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Reset/Un copione già scritto

Simona Argentieri

 

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Questo articolo fa parte del dossier sulla coppia che appare sul numero 58 di Reset, attualmente in edicola e in libreria

Simona Argentieri è medico psicoanalista, membro ordinario e didatta dell’Associazione Italiana di Psicoanalisi e dell’International Psycho-Analytical Association

La peculiarità e la forza del punto di vista psicoanalitico, rispetto a quello di altre discipline che, a buon diritto, si occupano anch’esse della coppia e della sua cosiddetta crisi, sono costituite dall’esperienza clinica e dall’attenzione ai processi inconsci. Certo è un vantaggio scomodo e ambiguo, poiché aumenta la complessità dell’indagine e limita la possibilità di tracciare spiegazioni lineari di causa-effetto o interpretazioni predittive univoche.

Occorre infatti tener conto non solo delle dinamiche interpersonali – consce ed inconsce - tra i protagonisti, ma anche di quelle intrapsichiche di ciascuno dei due; di quei "copioni" relazionali già scritti che ci portiamo dentro e che tendiamo continuamente a rimettere in scena, tanto più coattivamente quanto più (e questo è il guaio) sono fonte di sofferenza.

L’indagine psicoanalitica, dunque, necessariamente ribalta di continuo il senso: ad esempio, riconoscendo nel comportamento amoroso instabile e fuggitivo di un uomo, una sua inconscia, nevrotica, vischiosa ‘fedeltà’ ad un oggetto d’amore interno vagheggiato e vanamente rincorso nel reale ; come quel bizzarro miliardario che sposò cinque donne di nome Louise e poi chiamò Louisiana l’incantevole museo nel bosco eretto alle soglie di Copenhagen, in onore del suo sogno.

La nostra personalità si organizza e si struttura nel corso del tempo in un intricato processo di introiezioni e di identificazioni, secondo codici relazionali che dipendono certo dai modelli che ci ha proposto la vita (l’esempio più ovvio è quello della coppia dei genitori); ma soprattutto derivano dalle distorsioni difensive e nevrotiche che ciascuno ha costruito, a partire dalle esperienze reali. Può accadere così che una donna, segnata da penosi vissuti infantili di abbandono, cerchi – a livello di coscienza- un compagno che le offra finalmente il rifugio della stabilità e della fedeltà; ma poi – secondo meccanismi inconsci – trascorra la vita a tentare di smascherare in lui la tendenza segreta a tradire, a deludere, per avere così la masochistica conferma della fondatezza delle sue paure ed il misero vantaggio secondario di poterlo colpevolizzare. Per contro, un uomo quotidianamente pressato da tale sotterranea accusa, può interagire secondo il suo proprio copione interno, che gli fa’ vedere nella compagna una riedizione di una madre soffocante e castratrice, trovando così a sua volta conferma delle paure più arcaiche.

Gli esempi si possono moltiplicare e sono alla portata di tutti.

Come hanno efficacemente illustrato Diana Norsa e Cesare Zavattini nel loro recente volume "Intimità e collusione. Teoria e tecnica della psicoterapia psicoanalitica di coppia", il disagio psichico si esprime precipuamente attraverso disturbi delle condotte relazionali; e per contro il rapporto di coppia è il più potente organizzatore ( o disorganizzatore) degli affetti nella vita degli individui.

Gran parte di coloro che si rivolgono ad uno psicoanalista o ad uno psicoterapeuta lo fanno per problemi di coppia. Anche nelle situazioni cliniche individuali, seppure la richiesta della cura nasce da altre motivazioni, una larga quota di sofferenza riguarda tali difficoltà; e comunque – come ognuno può facilmente constatare – nella psicopatologia spicciola della vita quotidiana la conflittualità col partner determina un altissimo tasso di aggressività.

Tali incastri nevrotici spiegano perché una infinità di coppie – pur nella perenne tensione ed infelicità – continuino a restare insieme, o –quel che è peggio- ad abbandonarsi e ricongiungersi, incapaci sia di convivere che di lasciarsi davvero. Rinunciare all’altro significherebbe infatti dover fare i conti con quella parte di sé – scissa, temuta, ripudiata…- che era stata proiettata nel partner: ad esempio, una parte dipendente, fragile, oppure sessualmente inibita.

Come diceva con fulminante aforisma uno dei miei maestri, Piero Bellanova, le coppie più stabili sono le coppie perverse: "Ti voglio, ma ti voglio diverso da come sei. Voglio cambiare te, ma non me stesso".

Restare aggrappati, senza alcuna reale necessità oggettiva, ad unioni frustranti ed ‘antilibidiche’ serve a non affrontare la più dolorosa e lacerante delle esperienze psichiche: la separazione.

Un paradosso svelato dall’indagine psicoanalitica è che comportamenti opposti possono derivare dagli stessi problemi: ad esempio, i legami impossibili da spezzare possono discendere da quella stessa ‘inabilità al rapporto’ che determina. il passare continuamente da un partner all’altro, in sequenze di ‘oggetti’ equivalenti, che procedono per semplice sostituzione.

In tema di coppia, è particolarmente vero che il turbinìo e l’instabilità che contraddistinguono tanti aspetti individuali e collettivi della nostra epoca, sono l’espressione di un ‘falso movimento’, di un dinamismo solo apparente, che si oppone agli autentici processi evolutivi del cambiamento.

Ci scegliamo l’un l’altro, ci innamoriamo, secondo motivazioni incontrollabili e misteriose, ma tutt’altro che ‘cieche’, alla ricerca di una immagine idealizzata già inscritta dentro di noi. Come dicono i poeti, trovare un oggetto d’amore è sempre un ‘ritrovare’ un oggetto interiorizzato perduto, un complemento narcisistico di sé. Non smetto di stupirmi nel constatare come ciascuno, nella scelta del partner, riesca a cogliere a livello inconscio, fin dai primissimi incontri, le caratteristiche dell’altro che si adattano al suo gioco interiore. L’alchimìa più o meno fortunata di collusioni e alleanze, di bisogni sani e di istanze nevrotiche, la contrattazione delle aspettative e delle delusioni reciproche, determina il destino della coppia e poi delle funzioni legate alla genitorialità.

E' per tutti questi motivi che –come psicoanalista- sono restìa a leggere in chiave fenomenica le vicissitudini delle coppie di oggi , riconducendo tutto a mutazioni epocali sociologiche o ideologiche; ad esempio, addebitando la problematicità attuale esclusivamente alla rivoluzione femminista. Come scrive Habib, è certamente vero che oggi viviamo un ‘disequilibrio’ tra uomo e donna; che le battaglie femminili hanno scosso alla radice i moduli relazionali del passato. Non dobbiamo però dimenticare che ciò che è stato scardinato era solo un ‘perfetto squilibrio’, basato sulla scissione ( ancora una volta, sia interpersonale che intrapsichica,) che contrapponeva identità mutilate e parziali di ambedue i sessi: maschio, fallico, aggressivo, senza affetti…/ femmina, passiva, irrazionale, senza istinti… Per fare un logoro esempio, gli uomini delle generazioni trascorse usavano dirigere le quote tenere, affettive sulla consorte e quelle sessuali sull’amante. Le due donne, più o meno consenzienti, erano la personificazione esteriore dell’incapacità interiore dell’uomo di integrare dentro di sé queste due correnti, pena l’impotenza.

Ma tutto questo è noto.

A parer mio, i nostri problemi psicologici sono sostanzialmente sempre gli stessi: la paura dell’alterità, le angosce della dipendenza e della solitudine, la precaria ricerca di una distanza di sicurezza nel rapporto, tra ansie claustrofobiche ed ansie agorafobiche…Ciò che cambia sono le difese che –secondo logiche storiche e culturali - mettiamo in gioco di volta in volta per affrontarli. Tanto è vero che anche in coppie non tradizionali moderne–ad esempio in quelle omosessuali, sia maschili che femminili- si ripropongono poi sempre le stesse, eterne difficoltà.

Così, anche ai nostri giorni, tante croniche e ripetitive infedeltà discendono dall’antica operazione difensiva inconscia della scissione, con la differenza, però, che ora la praticano anche le donne.

Tra i più giovani, invece, mi sembra prevalere la scelta regressiva dell’indifferenziazione come difesa. Anziché la costruzione di identità maschili e femminili forti, capaci di confrontarsi nel "reciproco riconoscimento dell’uguaglianza nella differenza", come recitava l’illuminato slogan degli anni settanta, si scivola verso l’ambiguità. Indubbiamente, è una soluzione meno cruenta, che elude le fatiche del conflitto, pagando però spesso il non piccolo prezzo dell’affievolimento delle passioni. Penso alle tante convivenze ‘bianche’, dominate da una sorta di pacifica ‘pigrizia’ erotica, che la coppia, nel suo regime collusivo, non vuole riconoscere come un sintomo di malessere.

Altre volte, sempre nelle fasce d’età giovanili, possiamo vedere "in controluce", dietro i comportamenti sessuali promiscui, praticati consciamente in nome della libertà e della trasgressione, i bisogni infantili del contatto.

Senza il contenimento di rigidi modelli sociali, senza proposte ideologiche forti, le ragioni del restare insieme sono dunque sempre più interne alla coppia e le sorti del legame amoroso sono affidate alla responsabilità dei singoli.

Sono legami fragili, ma potenzialmente più autentici; più turbolenti, ma non necessariamente più infelici di quelli del passato. Come abbiamo visto, d’altronde, la stabilità non coincide affatto con l’armonia.

Habib scrive che solo l’amore individuale può produrre il miracolo di uno scambio ugualitario. D’accordo, ma occorre distinguere tra l’amore narcisistico, che nell’altro cerca il rispecchiamento di sé, e l’amore cosiddetto oggettuale, capace di riconoscere e di tollerare la diversità, l’imprevedibilità, la reciprocità dei bisogni.

Sarebbe certo assurdo –oltre che irrealistico- pensare che la psicoanalisi abbia l’obbiettivo di far "evolvere" ciascuno verso una assoluta maturità relazionale; in ogni unione c’è sempre un intrico di livelli relazionali fusionali, simbiotici, infantili,, illusori…Guai se non ci fosse; si perderebbe ogni incanto. Sarebbe già molto se gli strumenti psicoanalitici ci aiutassero a mobilitare anche delle quote adulte, desiderose di incontrarsi davvero con l’Altro, e non alla perenne ricerca solo di se stessi nell’altro.

 

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