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Diseguali dai panini al campionato di calcio

Will Hutton

 

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Questo articolo è apparso sul numero 56 di Reset

Ci sono oggi a Londra negozi specializzati nella vendita di stravaganti confezioni di pasti pronti per bambini, al prezzo di 7 sterline l’uno (circa 15mila lire); durante la pausa scolastica i ragazzi fanno il confronto tra chi ha il panino alla moda e chi si deve accontentare delle razioni più umili che si possono permettere i genitori meno abbienti. Nel campionato di calcio di massima divisione, i principeschi diritti televisivi consentono ai club più ricchi di spalancare un divario incolmabile tra loro e le squadre minori, acquistando i giocatori migliori. L’aspettativa di vita del 10 per cento più ricco della popolazione è in ascesa; quella del 10 per cento più povero ristagna sempre allo stesso punto.

Noi pensiamo alla diseguaglianza quasi esclusivamente in termini di differenze di reddito e, in misura minore, di opportunità, ma in realtà l’impatto della società diseguale pervade tutti gli ambiti dell’esistenza. Si manifesta nell’invidia dei bambini e nel sentimento di ingiustizia che insorge nelle aule scolastiche quando i compagni estraggono i loro cestini con il pranzo. È presente nella spensierata vendita dei diritti delle partite di calcio alle emittenti televisive e nella mutazione genetica dei tifosi in beni di consumo. Si riflette nelle prospettive di un pensionamento soddisfatto e sereno per alcuni ma non per altri. La diseguaglianza e i suoi effetti sono ovunque intorno a noi, e minano ogni ideale di una vita buona e giusta.

Ma in questa situazione il partito laburista non sceglie più di battersi per una minore diseguaglianza e per una migliore distribuzione del reddito e della ricchezza; il primo ministro respinge apertamente un approccio di questo tipo. È consentito unicamente un linguaggio più "soft", che parli di favorire l’equità e l’opportunità individuale. Molti blairisti lo considerano un altro esempio della necessità, a lungo trascurata, di sbarazzarsi del ridicolo bagaglio del passato laburista; ma si sbagliano. È invece la resa di un valore essenziale, che non soltanto definisce il centrosinistra e tutta la sua politica, ma rappresenta una delle pietre angolari di qualunque società vivibile. Dopo tutto, non fu Marx ma Platone ad affermare che l’uguaglianza conduce all’amicizia. Esiste una trinità di valori su cui poggia la civiltà democratica occidentale: libertà, uguaglianza, fraternità. Accettare la gerarchia dei valori imposta dai conservatori, in cui l’uguaglianza trova pochissimo se non nessuno spazio, come rischia di fare il New Labour, significa voltare le spalle alla propria tradizione e alla propria responsabilità nei confronti del processo democratico. Chi si batterà per una maggiore uguaglianza nella nostra democrazia, se non la sinistra?

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Riassumiamo brevemente i dati di fatto riguardanti le profonde diseguaglianze nella possibilità di accedere alle risorse necessarie a garantire un’esistenza decente. Il reddito medio tra il 1979 e il 1997 è cresciuto del 44 per cento in termini reali, ma il dieci per cento che dispone dei redditi più alti ha conosciuto un aumento del 70 per cento. Per contro, il dieci per cento con il reddito più basso ha subito una diminuzione del reddito reale corrispondente al 9 per cento. La percentuale delle persone che vivono con un reddito inferiore alla metà della media nazionale – la cosa che più si avvicina alla soglia di povertà – è cresciuta fino a raggiungere il 24 per cento. Accanto a questo andamento si registra l’emergere di una nuova classe superabbiente, i cui redditi ascendono a proporzioni stellari: per esempio, il reddito di metà degli alti dirigenti delle 100 maggiori imprese della Gran Bretagna supera le 600.000 sterline l’anno (circa un miliardo e ottocento milioni di lire), senza tener conto di bonus e opzioni sulle azioni della società. Guadagni di questo genere si incontrano in tutta la City. In Inghilterra l’aumento della disparità nei redditi è stato così rapido che oggi vantiamo il maggior livello di diseguaglianza tra i principali paesi europei e siamo vicinissimi alla testa della classifica tra tutti i paesi industrializzati.

Questo divario crescente tra ricchi e poveri si riflette in miriadi di modi diversi. C’è l’accesso all’istruzione scolastica, dove costosissime scuole private portano i loro studenti a conseguire risultati incommensurabilmente superiori agli esami di maturità e ai test di ammissione universitaria. C’è la possibilità di godere di buona salute, non soltanto in virtù di diete e alloggi più sani, ma anche, come ha spiegato Richard Wilkinson dell’università del Sussex, per il modo in cui la considerazione del proprio valore è così strettamente correlata alla capacità di guadagno. Più è basso il nostro reddito rispetto alla media, più si abbassa la nostra stima di noi stessi e più la nostra salute peggiora.

La diseguaglianza, in sintesi, penetra nel cuore stesso della nostra società, e mina alle basi, per molti cittadini, le prospettive di una vita dignitosa e soddisfacente. Infrange rapporti basati sulla fiducia e indebolisce la nostra capacità di provare simpatia per gli altri. Questo accade perché l’esperienza umana è essenzialmente esperienza sociale. Non viviamo come isole; cerchiamo e offriamo reciprocamente la buona opinione da e verso gli altri, ed essa rappresenta il motore fondamentale delle relazioni umane. L’aspettativa e la necessità di rale reciprocità è un bisogno umano estremamente generalizzato; è alla base dell’amicizia e della fiducia. Rappresenta il nucleo centrale della nostra concezione del capitale sociale, senza il quale le nostre società smarriscono ogni punto di riferimento.

Ma una società totalmente diseguale indebolisce la capacità di empatia. Restringe gli spazi comuni pubblici e sociali in cui gli esseri umani interagiscono, al punto da impoverire il linguaggio comune e i codici morali di cui ci serviamo per comprenderci e per instaurare relazioni con gli altri. È sempre più difficile costruire rapporti di amicizia tra persone diversissime per reddito e per condizione sociale; e l’amicizia è una necessità affettiva fondamentale. I più poveri vengono limitati persino nella loro capacità di socializzare, perché non possiedono gli strumenti necessari.

E dal momento che riusciamo a comprenderci sempre meno, rischiamo di smarrire la capacità di provare empatia e fiducia. La cerchia di persone tra le quali cerchiamo di conquistare una buona reputazione si fa sempre più ristretta; cerchiamo di correre sempre meno il rischio di suscitare rabbia e invidia. Siamo sempre meno capaci di sopportare la vergogna. I legami e le aspettative di reciprocità diminuiscono. Non sorprende che Richard Wilkinson possa dimostrare come le società meno eque siano anche quelle che hanno il più alto tasso di suicidi, il minor grado di rapporti di fiducia e siano maggiormente violente di quelle che godono di una distribuzione più equa del reddito e della ricchezza. Wilkinson cita James Gillian, psichiatra carcerario, che sulla violenza scrive: "Devo ancora vedere un grave atto di violenza che non sia stato provocato dall’esperienza di venire esposto alla vergogna e all’umiliazione, alla mancanza di rispetto e al ridicolo, e che non abbia rappresentato il tentativo di prevenire o di vendicare il fatto di aver perso la faccia – per quanto severa possa essere la punizione che li aspetta".

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Oltre ad esacerbare questi problemi psicologici ed emozionali, la diseguaglianza è anche inefficiente dal punto di vista economico e sociale. La società ineguale è una società malata, che soffre di abitazioni malsane, alti livelli di disoccupazione e di emarginazione sociale; esige una forte spesa pubblica per cercare di attenuare gli squilibri e le sperequazioni. L’azienda non equa è quella che fatica di più a trasformare i suoi dipendenti in una squadra compatta e che non riesce a trovare le motivazioni necessarie per migliorare la produzione. La preoccupazione delle imprese giapponesi, che cercano di porre un limite alla differenza di stipendio tra i massimi dirigenti e le manovalanze non è un’idiosincrasia, bensì uno strumento essenziale per affermare quell’etica comune che costituisce la base fondante del loro successo.

La nazione ineguale, con città ricchissime e regioni povere difficilmente riesce a crescere e a svilupparsi; strutture, istituzioni e politiche adeguate alle aree ricche sono del tutto inadatte alle zone più depresse. L’economia diseguale è difficile da gestire, proprio sul piano economico; i suoi cicli sono più violenti, perché i meno abbienti e i più insicuri passano dalla condizione di lavoratori e consumatori soddisfatti nei periodi di crescita a disoccupati dipendenti dai benefici sociali che vanno a peggiorare i periodi di crisi. Le politiche fiscali e di spesa pubblica adeguate alle regioni ricche risultano inadatte alle regioni povere.

Insomma, la diseguaglianza è perniciosa. Sostenere questa tesi non significa invocare l’uguaglianza assoluta, non più di quanto si possa invocare la libertà assoluta. Esistono aggiustamenti e compromessi evidentemente delicatissimi. Ma, a meno che i politici non riescano a inventarsi una storia che spieghi perché la diseguaglianza è importante per tutti noi, sarà ben difficile che si possa formare la coalizione in grado di migliorare questo stato di cose – incrementando le imposte marginali o riducendo i privilegi delle scuole private o sostenendo il servizio sanitario nazionale. E se si sminuisce il valore attribuito all’uguaglianza, tutti noi siamo sminuiti. Il campionato di serie A diviene più ingiusto, e viene meno la nostra capacità di stringere amicizie. Il rifiuto del New Labour di affrontare apertamente la questione potrebbe dimostrarsi il suo tallone d’Achille: sia nel conseguire gli obiettivi prefissati, sia nel conservare il consenso nel paese. La gente vuole una società più equa. Il partito laburista sarà sconfitto se non risponde.

 

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