"Salvate il soldato Ryan" Paolo Mereghetti Salvate il soldato Ryan
(Saving Private Ryan, Usa 1998, col, 163') di Steven Spielberg. Con Tom
Hanks, Tom Sizemore, Edward Burns, Barry Pepper, Adam Goldberg, Vin Diesel,
Giovanni Ribisi, Jeremy Davies, Matt Damon, Ted Danson, Paul Giamatti, Dennis
Farina.
Un buon film di guerra, ma non un capolavoro. E meno che meno un grande film
pacifista.
A parlare del nuovo film di Spielberg, Salvate il soldato Ryan, per
prima cosa bisognerebbe liberarsi di tutta quell'aura di applausi e ovazioni
che ha preceduto il suo arrivo sugli schermi, capace di convincere giornali e
giornalisti che l'ultimo film di Spielberg, magari perché costato
solo una cinquantina di miliardi (di dollari) doveva per forza essere un
capolavoro. Certo, la capacità di fare spettacolo del regista di
E.T. e Schindler's List è indubbia, così come la
capacità di emozionare, ma altri sono i film davvero riusciti o i
capolavori.
Da un po' di anni a questa parte la carriera di Spielberg sembra aver virato di
rotta: all'esplorazione delle paure con cui dobbiamo fare i conti
quotidianamente, si è sostituito un più deciso intento didattico.
Ieri Spielberg ci aiutava ad aver meno paura del mondo in cui viviamo (magari
dopo averci dimostrato che certe sicurezze erano solo superficiali e fasulle),
oggi si impegna ad aprirci gli occhi su quel passato che la smemoratezza
sociale tende a dimenticare, se non addirittura ad occultare: l'olocausto con
Schindler's List, la schiavitù con Amistad, adesso la
durezza e la drammaticità della guerra con Salvate il soldato
Ryan.
Di fronte a una generazione di spettatori (e forse a una società tutta)
che sembra voler credere solo "a quello che vede", Spielberg
assolve al compito di un vecchio maestro di scuola. Non credete a quello che vi
fanno vedere la televisione o i fumetti, ecco come sono andate veramente le
cose, sembra volerci dire. Eccoli i meriti, e i limiti, del suo ultimo film,
dove uno è legato all'altro in una strettissima catena di causa ed
effetto.
Prodotti soprattutto negli anni immediatamente successivi alla fine della
seconda guerra mondiale, o in periodi ancora dominati dalla guerra fredda e
comunque da un confronto/scontro con l'ex alleato sovietico, i film di guerra
americani che rievocano le battaglie del 40/45 assolvevano soprattutto a
esigenze di tipo spettacolare e propagandistico: siamo i migliori e siamo
imbattibili, e se qualcuno ha perso la vita in combattimento il sacrificio
è stato sempre e comunque compensato dall'obiettivo raggiunto e
dall'esaltazione dell'eroico vincitore.
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