura creativa sono destinate a restare affare di minoranze. Quanto alla scuola pubblica è qualche anno che si vanno affermando modi più complessi di scrittura, tanto che le ultime circolari ministeriali sugli esami di maturità caldeggiano proposte stilisticamente più ardite del classico tema di italiano. Detto questo, una cosa deve essere chiara: compito della scuola è insegnare ai ragazzi ad esprimersi, non sfornare schiere di aspiranti scrittori".

E veniamo alla bestia nera di ogni letterato che si rispetti: non sarà che si legge poco perché si guarda troppo la televisione?

"Certo, il piccolo schermo come altri soggetti e altre abitudini del nostro mondo abitua a livelli di attenzione molto diversi da quelli tipici della buona lettura; ma il problema è decisamente un altro: non parlerei di pericolo della televisione tout court, parlerei della televisione italiana che è la più volgare del mondo, assai più volgare dello stesso modello che si è scelta, ovvero la televisione americana. Ma nemmeno questo credo che basti a spiegare la scarsa propensione alla lettura degli italiani: dove la consuetudine con il libro è una tradizione radicata non c'è volgarità televisiva che tenga e la possa insidiare. Torniamo allora a quello che dicevamo all'inizio: non abbiamo mai avuto una classe borghese colta, non abbiamo mai avuto una nostra età del romanzo. Più che nell'opacità dell'oggi le ragioni delle difficoltà in cui periodicamente ci imbattiamo andrebbero quindi ricercate nel nostro lacunoso pedigree storico".


Ecco due dei passi più significativi del saggio:

"Da questo punto di vista il critico e il professore restano, ancor oggi, degli intellettuali. La figura dell'intellettuale sta scomparendo sostituita da quella dell'intrattenitore. L'intellettuale, come mediatore ideologico dell'intera società, non esiste più. E tuttavia nella scuola, dai maestri ai professori universitari, l'insegnante è ancora un intellettuale che non solo fornisce competenze ma sceglie e indica valori. L'insegnante distribuisce idee, non mitologie diffuse come fa invece l'intrattenitore; e i tempi di apprendimento nella scuola sono ancora legati a dinamiche complesse di tipo ideologico e scientifico e non riducibili all'istantaneità della percezione televisiva. Non solo, insomma, l'insegnante è ancora un intellettuale, ma in fondo la sua massima ambizione - perlopiù, com'è ovvio, destinata alla frustrazione - è quella di trasformare gli studenti stessi in intellettuali. Tutto ciò fa della scuola una sorta di isola o di riserva indiana in un mondo informatizzato; e costituisce probabilmente una delle ragioni per cui la scuola pubblica oggi è particolarmente sotto tiro e anzi in un momento di massimo pericolo". (p.41)

"Data la crescente estraneità dei giovani alla lettura, come rifamiliarizzarli al testo letterario? Anche in questo campo va respinta una falsa alternativa: si sta passando da una fase in cui il testo veniva soffocato da un'enorme quantità di analisi tecnico-formali e ridotto ad una serie di schemi e schemini ispirati al formalismo strutturalista ad un'altra in cui - si dice - bisognerebbe abbandonarlo, vergine, al "piacere della lettura" degli studenti, alla loro spontanea voglia di capirlo. Si dimentica così che - oggi forse ancor più di ieri - il piacere della lettura è una conquista faticosa, non un dato di partenza su cui poter contare. Non si può fingere di ignorare che lo stesso linguaggio letterario è ormai, per la maggior parte degli studenti, quasi incomprensibile e costituisce comunque un ostacolo da superare con pazienza e tenacia". (p.123) inizio pagina


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