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Reset/Cent'anni di mutamenti

Claude Habib

 

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Questo articolo fa parte del dossier sulla coppia che appare sul numero 58 di Reset, attualmente in edicola e in libreria

Claude Habid è nata nel 1956. E’ stata allieva de l’E.N.S. de Fontenay-aux-Roses, libera docente di Lettere moderne insegna presso l’Université di Lille III, fa parte inoltre del comitato di redazione d’Esprit e de Le Monde des débats.

Ha pubblicato un romanzo : " Préfére l’impair Viviane Hamy 1996 e due saggi: Pensées sur la prostitution ( "Littérature et politique", Belin, 1994 ) e Le consentement amoureux ( Hachette Littératures, 1998 ). Ha diretto La Pudeur ( Autrement, serie "Morales", 1992 ), La Démocratie à l’oeuvre. Autor de Claude Lefort ( con C. Mouchard, Editions Espirit, 1993 ).

Ha curato la pubblicazione di Penser l’évenement ( raccolta d’articoli di Hannah Arendt, "Literature et politique", Belin, 1989 ) e Discours sur l’origine de l’inégalité di Jean-Jacques Rosseau ( Agora, Presses Pocket, 1990 ).

La maggior parte degli scrittori che hanno riflettuto sull'amore si sono trovati a fare i conti con un duplice aspetto dell'impegno amoroso: la sua facilità e la sua imperfezione. Coloro che amano tendono ad impegnarsi, lo fanno spontaneamente, ma questo impegno è fragile. Ed è quello che afferma Bussy-Rabutin:

Benché sia quasi impossibile

Essere sempre molto innamorati di uno stesso oggetto,

È purtuttavia necessario per essere felici,

Quando la nostra sensibilità si acuisce,

E' necessario, ed è di grande aiuto,

Credere che ameremo per sempre.

Per provare la felicità di amare, è necessario condividere questa fede nella durata del sentimento. L'alto rischio di fallimento che Bussy-Rabutin pone come punto di partenza non ci impedisce di credere di poter essere un'eccezione. Abbiamo bisogno di questo pensiero per essere felici. Non possiamo sapere quale sia la felicità di amare se non crediamo in questa cosa, poco credibile, molto poco verosimile, e tuttavia necessaria.

Nel mio studio sui rapporti amorosi teorizzati o figurati da Rousseau, ero rimasta colpita dal fatto che avesse tralasciato la promessa d'amore: il fatto cioè che gli amanti decidessero autonomamente di non impegnarsi in modo reciproco. In particolare, in La Nouvelle Aloïse, la protagonista non chiede al suo amante ciò che ogni donna chiede in situazioni simili, non gli fa promettere di amarla per sempre. Essa chiede solo ciò che ogni uomo desidera forse sentirsi dire in queste circostanze: il giuramento di essere sempre sincero, di non commettere atto di fellonia, e di dichiarare almeno guerra prima di liberarsi dal vincolo. La fedeltà che esige l'amante è solo la fedeltà alla verità sentimentale. Non la fedeltà del cuore, bensì la fedeltà al cuore.

Non dobbiamo dare eccessivo valore a questo episodio; il giuramento richiesto da Julie non è il patto di Simone de Beauvoir e di Jean-Paul Sartre: l'eventuale alterazione dei sentimenti che Saint-Preux promette di rivelare non appena dovesse provarli provocherebbe indubbiamente la fine del loro amore. Non si tratta di dire tutto e di sopportare tutto. Si tratta solo di dire tutto.

Questo giuramento inventato da Julie, non è un patto che unisce i due amanti, ma un patto che li scioglie, dato che vincola ognuno di loro solo alla verità del cuore.

Secondo Rousseau, è auspicabile che gli amanti si impegnino reciprocamente con il contratto, "più sacro di tutti", vale a dire il contratto matrimoniale. È evidente che in una società ben ordinata è l'amore e solo l'amore che dovrebbe portare al matrimonio, ma è altrettanto chiaro che non è l'amore che inventa i termini del matrimonio. L'amore deve portare al matrimonio, ma di per se stesso non ha i mezzi per inventare i termini del contratto coniugale. Non è spontaneamente legittimo: non ha forza di legge e in primo luogo per coloro che provano questo sentimento (ed è questo che afferma il giuramento di Julie: l'amore non obbliga a niente).

Se l'amore non ha forza di legge, Rousseau sembra fare di nuovo ricorso al buon senso popolare. Diventato proverbio, il buon senso afferma: "In guerra e in amore tutti i mezzi sono buoni". Questo proverbio ricorda che l'amore è come la guerra: una condizione straordinaria che sospende le leggi ordinarie dei rapporti umani. L'amore non ha mai conosciuto leggi, come si usa dire. Tuttavia, la simmetria tra l'amore e la guerra è imperfetta, dato che nel primo caso si deve mettere in conto una forma di restrizione: tutti i mezzi sono buoni, purché si tratti di amore. In altri termini, si evidenzia che nell'amore vi è un principio di eccellenza che, pur non rendendolo del tutto legittimo, ci mette tuttavia in condizione di non poterci impedire di desiderarlo. Era questo il significato della reazione di Montesquieu alla lettura di Manon Lescaut:

"Questo 6 aprile 1734 ho letto Manon Lescaut, romanzo scritto da P. Prévost. Non sono sorpreso che piaccia questo romanzo, che ha per eroe un furfante, per protagonista una prostituta che viene ricoverata alla Salpêtrière: piace perché tutte le cattive azioni dell'eroe, il cavaliere dei Grieux, hanno come motivazione l'amore, che è sempre una nobile motivazione, benché la condotta sia di basso profilo. Anche Manon ama: e grazie a questo le si perdona il resto del suo carattere".

L'amore conferisce nobiltà a coloro che lo provano e li avvicina all'impegno. E lì rimangono. Vi è qualcosa di deludente nell'esperienza amorosa, un'esperienza che promette più di quanto non mantenga. Il legame tra amore e impegno non è indubbiamente fortuito, ma è estremamente tenue, pronto a rompersi per un nonnulla (un sospetto, un dispetto, l'attrazione per la novità…). Anche gli autori libertini gettano sistematicamente discredito sull'impegno ad essere fedeli. Dato che viene regolarmente smentito, come suggerisce Diderot, si spiega con la grande leggerezza, per non dire l'infantilismo degli amanti: "Dentro e intorno ad essi tutto passava, eppure credevano che i loro cuori fossero affrancati dalle vicissitudini. Bambini, sempre bambini". Questo riferimento alla leggerezza giovanile appariva già in Bussy-Rabutin::

 

È purtuttavia necessario per essere felici,

Quando la nostra sensibilità si acuisce…

I libertini invitano a superare questa credulità amorosa (si tratta di illusioni della gioventù, bisogna abbandonarle per godere dei piaceri dell'amore). Rimane comunque da capire se questa credulità non sia forse insita nell'amore stesso (Eros viene sempre rappresentato con l'immagine di un bambino. Spesso questa allegoria viene commentata con il concetto di irresponsabilità - l'amore colpisce chiunque con le sue frecce che lancia in tutte le direzioni; propongo di leggerla in un altro senso: l'amore viene dipinto come un bambino perché è fiducioso e credulo).

Se l'amore non ha forza di legge, la legge del rapporto tra i sessi è quella che le varie società scelgono di considerare valida. Per le nostre società cristiane questa legge si fonda sul giuramento che Julie non poteva esigere o si tratteneva dall'esigere dal suo amante, il giuramento di reciproca fedeltà.

Giuramento che è oggetto di discussione fin dalla notte dei tempi. La protesta femminile contro il "doppio standard" morale non è un'invenzione del femminismo moderno. La si ritrova senza difficoltà nei testi antichi. Anche se l'impegno coniugale è reciproco, il gioco è comunque non uguale, dato che l'amore disonora le donne che vi si lasciano andare, mentre inorgoglisce gli uomini che vi si dedicano. Vi sono due pesi e due misure. Con molta galanteria gli uomini fanno coro alla protesta femminile. Prima di Marivaux, che se ne farà portavoce (con ironica eloquenza), troviamo una nota scritta da Dufresny:

"Sembra (…) che appena avete acquisito una donna per contratto debba esserle sufficiente di appartenervi completamente, senza che ella osi volere che voi le apparteniate completamente: quanto tiranni sono gli uomini per aver in questo modo usurpato il diritto di essere impunemente infedeli!"

Esiste in senso stretto un "diritto" maschile ad essere infedele? E' una domanda che ci possiamo porre. Ma le cose stanno proprio così, e fanno riferimento all'impunità maschile. Come lo sottolinea lo stesso autore: "Come può una donna vendicarsi di un uomo che avesse divulgato il suo essere una donnina allegra? Può forse andare affermando che anche lui è un "omino allegro"?

 

Il matrimonio non ugualitario

Questa disuguaglianza di fatto è stata studiata da una sociologa moderna che ha definito in modo differenziato gli obblighi degli uomini e delle donne nel matrimonio. Secondo Nathalie Heinrich, il contratto di esclusività "si materializzerà nel matrimonio in due modi: per l'uomo con l'obbligo del mantenimento e per la donna con l'obbligo di fedeltà". Questa descrizione vale per il matrimonio tradizionale, non vale più nelle condizioni moderne, perché non consente di prendere in considerazione la nuova condizione, che è quella della "donna non legata", che, secondo l'autrice, "corrisponde precisamente al mancato nesso tra sussistenza economica e disponibilità sessuale". In questo mancato nesso essa non esita ad individuare un "cambiamento di paradigma nelle rappresentazioni dell'identità femminile".

Rispetto alla fedeltà reciproca che si giurano gli sposi, la descrizione che ne fornisce Nathalie Heinrich è demistificante. Se i termini della promessa sono apparentemente gli stessi, la realtà dell'impegno è un'altra: esclusività sessuale contro mantenimento materiale. Questo sarebbe il vero termine dello scambio. In un'ottica femminista radicale, questa definizione demistificante viene sospettata di essere a sua volta mistificante. In effetti, così come il tiranno è forte solo delle forze dei suoi sudditi, per le femministe, se il capo famiglia garantisce il mantenimento della sua famiglia è perché la sua famiglia lo mette in condizione di garantire questo mantenimento. In altri termini, è il lavoro estorto ai domestici in generale, e alla donna in particolare, che consente all'uomo di garantire il loro relativo benessere. Il matrimonio è quindi un cattivo contratto, dato che la donna paga due volte: paga con la sua fedeltà sessuale il benessere materiale che l'uomo le restituisce, ma che in realtà è lei, con il suo lavoro, a garantire.

Non intendo controbattere a questa analisi radicale, che non è priva di pertinenza in alcune società primitive dove, di fatto, le donne svolgono la parte essenziale dei lavori dei campi, mentre gli uomini passano il loro tempo tra distrazioni e attività guerresche. Non mi sembra invece attagliarsi direttamente alle società in cui viviamo. Mi attesto quindi su una posizione intermedia. Mantenimento contro fedeltà femminile, un contratto di questo genere mi pare aver ispirato le rappresentazioni del legame coniugale fino alle sue recenti trasformazioni, che traducono le esigenze contemporanee di completa uguaglianza nella coppia. Il contratto precedente partiva dalla disuguaglianza e scommetteva su di essa. Si tratta di un contratto - e le donne lo dicono continuamente - che va a vantaggio degli uomini. Vorrei ritornare su questo punto. In primo luogo, va a vantaggio dell'uomo solo nella misura in cui sia possibile dissociare l'uomo dal tutto formato da questo matrimonio. Per suffragare questa mia affermazione, vorrei completare l'annotazione di Dufresny sul doppio standard. Dopo aver messo in evidenza una "tirannia" degli uomini, egli aggiunge:

"Non hanno vinto tanto quanto pensano, dico al mio viaggiatore, i mariti non assumono forse su di loro la maggior parte della vergogna che hanno attribuito all'infedeltà delle loro mogli? E per tornare alla maldicenza, è possibile parlare male di una donna senza fare torto anche a suo marito?"

L'antico accordo non si spiega quindi con il concetto di ingiustizia, bensì con quello della inestricabile solidarietà degli uomini e delle donne che esso si proponeva di garantire. Questa solidarietà si costruisce con continui scambi, durante tutto il corso della vita. Il marito mantiene la moglie ma quest'ultima mantiene i figli: è lei che provvede direttamente ai loro bisogni (anche se il potere tutelare del marito gliene fornisce i mezzi). L'uomo che mantiene una donna, sua moglie, è sempre stato mantenuto, prima, da una donna: sua madre.

Una femminista farebbe certamente notare che se il sistema è equilibrato per l'uomo, che mantiene dopo essere stato mantenuto, non lo è per la donna che viene mantenuta dalla propria madre, poi da suo marito, e passa da una dipendenza all'altra, senza fare mai l'esperienza della libera attività (essa è certamente attiva nei confronti dei suoi bambini che mantiene, ma si tratta di un potere sotto tutela. È un potere dal punto di vista del bambino - che vi è sottoposto - ma non dal punto di vista della madre che, nell'organizzazione tradizionale, si mette alla prova come staffetta del potere paterno e non come potere personale totale). Nella famiglia tradizionale vi è quindi una diversità di punti di vista: il bambino crede che sua madre sia onnipotente e la donna, dato che è sposata, sa di non esserlo. Quando affermiamo che la situazione non è ugualitaria significa che non stiamo attribuendo alcun peso al punto di vista del bambino, e che ci attestiamo sul punto di vista degli adulti (ricordo che la situazione di non uguaglianza non è assolutamente risolta: se è vero che la donna è sempre dominata, l'uomo domina sua moglie dopo essere stato dominato da sua madre).

Esaminiamo il secondo criterio, quello dell'esclusività. L'uomo, quindi, non deve alla donna una fedeltà tanto rigorosa quanto quella che lei deve invece a lui. Gli autori classici fanno risalire esplicitamente la questione dell'esclusività sessuale a quella della filiazione: si tratta di garantire che i bambini siano effettivamente figli del padre. Il matrimonio serve a garantire la sicurezza della filiazione paterna. L'argomento è certamente meno forte oggi, dato che i test genetici sono in grado di fornire questa garanzia (o di confermare questo dubbio). Mi sembra tuttavia che questa asimmetria possa comunque essere argomentata in funzione della procreazione.

Ogni uomo prova necessariamente per la propria madre dei sentimenti esclusivi, questo stato d'animo è inevitabile e le madri fanno bene a sottolinearlo: esiste una sola mamma. Questa esclusività tuttavia non è reciproca: le donne sono per natura madri di più figli (la sospettosità gelosa dei figli unici nei confronti della loro madre sta ad indicare che è per lo meno molto difficile sfuggire alla natura, ed è ingenuo ritenere che ci si possa semplicemente sottrarre alla natura in considerazione di uno stato di fatto).

Ad una certa età, la madre è tutto per il proprio figlio: se gli lascia credere che egli è tutto per lei, essa mente. Questa inevitabile infedeltà dell'amante che si trasforma in madre, e poi della madre che si trasforma in madre di un altro, e poi di un altro… non può essere imputata all'individuo. Essere donna significa scoprirsi portatore di un sesso che non è traditore - non mi spingerei fino a questo punto - ma che non è integro nel senso in cui lo è il sesso maschile: questo sesso non è solo uno strumento di godimento, è palesemente anche uno strumento di metamorfosi (per la donna da individuo a madre, per gli amanti da coppia in famiglia, per il bambino dal niente all'essere).

Anche in questo caso traspare l'obiezione femminista: certo, l'uomo ha conosciuto nella sua infanzia un rapporto esclusivo non reciproco con una donna. Possiamo capire che esso richieda a sua volta dalla propria moglie un rapporto esclusivo non reciproco. Ma la donna? Non subisce forse nell'infanzia, lo stesso svantaggio del bambino, quello di amare la propria madre di un amore esclusivo e non reciproco? Deve forse in seguito legarsi con un legame esclusivo ad un marito che non la ripaga con la stessa moneta? È vero che la sorte femminile sembra più ingiusta. Vorrei mettere in evidenza che questa apparenza di ingiustizia è il corollario di una disuguaglianza della natura nell'esperienza della sessualità. E che questa disuguaglianza della natura non va a vantaggio dell'uomo.

Per far capire questo mio pensiero, vorrei commentare alcuni versi patriottici. Sono dei versi nei quali Musset risponde in modo sferzante ad un poeta tedesco che aveva ricusato, in una canzone, le pretese della Francia nei confronti della sponda sinistra del Reno. La canzone di Becker affermava che i francesi non avrebbero mai avuto il Reno tedesco. La poesia di Musset insiste sul fatto che in passato il

Reno era già stato conquistato.

Musset scrive:

L'abbiamo avuto il vostro Reno tedesco

Il suo seno porta la piaga aperta

Del giorno in cui Condé, trionfante

Ha strappato la sua veste verde.

Dove è passato il padre, passerà anche il figlio.

È nell'ultimo verso che si condensa la difficoltà. Vi è una prima immagine, assai palese, che è quella della breccia. Laddove è passato un adulto, uno più piccolo deve potersi aprire facilmente un varco. Questa immagine non soddisfa dal punto di vista del significato, dato che nel mondo militare le piccole dimensioni del bambino costituirebbero un difetto e non un vantaggio. È per questo che credo che si debba intendere il verso diversamente, vale a dire che deve essere considerato per la violenza che contiene. Condé ha fatto del male quando è passato, ha strappato la veste, ha lasciato una piaga sul seno - ricordiamoci che nel linguaggio classico il seno significa ventre. Laddove il sesso del padre è passato, bisognerà pure che passi anche il bambino concepito da questo stupro. Questa nascita è un secondo passaggio del Reno. In questo secondo tragitto il bambino non è più piccolo, è più grosso del padre (contrariamente a quanto lasciava credere l'immagine più superficiale). Il verso significa: passando faremo molto male.

Questa seconda lettura sostituisce all'immagine del padre e del figlio l'immagine della madre e del figlio: l'immagine del parto. Tuttavia, benché essa trasmetta bene la carica di violenza di questo verso, continua a non essere del tutto soddisfacente dal punto di vista del significato in senso letterale relativamente all'orientamento nello spazio: Musset minaccia Becker di un passaggio della Francia verso la Germania, quindi dalla sponda sinistra verso la sponda destra del Reno. Se mi attengo all'immagine del parto che fa seguito allo stupro stiamo andando controsenso. Condé, il padre andava dal fuori verso il dentro, il bambino sarà espulso dall'interno dell'utero verso l'esterno: dalla Germania verso la Francia. Per mantenere il senso della violenza del verso - quel "farà molto male" che a parere mio vi è contenuta - propongo quindi di intendere che dietro l'immagine del parto si dissimula l'immagine ben più violenta dell'incesto. Proponendo di riprendere il Reno, Musset, molto gioiosamente, incita a violentare di nuovo la madre. Andiamo, come Condé ha già fatto.

Perché mi sono soffermata su questo verso assai curioso? Perché esso concentra in sé l'enigma dell'aggressività sessuale maschile - quella del desiderio di stupro. Questo desiderio distingue decisamente le due sessualità, dato che le donne non possono stuprare né desiderare di farlo.

Se la possibilità dello stupro connota la sessualità maschile - non intendo dire che la sessualità maschile si riduca a questo o che si condensi in questo - ma se il desiderio di stupro è possibile, ciò dipende dal fatto che il sesso femminile è contemporaneamente il luogo di attrazione e il luogo di provenienza. Il desiderio femminile, foss'anche sovreccitato, non conosce questa confusione. Non vi è esposto. Per una donna (supponendo che il suo desiderio sia chiaro, cosa che non credo), l'oggetto desiderato non è il luogo di provenienza. L'oggetto desiderato è quello che è ed è solo quello che è. È integro. Il desiderio femminile non può regredire fino a quel punto di disorientamento che segnala - in modo confuso - il verso di Musset. Questo punto in cui il desiderio, nel suo momento di massima violenza, fa coincidere le immagini dello stupro, della nascita e dell'incesto. La situazione è resa esplosiva dal fatto che il sesso della donna non è attraversato solo dal sesso dell'uomo, ma anche dal corpo del bambino. L'organo femminile è una via di passaggio. È il luogo di incrocio del maschile e del femminile, senza dubbio, ma anche delle due generazioni: il bambino passa necessariamente laddove il padre è passato. Con la fecondazione qualcosa si disintegra o minaccia di disintegrarsi. Il sesso della donna può essere desiderabile, non è integro.

La stabilità nel tempo dell'antica modalità matrimoniale - quella che riassume la formula di Nathalie Heinrich, mantenimento contro fedeltà - può essere spiegata diversamente che non con la sottomissione delle donne e l'ingiustizia degli uomini. La forza del patto tradizionale consisteva nella sua capacità di integrare le diverse età della vita (e in particolare di includere il punto di vista del bambino nei confronti della madre). La supremazia dell'elemento maschile, garantita dal matrimonio tradizionale, è il contrappunto del potere materno, sempre in grado di risorgere, dato che sta nell'ordine della natura. Non intendo affermare che sia necessario ferire e tradire i sentimenti amorosi di una donna, con il pretesto che un giorno o l'altro essa deluderà l'attesa di uno o l'altro dei suoi figli. Dico solamente che il rifiuto di un impegno strettamente simmetrico tra i sessi non può essere spiegato se non si tiene in considerazione questa asimmetria sessuale. Essa contrappone il sesso maschile che, essendo quello che è, è solo quello che è, e il sesso femminile che si dischiude a ben altre cose che a se stesso.

Il nuovo ordine in cui siamo entrati, quello della rivendicazione ugualitaristica dovrà, a mio avviso, fare i conti con le disuguaglianze relative alla natura. Il momento in cui la donna diventa madre costituisce lo scoglio dell'ugualitarismo contemporaneo. È il momento in cui il duetto ugualitario dell'amante uomo e dell'amante donna si trasforma in altra cosa: un trio di cui la donna è il centro. Un trio in cui, per essere la più amata, rischia di apparire quella che ama meno. Questo squilibrio è inevitabile. La maggior parte degli uomini constatano che la donna che hanno reso madre cessa di interessarsi a loro per dedicarsi al neonato (da qui a ritenere che la donna in precedenza si interessasse al loro amore solo per ottenere il bambino, il passo è breve. Dall'incertezza paterna al risentimento maschile, il passo è facile). La nascita pone bruscamente la donna al centro di un trio, e questa posizione preminente è molto pericolosa. In un modo o nell'altro bisogna che essa metta in chiaro che in lei non esisteva alcun desiderio abusivo, che non ha voluto dominare un uomo rendendo perenne una situazione che lo limitasse o lo sminuisse.

Ed è così che possiamo concepire, a posteriori, le concessioni che le donne dei tempi passati facevano a proposito dell'infedeltà: l'infedeltà maschile non le rendeva davvero felici. Il tacito consenso all'asimmetria si spiega come un rifiuto anticipato di qualsiasi forma di preminenza nella famiglia: questo modo di sminuirsi assume il suo significato nel calcolo della durata. Accettare questa disuguaglianza significa diventare quanto più leggera possibile prima di occupare la pesante posizione di madre. Accettare l'eventuale infedeltà maschile come un dato di natura significa voler dire: accetto di appartenerti più di quanto tu non appartenga a me. Le donne moderne affermano che questo antico sistema è ingiusto e falso, e che qualsiasi individuo, uomo o donna che sia, appartiene solo e soltanto a se stesso: questo individualismo costituisce una posizione forte. Da un certo punto di vista esso è incontestabile.

Tuttavia non dobbiamo equivocare sui motivi dell'antico ordine - anche perché questi motivi hanno ancora un loro terreno d'azione. So di essere meno libera di te: chi fa un'ammissione di questo genere non significa che disprezza se stessa. Con questa affermazione non si rinuncia servilmente al governo di se stessi, ma si esprime il desiderio di dare vita ad una famiglia e, a questo fine, di porsi come la base stabile, non contestataria, di questa futura famiglia. "Puoi impormi un regime di vita che io non posso importi" significa: non temere che io voglia contare più di te, non temere che io alieni la tua esistenza a favore della mia espansione, che io attragga i benefici di tutti i tuoi sforzi e che confischi il frutto del tuo lavoro ai fini della mia personale proliferazione.

Secondo natura, la donna è più madre di quanto l'uomo non sia padre, come dice la formula di Evelyne Sullerot. Con la flessione della sottomissione volontaria, essa può ancora oggi, cercare di rendere il padre più padre di quanto non lo sia per natura - più padre di quanto non possa esserlo semplicemente in quanto sa di esserlo, questa informazione che i test genetici potranno presto dargli con una impareggiabile certezza. Nel promettere una perfetta fedeltà, oggi come in passato, la donna afferma: i miei figli saranno i tuoi figli, per quanto sia in mio potere darti dei figli.

Dedicare se stessi senza contropartita significa dire che si sta ricercando il benessere dell'altro e che lo si fa prevalere sul proprio benessere. L'unico rimprovero che possiamo fare ad un atteggiamento così generoso e al contempo così accorto consiste nel fatto che non offre alcuna sponda ad una possibile sventura: una donna che sembra accettare in anticipo l'infedeltà maschile si priva della possibilità di protestare quando questa infedeltà diventa realtà.

In questo esposto ho cercato di mettere in evidenza la ricchezza, la stabilità e la dignità dello scambio non ugualitario, ho tentato di esaltarne la possibilità di essere compreso - il modo in cui esso rende decifrabili le rispettive posizioni nello spazio familiare. Numerose sono le ragioni che depongono a favore dell'ordine antico. In termini di paragone, il nuovo sistema nel quale stiamo entrando sembra povero e sospettoso. Nelle nuove rappresentazioni viene messo in primo piano il concetto di uguaglianza. Si parte dal presupposto che gli uomini e le donne siano degli individui che prendono reciprocamente lo stesso impegno e che ciascuno, separatamente, si impegni verso i figli prodotti dall'unione. In una visione di questo genere l'asimmetria delle posizioni non viene più presa in considerazione.

Ognuno si impegna nella stessa cosa, indipendentemente dal proprio sesso: fedeltà, aiuto e assistenza tra gli sposi. Esercizio dell'autorità parentale sui figli. La differenza tra i sessi scompare dai termini del contratto. Non essendo presa in considerazione con una asimmetria dei doveri o dei diritti, possiamo dire che la differenza tra i sessi non viene più presa in considerazione dalla legge. La legge, che assegna una forma all'unione, non si pronuncia più sulla differenza tra i sessi. Conseguentemente ognuno è invitato a pensarci da solo: non vi è più alcuna simbolizzazione comune, ma questo non significa che la simbolizzazione sia scomparsa.

Stiamo semplicemente affermando che la differenza tra i sessi non è più di pertinenza del gruppo sociale. E questa indeterminatezza è certamente ciò che costituisce il prezzo dell'esperienza moderna per numerosi individui. Essa mette ognuno di fronte ad un compito che Marcel Gauchet riassume con una formula: "Dovete raggiungere interiormente quello che vi è dato essere esteriormente". Il nuovo dovere dell'individuo contemporaneo è l'appropriazione di quanto è dato. Si diventa se stessi con "l'appropriazione delle caratterizzazioni collettive che abbiamo ricevuto". Questo dovere di affermarsi per quello che si è può essere vissuto in modi molto diversi, che vanno dallo sgomento al giubilo, ma il compito è sempre lo stesso: non superare quanto è dato singolarmente, bensì raggiungerlo. Non superare o andare al di là della propria natura, bensì renderla compiuta.

Appartenenze e anche inerenze diventano costitutive dell'identità personale nella misura in cui si soggettivizzano. Il vero io è quello che emerge dall'appropriazione soggettiva di una oggettività sociale.

Nell'esempio di cui ci stiamo occupando, uomini e donne incontrano nello stesso tempo una duplice difficoltà: da un lato la difficoltà di impegnarsi reciprocamente in modo duraturo; dall'altro, il compito moderno per eccellenza, e cioè appartenere al proprio sesso e appartenervi in quanto tali, senza l'aiuto di un punto di riferimento simbolico garantito dalla collettività.

È ormai usuale che ci si domandi come le donne del passato abbiano potuto sopportare la disuguaglianza di trattamento. Mi sembra che si possa rovesciare la domanda e sia possibile chiederci come le donne moderne possano sopportare l'uguaglianza. La differenziazione che la tradizione prendeva in considerazione, e che dobbiamo ormai negoziare individualmente, non fa tanto riferimento alla morale sessuale su cui ho a lungo insistito qui. La differenziazione centrale riguarda il posto assegnato alla legge. E' concepibile che le donne diano legge agli uomini o è meglio che esse la ricevano da loro? È cosa buona che le donne facciano legge?

Oppure è meglio che esse si pieghino alle decisioni degli uomini, accettando di vivere sotto le loro leggi? L'argomento in discussione non è l'intelligenza delle donne, né la loro capacità, né l'interesse della loro collaborazione all'impresa legislativa. Stiamo parlando del desiderio di predominio, e non in generale, ma del desiderio di predominio al femminile: quando una donna aspira a prevalere sugli uomini tanto quanto potrebbe fare un uomo, che cosa rimane della femminilità? È questo a mio avviso il limite naturale del progetto di uguaglianza. Questo limite mi sembra innegabile oggi esattamente quanto lo era in passato, ma non è più discernibile in termini legali: quando una donna si sposa non chiede protezione e non promette sottomissione. La flessione femminile è diventata a tutti gli effetti un affare puramente privato.

Quando analizziamo gli effetti inevitabili e reali della differenza tra i sessi diciamo a noi stessi che solo l'amore può produrre il miracolo di uno scambio ugualitario. Come è possibile garantire un impegno negli stessi termini e per la stessa cosa? Si tratta di dare credito ad una finzione e di farlo in modo stabile. Contiamo collettivamente sull'amore individuale per riuscire in questa impresa. Possiamo temere che questa fiducia sia mal riposta e che il matrimonio d'amore, di cui Rousseau si era fatto paladino, si ritorca oggi contro le sue stesse fondamenta, a causa delle aspettative sproporzionate che ha attivato in ognuno di noi. È chiaro che ci aspettiamo dall'amore quello che va oltre il suo campo d'azione (non l'impulso ad unirci, bensì la tenuta dell'unione). Sta di fatto che in mancanza di un'altra guida, siamo costretti ad affidarci ad esso.

 

(Traduzione di Silvana Mazzoni)

 

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