Questo articolo fa parte del dossier
sulla coppia che appare sul numero 58 di Reset, attualmente in
edicola e in libreria
Quella che compare qui e una versione ridotta del saggio di Andreas Giannakoulas,
"Corteggiamento, innamoramento, amore e genitorialita", di prossima
pubblicazione sulla rivista "Interazioni".
In questo scritto, vorrei proporre alcune riflessioni su una serie di processi
fondamentali nella vita di ognuno - processi quali l'innamoramento, l'amore, il
concepimento, la gravidanza, la nascita di un figlio e la genitorialità - a partire dal
ruolo che in essi svolgono la "metafora" (intesa come costruzione individuale,
ma anche condivisa) e l'esperienza reale della reciprocità tra due esseri umani.
Ai fini della comprensione di tali processi, ritengo siano assolutamente fondamentali
alcune considerazioni sul Sé. Infatti, in ognuno di questi processi vengono rimesse in
questione, insieme col sentimento del Sé corporeo ed inseparabilmente da esso, dimensioni
che, in quanto potenziali "elaborazioni evolutive", si richiamano all'esperienza
primaria della "mutualità" tra la madre e il bambino, e dunque alla più
primitiva esperienza (riuscita o fallimentare che essa sia stata) della reciprocità,
della fiducia nell'altro e della "con-fidenza" sia psicologica che corporea. E'
soltanto, infatti, a partire da queste fondamentali esperienze primarie (o da un loro
eventuale "recupero regressivo" in successivi momenti critici della vita) che
può realizzarsi la possibilità, non solo di sperimentare, ma anche di far evolvere un
sentimento integrato del Sé.
Non diversamente da ciò che avviene per lo sviluppo psico-affettivo individuale,
ritengo infatti - e vorrei qui proporre - che anche la vita amorosa dell'uomo si evolva
attraverso una serie di "fasi" e di processi - l'innamoramento, l'amore, il
concepimento, la nascita e la genitorialità - ognuno dei quali comporta una
trasformazione, e dunque una "crisi", alla quale dovrebbero armoniosamente
conseguire un processo di elaborazione ed un "cambiamento evolutivo" fisiologico
e necessario.
La clinica ci insegna tuttavia che questo non sempre accade: interferenze di ordine
psicopatologico possono infatti, ad ogni differente stadio, impedire i necessari processi
di trasformazione, convertendo così gli aspetti potenzialmente "evolutivi"
della crisi in strutture psicopatologiche individuali (fissazioni a livelli pre-genitali,
difese patologiche di vario ordine, etc.), oppure anche in strutture collusive
psicopatologiche della coppia stessa nel suo insieme.
Poiché ognuna di queste differenti "crisi evolutive" nasce, in realtà, da
un terreno "duale" e ad esso ri-afferisce sia nella sua possibile risoluzione
evolutiva come anche nel suo eventuale fallimento, poiché, ognuna di queste crisi è una
crisi individuale ed anche, ogni volta, una crisi della coppia nel suo insieme - essa
potrà anche comportare, ai fini della sua elaborazione e del suo superamento fisiologico,
nuovi momenti ed aspetti di "fusione" tra i due partner, a seguito dei quali è
comunque indispensabile che vengano almeno parzialmente ripristinati i confini dell'Io
individuale all'interno della coppia come rispetto al "mondo" in genere, seppure
modificati e "ridefiniti" dalla nuova elaborazione psichica.
Se è vero che la "collusione inconscia" di una coppia (per dirla in breve,
il suo "inconscio duale") è costituita - come Henry Dicks ci ha insegnato a
pensare- da particolari "incastri" o "complementarità" dei singoli
inconsci individuali, è anche vero che tutto il "non-elaborato" delle varie
"crisi evolutive" che la coppia si trova ad affrontare nel tempo va comunque ad
approfondire tale "collusione" nei suoi tratti patologici, ovvero in quei suoi
aspetti che maggiormente incidono come elementi di paralisi, di auto-ripetitività, di
"fissazione", in breve di non-crescita del rapporto stesso.
Fu lo stesso Freud, già molti decenni or sono, ad avvertirci del fatto che "la
scelta oggettuale dell'epoca puberale deve rinunciare agli oggetti infantili". Egli
ci dice anche esplicitamente che la "sessualità" non coincide -
restrittivamente - con la "genitalità".
Per potersi innamorare, ogni persona ha infatti bisogno, oltrechè delle varie
"risoluzioni" individuali - legate alle varie "fasi libidiche" dello
sviluppo psico-affettivo - anche di un'ulteriore dimensione, che riguarda e coinvolge più
strettamente il Sé. Questa dimensione, costitutivamente "duale" e primariamente
radicata nella realtà della relazione madre-bambino, è la fiducia: la fiducia nel Sé,
nell'altro, e nella possibilità della reciprocità.
Le innumerevoli peculiarità della vita amorosa dell'uomo, così come le numerose
"crisi" e le elaborazioni (riuscite o fallimentari) di esse, possono dunque
essere comprese soltanto risalendo, oltrechè all'infanzia "fantasticata", anche
a quei residui dell'infanzia reale i quali, non liquidati, integrati od elaborati, si
frappongono, non soltanto alla "fisiologia" delle fasi psichiche individuali, ma
anche all'esperienza della fiducia nel Sé e nell'altro, ovvero all'esperienza della
reciprocità e della "confidenza", sia psicologica che corporea, con un'altra
persona.
Con la pubertà e con l'innamoramento l'investimento affettivo deve "cambiare il
suo oggetto": separarsi, cioè, dall'oggetto primario (la madre) per poterne
investire uno nuovo e diverso. Tuttavia - con l'innamoramento e perché questo sia
possibile - deve potersi verificare una "ri-attribuzione di fiducia": un
processo o "passaggio", durante il quale ogni individuo rischia di
"ri-proiettare" sul proprio percorso esistenziale tutti gli ostacoli che ha già
incontrato nel passato, e di mobilitare il tal senso tutte le proprie difese.
D'altra parte, soltanto la fiducia può consentire la regressione, il "potersi
affidare", e dunque il recupero, il mantenimento ed il "sostentamento" -
all'interno della coppia e come suo patrimonio con-diviso e con-vissuto - di quelle
fantasie arcaiche, genitali e pre-genitali, che si costituiscono a loro volta come la base
essenziale della sessualità, consentendo anche nella realtà vissuta la gratificazione
reciproca di bisogni fisici primitivi.
Innamoramento, amore e genitorialità: l'evoluzione di un processo
La teoria e la clinica psicoanalitiche si sono purtroppo impegnate sui concetti di
innamoramento, di amore e di "genitorialità" (e su quest'ultimo, in modo
peraltro assai più marginale) soltanto nei termini delle "fasi libidiche dello
sviluppo", dell'Edipo, e soprattutto della "genitalità". Ma la risoluzione
dell'Edipo ed il raggiungimento della cosiddetta genitalità sono, a mio personale avviso,
condizioni certamente necessarie, ma d'altra parte non affatto sufficienti, per il
divenire di un rapporto d'amore e per il suo evolvere - attraverso una serie di crisi
trasformative - dall'innamoramento alla genitorialità.
Vorrei dunque tentare di esplorare qui alcuni aspetti dinamici ed economici di questi
fenomeni, che personalmente considero come dei veri e propri "processi". Essi
comportano infatti intrinsecamente la dimensione della temporalità, e comportano anche
che essa sia scandita da una serie di "crisi" e di successive elaborazioni
psichiche, sia individuali che condivise, capaci a loro volta di promuovere trasformazioni
profonde e durature nella personalità globale dell'individuo così come nella coppia
stessa, considerata come "unità psicosomatica".
I diversi processi che vanno dall'innamoramento all'amore e al matrimonio, e poi al
concepimento, alla gravidanza, alla nascita dei figli ed alla genitorialità, comportano
ognuno dei differenti e specifici "compiti evolutivi". In tal senso essi si
configurano come vere e proprie "fasi", ciascuna delle quali coinvolge nel
proprio particolare "ciclo di crisi-ed-elaborazione" non soltanto tutte le
istanze psichiche dell'individuo (Es, Io e Super-io), ma anche il Sé, e la stessa
qualità della "collusione di coppia". Loro esito evolutivo è sempre - dunque -
una differente forma di "personalizzazione" del Sé individuale, ed anche una
differente forma di "personalizzazione" della coppia nel suo insieme.
La fase del corteggiamento e dell'innamoramento, con la quale si inaugura un rapporto
di coppia, può esser vista come una successione precipitosa ed irriflessiva di riverberi
e di echi per l'occhio, per l'orecchio, per tutti i sensi e i sentimenti, e per l'animo in
genere: un gioco, insomma, di continui rispecchiamenti tra due persone e tra le loro
fantasie individuali e reciproche, in una disposizione assolutamente sognante e carica di
evocazioni.
La ricchezza delle potenzialità di questo stato d'animo è bene espressa dall'arte,
che da sempre ha scelto l'innamoramento come uno dei suoi oggetti di elezione.
Quando i partner, nella fase dell'innamoramento, si "creano" e si
"ritrovano" l'uno nell'altro, soggettivandosi a vicenda, viene tra loro a
crearsi quello che Masud Khan ha definito un "dinamismo diadico".
L'incertezza, lo stupore, la trepidazione e l'apertura all'inaspettato sembrano essere
- un po' come nel sogno - inerenti e consustanziali a questa situazione dell'animo, nella
quale vi è una continua ricerca del familiare nell'estraneo, nella speranza che qualcosa
- e spesso qualcosa di indefinibile e di arcaico - presente nell'Io come immagine interna
possa essere anche "riscoperto" e "ritrovato" come percezione esterna.
Proprio questa potrebbe essere la base psicologica del processo di metaforizzazione:
cogliere, "afferrare" l'ignoto attraverso il conosciuto, e lasciare -
reciprocamente - che il conosciuto ci rappresenti l'ignoto. In questo senso, la metafora
si pone come complessa "mediazione" tra il mondo trascendente ed idiosincratico
delle sensazioni, dei sentimenti e delle emozioni soggettive, ed il mondo costante e
stabile degli schemi e dei modelli di significato socialmente codificati.
La metafora è essenzialmente una modalità della conoscenza: un modo, cioè, per
conoscere, ed anche per comunicare. Di solito le metafore utilizzano immagini aventi in
sé qualcosa di "familiare", e sono scelte ed usate per poter comunicare
all'altro qualcosa di sconosciuto e di non completamente precisabile in un modo tuttavia
comprensibile ed "empatizzabile". Si potrebbe dire che esse sono lo strumento
tramite il quale la coscienza soggettiva dell'individuo dà ordine, non solamente a se
stessa, ma anche a quanta più realtà oggettiva ed estranea egli è in grado di
familiarizzare, raggiungere e controllare.
Le nuove esperienze, non soltanto sensoriali, devono poter essere in qualche modo
formulate - nella mente, così come nella sensazione - prima che se ne possa realmente
cogliere la significazione, e si possa così "sostenerle", trattenerle,
comprenderle ed elaborarle; e dunque, prima che si possa aggiungerle, da un lato al
contenuto della conoscenza organizzata, e d'altro lato al complesso dell'esperienza del
Sé, che si va per il loro tramite arricchendo.
Qualsiasi esperienza può essere articolata ed integrata - infatti - soltanto nella
misura in cui essa può essere, in un qualsiasi modo, rapportata al già noto: soltanto,
cioè, percependo una relazione tra l'esperienza sconosciuta ed altre esperienze già
avute (e dunque "note"), è possibile incorporare ed assimilare la prima.
L'altro - nella coppia il partner - estende ed amplia la possibilità, per il soggetto,
di nuovi schemi (patterns) di significato. L'innamorato, più in particolare, la estende
in modo tale che i messaggi significativi - quelli "ricevuti", così come quelli
inviati e poi "riflessi" dall'altro - potrebbero anche esser sentiti e percepiti
come metafore del proprio Sé.
L' "ampiezza assimilativa" della metafora - cioè la sua capacità di
comprendere significati insaturi ed evocazioni multiformi e non ancora irrigiditi in un
significante dato e convenzionale - è essenziale per poter avvicinare, comprendere ed
assimilare la diversità, ed anche l'inevitabile estraneità dei due partners in questa
fase dell' innamoramento.
La metafora è dunque essenziale per assimilare la "otherness" e il
"not-me" del Sé. Essa fornisce una relazione che connette questo a quello, il
nuovo all'antico e l'ignoto al conosciuto in diverse e rilevanti maniere: in questo senso,
essa consente la "prova", e "sostiene" - al tempo stesso -
l'esitazione.
Nell'innamoramento, l'innamorato dedica un'attenzione esclusiva all'oggetto del suo
amore, creando in tal modo in lui il senso di una beatitudine eterna. Questa è una
"illusione" non dissimile dai puri stati estetici, che sembrano annullare o
"sospendere" le convenzionali distinzioni e scansioni di spazio e di tempo, di
"sé" e "non-sé", di dolore e di gioia, e così via dicendo.
Tutto questo si va poi progressivamente modificando, in termini quasi
"evolutivi", nella crisi graduale che conduce dall'innamoramento alla
genitorialità, attraverso la via dell'amore e della costruzione di una reciprocità reale
tra i due partner.
L'estasi, che l'innamoramento - come la religione - reclama attraverso l'adorazione e
la contemplazione, viene infatti pretesa in misura molto minore dalla coppia genitoriale
nel processo di genitorialità. In questo senso, le regressioni massive e specifiche,
condivise nella fase dell'innamoramento, diventano meno profonde, più parentetiche e
contenute.
E mentre il mondo visivo e sensoriale degli innamorati appare saturo di simboli e di
metafore - spesso convenute attraverso sogni, colori, odori e sentieri che tentano di
catturare la profondità inconscia dell'altro, e che appaiono d'altra parte necessarie per
comunicare - nel processo della genitorialità tutto questo sembra spostarsi su quello che
Freud ha definito "il narcisismo genitoriale riversato sul bambino".
La disillusione fa dunque parte del processo - moderato dal tempo e dalla "realtà
condivisa" - del passaggio dall'innamoramento all'amore, inteso come alternativa
valida, gratificante e soprattutto soddisfacente del rapporto stesso.
Non va però dimenticato che per ogni coppia il creare, "sostenere" e
conservare una "illusione condivisa" rimane sempre e comunque - lungo l'intero
arco delle sue varie "fasi evolutive" - una vera e propria necessità vitale:
indispensabile nella fase dell'innamoramento per avviare, sostenere e consolidare il
rapporto, essa rimane fondamentale anche nelle fasi di amore e genitorialità, le quali
esse stesse la richiedono, seppure secondo quantità e modalità differenti.
Si può anzi affermare che l' "illusione condivisa" della coppia -
necessaria, appunto, al mantenimento e al sostentamento di una progettualità comune -
cambi essa stessa volto insieme col modificarsi della qualità della collusione di coppia
attraverso le varie fasi evolutive.
Il fatto che la cosiddetta "luna di miele", o qualcosa di comunque molto
analogo, esiste praticamente in tutte le culture, ci può anch'esso far riflettere su come
e quanto essa sia una fase assolutamente indispensabile per la costruzione della coppia:
essa è appunto la fase nella quale viene creata e sostenuta quell'illusione condivisa
della quale la coppia ha assolutamente bisogno, come di una "base"
indispensabile per poter poi - ma soltanto in un secondo momento - avviare i propri
processi maturativi.
La fantasia - come ci ha detto Freud - ha una sua funzione specifica e fondamentale,
che non è mai il caso di sottovalutare: quella di riempire il "vuoto" tra il
desiderio e la realtà.
Ora, se è vero che le fantasie reciproche - che appaiono decisamente preponderanti
durante il periodo dell'innamoramento - hanno nella coppia questa indispensabile funzione,
è anche vero che, con il trascorrere del tempo, esse devono almeno parzialmente recedere
per lasciare spazio al subentrare di una certa dose di "realtà", a sua volta
necessaria per la trasformazione dell'innamoramento in un amore più maturo, e decisamente
indispensabile per l'avviarsi dei processi di genitorialità.
Dobbiamo dunque domandarci come gradualmente si incontrino, nella coppia, il
"principio di piacere" ed il "principio della realtà": come, cioè,
venga gestito questo passaggio dall'innamoramento (principio di piacere) all'amore
(principio di realtà) per quanto riguarda il tempo. E dobbiamo anche domandarci come
all'amore possa in seguito gradualmente subentrare la genitorialità, la quale implica una
ulteriore e più profonda considerazione, non soltanto della "realtà" (in
quanto contrapposta alla "fantasia") nei suoi aspetti al presente, ma anche
della realtà nei suoi aspetti al futuro: il futuro - di più - non solo proprio, ma anche
dei figli, in tutti i suoi possibili sensi ed aspetti.
Con l'entrata in gioco, nella coppia, della realtà, viene ad attuarsi - come ho già
sottolineato - il passaggio dall'innamoramento all'amore, che non è più la "luna di
miele" coi suoi aspetti anche sognanti, ma comincia invece ad avere in sé qualcosa
di profondamente "radicato" e "terrestre".
In questo senso - e ritornando così al nostro discorso sulle fantasie ed illusioni
condivise dalla coppia - penso si possa affermare che, con il passare del tempo, l'uno o
l'altro dei due partner comincia gradualmente a "sostenere" un po' meno le
illusioni dell'altro. Se tutto va bene, inizia quindi a subentrare nella coppia la
disillusione: uno dei due comincia cioè a "prendere il rischio" di restituire
all'altro, non tanto - o soltanto - la fantasia che egli (od ella) ha su di lui, ma anche
un po' della propria "realtà".
Se questa realtà non è frustrante e deludente (intendo utilizzare qui il concetto di
"disillusione" in senso winnicottiano), essa potrà anche essere amata proprio
in quanto realtà: la realtà di una persona, diversa - almeno in parte - dalle fantasie
interne che su di essa si avevano. Subentrerà allora nella coppia, con una certa
gradualità, la "mia" realtà, la "sua" realtà, ed anche una realtà
condivisa. Non sono più soltanto le fantasie ad esser condivise: c'è ora anche una
realtà condivisa. E questa realtà è appunto il rapporto d'amore tra le due persone.
Ma con l'amore - oltre alle fantasie condivise e alla realtà condivisa - subentra
anche un terzo, fondamentale elemento, del tutto assente nell'innamoramento: ed è
l'accettazione, accanto alla realtà condivisa, anche di una parte di realtà non
condivisa.
In qualche maniera, si comincia cioè ad accettare e a rispettare, oltre che
semplicemente a "tollerare", quella che potrebbe essere, nell'altro, una realtà
diversa dalla propria; e la si accetta, senza che essa sia sentita come
"minacciosa" per il Sé e per il rapporto, come può invece facilmente avvenire
nell'innamoramento. E' come dire, si iniziano a tollerare le differenze, il cosiddetto
"not-me" nell'altro: il diverso da me, il mio "non familiare", il mio
estraneo. Di più - ciò che è assolutamente fondamentale per l'evoluzione e per
l'arricchimento del Sé che il rapporto d'amore può comportare - si cominciano a
tollerare, sotto forma di "not-me" nell'altro anche le parti rimosse e
dissociate del proprio Sé. Per fare un esempio: io posso ammettere che mia moglie sia
più aggressiva di me; io ho rimosso od ho dissociato la mia aggressività - non riesco
cioè a riconoscerla, perchè mi spaventa, in me stesso - però riesco ad accettarla in
lei, come "sua" aggressività. Certo, io posso trovare qualcosa di non familiare
in lei: però riesco ad accettarlo. Molte volte lo posso persino "celebrare":
non lo condivido, è suo, però mi piace: non me ne sento minacciato.
Se, dunque, la realtà - sia la realtà condivisa che quella non condivisa - può, nel
suo insieme, gratificare la coppia, allora essa può anche essere amata: e può persino
consentire di includere nel Sé anche una parte del "not-me" dell'altro.
Un'altra considerazione importante da farsi circa l'accettazione del "non-me"
all'interno del rapporto d'amore - accettazione che segna appunto il passaggio
dall'innamoramento all'amore - è che essa permette di ristabilire una parte dei confini
del Sé dopo la fase di "fusione" dell'innamoramento: come dire, essa permette
di riconoscere senza ansia od angoscia che "qui finisce la mia pelle e qui comincia
la pelle di lei". E' lei: non sono io.
Per dirlo con le parole di un mio paziente: "...cavoli suoi, se lei si veste
così, o se lei utilizza questi strani colori! Non devo mica sentirmene responsabile io, o
sentirmi per questo in dovere di controllarla! O peggio ancora, sentirmi come se fossi
tentato di dirle: 'io non esco con te, se tu sei vestita così'".
Questo significa, non soltanto accettare l'autonomia dell'altro, ma anche accettare una
certa sua estraneità. Significa che, in qualche maniera, noi possiamo finanche essere di
"colore" diverso - colore politico, filosofico, sociale, etico, ecc. - senza per
questo cessare di amarci.
E' proprio questa accettazione del "non-me" nell'altro che consente di
alimentare continuamente, nella fase dell'amore, una differenziazione all'interno dello
spazio diadico, che è sana e fisiologica.
E' come dire che la "membrana diadica" non crea necessariamente al suo
interno una fusione, o una totale indifferenziazione: poiché questo genere di fenomeni
sono anzi fortemente patologici ed "anti-evolutivi" per la coppia stessa Non va
infatti dimenticato che, maggiore è la fusione e l'indifferenziazione all'interno della
coppia, più rigida diventa inevitabilmente la membrana comune verso l'esterno: dimodochè
il "fuori" e il "dentro" della coppia appaiono, non soltanto
rigidamente e drasticamente definiti, ma direttamente opposti ed antitetici. Per gli
stessi motivi, anche la differenziazione/opposizione tra "me" e
"non-me" sarà spostata sulla netta opposizione tra "noi" e "gli
altri".
Con la fusione i due partner diventano un tutt'uno, e la membrana diadica diventa un
confine, una vera e propria barriera, grazie alla quale tutti gli altri sono diversi e
"avversi", e tutto ciò che è "fuori" diventa un "not-me"
definito sulla base di una scissione schizo-paranoide.
Con l'accettazione del "non-me" dell'altro e nell'altro - accettazione che
segna il passaggio alla fase dell'amore - diviene anche possibile la reciprocità tra i
partner.
Masud Khan ha sottolineato la pretesa alla mutualità come una delle caratteristiche
essenziali del Sé. "Il Sé - dice Khan - è creato dai suoi simboli, così come da
essi è rappresentato ed espresso".
Nel rapporto diadico, aspetti del proprio Sé vengono incarnati e mantenuti dall'altro.
Anche propri aspetti dissociati, scissi, negati, rimossi o "mancanti" possono -
ovviamente - trovare eco nell'altro. Ed anche proiezioni collusive, varianti dal normale
al patologico e dal conscio all'inconscio.
In questo senso, penso che la reciprocità "sana" implichi sempre il
raggiungimento di una certa separatezza: la quale significa a sua volta, non soltanto
mantenere la minima distanza necessaria dall'altro, ma anche il poter gestire ognuno da
solo il proprio tempo, e poter dunque sperimentare una certa autonomia, che permette di
stare con l'altro continuando - veramente - ad essere se stessi.
Non c'è reciprocità senza autonomia e separatezza.
I vari aspetti del Sé che vengono esclusi dalla reciprocità della coppia (cioè dal
vissuto della coppia nella reciprocità) finiscono inevitabilmente per operare in maniera
rimossa o dissociata, e in questo senso totalmente inutilizzabile ed immodificabile
nell'ambito del rapporto stesso.
Dato che "la pretesa del Sé è la reciprocità", in simili casi diviene
inevitabile il disagio, il senso di estraneità, e spesso un profondo risentimento per
l'alienazione di una parte del Sé e per la difficoltà di stare con l'altro ed essere
totalmente se stessi.
Sostengo che, a lungo andare, disagi del genere possono mettere a dura prova la
sopravvivenza della rimanente condivisione.
Spesso acting out di vario genere divengono, in questi casi, praticamente inevitabili o
almeno frequenti, in quanto tentativi di riprendere altrove quello che manca nel rapporto.
A mio avviso, acting out del genere possono riguardare sia l'Es, sia l'Io, sia anche il
Super-io. Come esempi prototipici si possono addurre l'infedeltà (Es), o le amicizie
significative ed esclusive solo per uno dei due coniugi (Io), ovvero impegni
socio-politici e culturali che non includono l'altro (Super-io).
Dall'innamoramento all'amore
Fin qui ho considerato che cosa accade sul piano dinamico quando si passa dalla fase
dell'innamoramento a quella dell'amore. Sarà in seguito anche utile domandarsi che cosa
accade in una coppia quando essa si unisce, ma non avvia i processi maturativi che
conducono dall'innamoramento all'amore, e poi alla genitorialità.
Intendo tuttavia - per il momento - approfondire ulteriormente il passaggio
dall'innamoramento all'amore proponendo alcune considerazioni di tipo
"economico".
Penso infatti che, perché un simile passaggio maturativo si possa attuare, debba anche
verificarsi, nella coppia e in ciascuno dei due partner singolarmente, un graduale
disinvestimento dagli oggetti del passato. Soltanto sulla base di un simile
disinvestimento è infatti possibile investire in modo "reale" e realmente
partecipato - non soltanto oggetti e "modi di vita" che comunque ripropongono,
in forma reale o fantasmatica, il passato - ma l'oggetto presente, l'altro come persona
reale: l'altro, appunto, di un rapporto d'amore.
Insieme con la considerazione del presente e della realtà, si ripropone anche alla
nostra attenzione - fondamentale in questo passaggio - il tema della
"disillusione".
Quest'ultima ha essa stessa aspetti sia dinamici che economici, che è forse utile
tentare di precisare ulteriormente.
Il passaggio dall'innamoramento all'amore implica - come ho già detto - una certa
disillusione; esso richiede però al tempo stesso anche il mantenimento di una certa quota
di illusione, poiché è questa che sorregge la creatività del rapporto. In questo senso,
è assolutamente fondamentale non confondere (e non far coincidere neppure
concettualmente) la "dis-illusione" con la "delusione".
Quando la coppia si muove dalla "luna di miele" all'amore - e qui il fattore
tempo è fondamentale: il tempo, cioè, deve gradualmente subentrare all'atemporalità
dell'estasi e della fusione - allora cominciano ad emergere anche alcune
"verifiche". Ma attenzione: questo non significa che la "mia" realtà
deve venire a bloccare e "paralizzare" le fantasie dell'altro, o in qualche
maniera a riportarlo "dalle stelle alle stalle". Piuttosto, si può dire che nel
rapporto inizia a subentrare una certa affettuosa "quotidianità": di modo che,
se la realtà non si rivela frustrante e deludente, ma si pone piuttosto come la premessa
di una "confidenza" disillusa ma al tempo stesso cara, allora essa può, non
soltanto essere in se stessa amabile, ma può veramente portare a quello che Winnicott
definisce la "manifestazione del vero Sé", che è sempre in se stesso vitale e
creativo.
In questo senso, mi sembra utile proporre un'ulteriore considerazione. Nella fase
dell'innamoramento si verifica generalmente in entrambi i partner - che reciprocamente la
"sostengono" l'uno nell'altro - anche una situazione interiore di onnipotenza,
che non è "maniacale", ma che in qualche maniera non è alimentata dalla
verifica della realtà. Questa onnipotenza non può essere mantenuta a lungo dopo la luna
di miele: essa deve recedere, in qualche maniera ha bisogno di recedere, affinché la
coppia possa gradualmente cominciare ad includere anche la realtà. Detto in altre parole,
l'immagine che l'uno ha dell'altro deve poter essere "sostenuta" - almeno in
parte - anche da una realtà: l'altro deve, cioè, restituire a chi lo ha anche
idealizzato qualcosa - comunque - di reale, che possa gradualmente andare a
"riempire" di sostanza, ma anche a modificare, l'immagine iniziale, ampiamente
proiettiva ed idealizzante.
Se io ho, ad esempio, idealizzato l'immagine della donna per miei motivi personali,
pian piano lei mi deve ridare indietro un po' di realtà, affinché io possa mantenere, ma
anche modificare e far evolvere, questa mia fantasia interna. Altrimenti, essa non potrà
ad ogni modo sopravvivere.
In simili situazioni, si hanno dunque due possibilità alternative. Se l'altra persona
mantiene e sostiene la mia onnipotenza, praticamente io - in modo inevitabile - rischio
prima o poi la delusione. Se invece, gradualmente, al posto dell'onnipotenza ella mi
restituisce indietro la sicurezza - che è come dire l'accettazione della mia realtà
presente, ma anche la fiducia nelle mie proprie potenzialità latenti - si creerà tra di
noi un rapporto d'amore, che è assai diverso dal mantenimento reciproco e fantasmatico
dell'onnipotenza.
Penso - dunque - che la fondamentale differenza tra l'innamoramento e l'amore risieda
nel fatto che nell'innamoramento domina - ed è anche attivamente "sostenuta" -
l'onnipotenza, mentre invece nell'amore comincia a subentrare, al posto dell'onnipotenza
stessa, il sostegno reciproco delle rispettive potenzialità, manifeste o latenti che esse
siano, dell'una o dell'altro dei due partner. Come dire: "io credo in mia moglie,
come lei crede in me: e crede non soltanto in quello che io sono, ma anche in quello che
io posso essere".
Questa differenziazione è molto importante. Così come nell'innamoramento la coppia ha
bisogno dell'onnipotenza dell'uno o dell'altro, così nell'amore c'è bisogno di poter
credere al "potenziale": che tu - ad esempio - divieni una buona madre, che io
divengo un buon padre.
Nella genitorialità c'è un'ulteriore verifica da compiersi: lì, non è soltanto il
potenziale ad essere in gioco; lì, uno chiede all'altro di diventare anche nella realtà.
Come dire: "tu non puoi soltanto promettere: tu devi, a questo punto, diventare anche
nella realtà un buon padre, una buona madre".
Ecco perché ho proposto una concettualizzazione in termini di "fasi".
Ora, il discorso sulle "fasi evolutive" della relazione di coppia implica,
però, anche una considerazione economica di base, senza la quale noi non possiamo parlare
né di amore né di genitorialità.
Freud sosteneva che, nell'innamoramento, tutta la libido va nell'oggetto, cosicché il
soggetto ne risulta in qualche modo "svuotato". Noi potremmo qui aggiungere che,
con il raggiungimento della fase dell'amore, un po' di libido ritorna al soggetto: essa
non è più tutta lì, nell'oggetto.
Ma questo passaggio, questo "rientro" della libido, non è così semplice
come potrebbe apparire: in esso risiede anzi la parte più importante - ed anche la parte
evolutivamente più significativa e delicata - della transizione dall'innamoramento alla
maturità dell'amore. Non si tratta, infatti, soltanto del fatto che la libido
"ritorna" - come dire, semplicemente "invertendo la propria direzione"
- dall'oggetto al soggetto. In qualche maniera, Freud ci dice che quest'oggetto -
l'oggetto dell'innamoramento - è anche e sempre il "rinvenimento" dell'oggetto
primario. E questo significa che è dall'immagine di mia madre, che in parte vi proietto,
che io ho preso anche la libido della quale investo questo secondo oggetto.
Quando, dunque, io comincio - con il progressivo superamento della fase
dell'innamoramento, e con il subentrare della "disillusione" che segna il
passaggio all'amore maturo - a ritirare una parte della libido da mia moglie, nello stesso
momento io la ritiro anche - e inevitabilmente - dalle fantasie legate a mia madre. Il
disinvestimento, in questo caso, non è dunque soltanto dall'innamorata, ma è anche dalle
fantasie interne rimaste legate all'oggetto primario.
Soltanto così - con questo disinvestimento degli oggetti primari - la coppia può
cominciare ad investire una realtà condivisa, creando così anche uno spazio psichico,
oltre che fisico, condiviso.
In questo stesso momento, e attraverso questi stessi processi, ha anche luogo una
trasformazione delle aspettative, delle richieste reali e fantasmatiche all'altro: né io
ti chiedo più di ridarmi indietro mia madre, né tu mi chiedi di ridarti indietro tuo
padre, od altri oggetti familiari. E cominciamo, insieme, ad investire una
"terza" area, che siamo noi.
Se questo, invece, non accade, la coppia rimarrà statica, incapace di evoluzione anche
attraverso i decenni.
Se ci domandiamo, infatti, che cosa prenda il posto dell'innamoramento quando l'amore
non riesce a subentrare come "fase evolutiva", non possiamo che darci - e lo
riscontreremo anche nella clinica - un'unica risposta. La coppia potrà rimanere
innamorata per tre, sei mesi, un anno od alcuni; poi, però, i due coniugi continueranno a
vivere insieme senza più essere né innamorati, né d'altra parte avere amore l'uno per
l'altro. Vi sarà, in breve - forse non detto e non appariscente, ma d'altro lato
"tangibile" nei suoi effetti - un inevitabile ritorno al passato. Questo
significa che la coppia permane in quanto coppia, ma ognuno continua a mantenere dentro di
sé un rapporto inalterato con la propria famiglia e con i propri oggetti primari. E
questo - circolarmente - non permette il passaggio dall'innamoramento all'amore.
In termini clinici, significa che dobbiamo andare ad esplorare come mai questa coppia
è rimasta "congelata" anche per dieci o venti anni senza passaggi e senza
trasformazioni. Perché quando non c'è una storia, c'è inevitabilmente qualche
"fase" che manca o che è stata fallita.