Caffe' Europa
 
Libri

Scuole di scrittura: corpo a corpo tra le righe

Laura Lepri

 

Gli studenti del mio corso di scrittura spalancano gli occhi, incuriositi. Sto mostrando loro alcune pagine di Madame Bovary zeppe di annotazioni, sottolineature, note a margine, chiose, commenti, cancellature, frasi evidenziate sulle quali qualcuno sta lavorando con attenzione e perizia come se fosse in sala operatoria. Come se stesse eseguendo una coronarografia e con una sonda esperisse arterie, vene, ventricoli, rigagnoli di una circolazione che permette a un cuore di pompare. Non sta facendo un'autopsia, perché quel paziente non è morto. Anzi, nonostante abbia quasi un secolo è vivo più che mai e, verosimilmente, lo resterà a lungo.

In realtà è in corso un corpo a corpo con Flaubert, con Emma, con Charles, con la provincia francese, con una Parigi agognata e irraggiungibile, con amanti fantasticati e deludenti, con il velleitarismo, con il passato, il sogno, la solitudine, l'incoscienza, il disincanto, la morte come unica, grottesca soluzione possibile. E con molti altri ingredienti, tematici e formali, che animano quel romanzo. Romanzo immortale, è proprio il caso di dire. Lo specialista diagnostico è Nabokov, siamo negli anni Quaranta, e lo scrittore sta lavorando su quelle pagine per preparare le sue lezioni americane. Ora stiamo guardando la riproduzione anastatica di quegli appunti ricomposti nelle Lezioni di letteratura (Garzanti, 1982), una lettura, questa, della quale davvero non si può fare a meno se si vuole scrivere. Vi si parla di scrittori soprattutto, ma anche di lettori. E chi scrive, per dirla con un ineccepibile luogo comune, è prima di ogni altra cosa, un lettore.


Un lettore a tempo pieno, instancabile, maniacale - "se girate per le strade leggete e annotate i cognomi sui campanelli dei palazzi, possono tornare utili per i personaggi", so che raccomanda Sandro Veronesi quando insegna -, un coatto delle parole, scritte e orali. Qualcuno che vuole risentirle, nonostante il rumore di fondo della comunicazione, il ron-ron che un po' ci anestetizza, e vuole farle risuonare, nuove e vive, soprattutto vive, mettendole al sevizio di una storia da narrare, di un personaggio a cui dar vita autonoma, di una trama da costruire. Quel tipo di lettore "tossicodipendente" di cui parla Peter Bichsel nel suo Il lettore, il narrare (1989), una raccolta di non accademiche lezioni tedesche.

Chi si iscrive a una scuola di scrittura arriva spesso con le idee confuse. Certo, esprime un bisogno di qualificazione intellettuale e creativa, è qualcuno che ha intuito una cosa importante - senza tecnica e allenamento, senza consapevolezza e riscrittura, senza "lavorare" insomma, difficilmente riuscirà a utilizzare la sua voce, la fantasia, l'esperienza, il disagio, lo sguardo -, ma è un'intuizione che è circondata, spesso assediata, da agenti fumogeni e velenosi molto simili a quelli che intossicarono Emma Bovary. Fare lo scrittore potrebbe significare evadere dalla propria quotidianità, raccontare finalmente la propria storia - dopo averla pensata, ahimè, come assolutamente interessante -, avere riconoscimenti e prestigio, e analoghe fumisterie, non ultima quella di risolvere alcuni problemucci economici, una volta vergato il sicuro best-seller.

E' la lettura invece il primo, ineluttabile, momento di consapevolezza a cui una scuola allena. E' la lettura che inizia a far diradare le nebbie. Scrive Nabokov "Il buon lettore è chi ha immaginazione, memoria, un dizionario e un certo senso artistico". E ancora: "io uso il termine lettore in un'accezione molto libera. Strano a dirsi, non è possibile leggere un libro, si può soltanto rileggerlo. Un buon lettore, un grande lettore, un lettore attivo e creativo è un rilettore". Bene, allora chi legge davvero deve ospitare dentro di sé, contemporaneamente, quasi contraddittoriamente si direbbe se la vita non fosse fatta di inspirazione e respirazione, uno spazio della conservazione - la memoria, il dizionario - e uno dell'espulsione, la fantasia, un luogo "passivo" e uno "attivo", Nabokov evoca un altro corpo a corpo, fra quello che si vede e quello che non si vede, fra ciò che la scrittura dice e quello che permette di evocare. O almeno fra quello che dice subito e quello che dice a un secondo, terzo, quarto ascolto. E non c'è forse sempre "dell'altro" proprio in una scrittura creativa, non è questo che fa la differenzia da una comunicazione di grado zero, quella che si utilizza nella quotidianità per chiedere "ancora un cucchiaino di zucchero, per favore"? Certo, quel cucchiaino potrebbe dire dell'altro, richiedere, insieme a due occhi seducenti, ben altre dolcezze.

Pagina 1,2, 3
 


homeindice sezionearchivio
Copyright Caffe' Europa 1998

Home |Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo