Il percorso con cui ci si propone di
superare una situazione di crescita contenuta per andare invece verso la costruzione di un
vero sviluppo, che si ponga come obiettivo centrale la realizzazione dellessere
umano in una società e in un mondo ormai profondamente mutati, suscita un grande
interesse, registra una vera e propria aspettativa, provoca a volte un certo entusiasmo.
Viene tuttavia giudicato spesso anche idealistico ed utopico e lo si accusa di
sottovalutare i rapporti di forza che agiscono nellambito del mercato. Se queste
sono le condizioni date, quale deve essere la nostra ipotesi di avanzamento? E di
questo argomento che ci occuperemo qui di seguito.
Quali sono le finalità di questo nuovo sviluppo?
E in effetti opportuno partire dalle finalità, anziché precisarle strada
facendo, o individuarle addirittura alla fine del percorso. Leconomia, strumento al
servizio di un fine, tende a diventare essa stessa un fine, di cui luomo è ormai
solo un mezzo. Ciò che era stato denunciato da Ivan Illich in "La Nemesi
medica" rischia ormai di essere vero per tutta la società. Leconomia deve
essere ricollocata sui suoi binari, intendendo con questo che deve essere posta al
servizio delluomo. E non dobbiamo dimenticare che la funzione delleconomia è
quella di soddisfare i bisogni delluomo. Ed è partendo da questi ultimi, ritornando
cioè alle fondamenta, che possiamo ritrovare il vero senso delleconomia. Quali sono
questi bisogni? Essi sono dordine materiale, relazionale e spirituale.
Dobbiamo ovviamente porre interesse ai bisogni materiali nel senso ampio del termine
(mangiare, vestirsi, avere un tetto, istruirsi, curarsi, etc.), tanto più che con
laumento della disoccupazione questi bisogni vengono sempre meno soddisfatti (per un
motivo o per laltro, un quarto circa delle famiglie francesi si trova in qualche
modo a dover fare i conti con situazioni di povertà); ma è anche sempre più necessario
porre interesse ai bisogni relazionali, intendendo con ciò sia i bisogni delle persone
che vivono in condizioni di esclusione o di solitudine involontaria, sia i bisogni dei
cosiddetti vincenti, per i quali lacquisizione di una posizione sociale avviene
sempre più spesso a scapito di un forte degrado del loro tessuto sociale; e dobbiamo
porre attenzione anche ai bisogni spirituali che inevitabilmente aumentano parallelamente
alla riduzione dei punti di riferimento collettivi e con la crescente privatizzazione
della questione del significato. A questi tre tipi di bisogni corrispondono tre tipi di
rapporto con il tempo.
- Il soddisfacimento dei bisogni materiali fa riferimento al tempo produttivo,
caratterizzato da norme di efficacia imposte allindividuo dallorganizzazione
produttiva.
- I bisogni relazionali fanno riferimento al tempo del dono basato sul
"dare-ricevere-restituire", grazie al quale gli individui sono uniti tra loro da
un gioco di crediti e debiti mai saldati e che, proprio per questo motivo, vanno a
costruire un legame, contrariamente a quanto accade nellambito dello scambio
commerciale o utilitaristico, che si chiude in se stesso lasciando gli individui autonomi
ma separati; questi bisogni relazionali vengono spesso soddisfatti nellambito di
unattività domestica, familiare o di volontariato, che non è né lavoro né tempo
libero: esiste sì uno sforzo per produrre un servizio, ma la norma che regola questo
sforzo viene autogestita da colui che lo compie; questo tempo di attività tenderà a
svolgere un ruolo sempre crescente in una società che si libera progressivamente dalla
pressione del lavoro classico, e sarà importante anche nella costruzione della singola
persona che intende esplorare le proprie potenzialità evolutive; restano tuttavia da
definire le condizioni in cui si sceglie di accedere a questo tempo di attività e le
modalità del suo riconoscimento sociale.
- Il tempo spirituale, invece, è tempo di accumulazione nel lungo periodo, i
cui risultati non sono programmabili, tempo di interiorità, di meditazione, di ricerca,
di confronto con il male radicale e con il concetto di significato, così come si
incarnano nella trama di ogni esistenza.
Ponendoci in questa prospettiva, definiremo quindi lo sviluppo armonioso come il
contesto collettivo che consente ad ogni essere umano, in unione con gli altri e con la
collettività, di costruire, nelle migliori condizioni possibili, il proprio sviluppo
personale mettendo insieme in modo adeguato questi tre bisogni e queste tre forme di
rapporto con il tempo; condizione indispensabile è che essi siano accessibili a tutti, in
sufficienti condizioni di uguaglianza.
A questo punto sono necessarie alcune considerazioni assai importanti: costruzione di
sé, costruzione della società e partecipazione alla vita sociale sono realtà sempre
più strettamente interconnesse. Lobiettivo dello sviluppo consiste nella
realizzazione della persona, ma questa realizzazione contribuisce sempre di più allo
sviluppo della società. Per quanto attiene allo sviluppo della persona, esso deve tendere
a dare sempre più spazio a ciò che ognuno ha di unico e di insostituibile in sé, e
quindi ad interconnettere ulteriormente lavoro, attività e vocazione.
Stiamo uscendo da una fase di omologazione e di banalizzazione produttiva e stiamo
entrando in una fase dello sviluppo in cui la specificità di ogni persona è, più di
qualsiasi altra cosa, portatrice di valore aggiunto socio-economico. Questo significa
che liniziativa individuale assumerà un peso centrale in questo contesto, dato che
dora in poi né il lavoro, né il legame sociale né il significato saranno più
presenti allo stato naturale, ma saranno invece delle costruzioni, delle conquiste, per
non dire lobiettivo stesso dello sviluppo. A questo punto diventa essenziale il
tipo di contesto collettivo che consentirà a ciascuno, senza eccezione, di accedere alle
diverse forme di iniziative necessarie per lui e per la collettività. Questa esigenza di
uguaglianza di fronte alliniziativa non deve mortificare il concetto di diversità:
in effetti, la combinazione di questi diversi bisogni e di questi rapporti con il tempo
varierà da un individuo allaltro, da un contesto familiare o socio-professionale
allaltro, e potrà addirittura variare nel corso di una stessa vita.
A questo proposito, assume ovviamente un peso essenziale anche il complesso delle
regole che sottendono alla produzione di reddito e alluso del tempo. I redditi
derivanti dalla collettività debbono ricompensare liniziativa o incentivarla. Per
quanto riguarda il tempo, esso deve essere per quanto possibile scelto, e quindi
organizzato, sia a livello di impresa che a livello collettivo; lungi dallessere un
fattore di insicurezza, esso deve al contrario contribuire alla stabilità delle persone.
Appare quindi evidente che a sostegno di questo nuovo sviluppo deve essere organizzato, ai
vari livelli, un vero e proprio sistema istituzionale.
Quali operazioni di riequilibrio debbono essere effettuate?
Questi obiettivi non sono irrealistici, anzi, sono di ovvio buon senso. Oggi, il
funzionamento economico privilegia troppo i bisogni materiali a scapito dei bisogni
relazionali e spirituali, ed è per questo motivo che li soddisfa male. Leccesso ha
sempre un suo costo. Ma la macchina è lanciata, funziona con il pilota automatico senza
correggere i propri squilibri, e le operazioni di riequilibrio da effettuare sono
effettivamente di notevole importanza. Sono battaglie che debbono essere portate avanti.
E utile a questo punto identificarle:
- dare più spazio allo scambio e al dono antropologico rispetto alla logica dominante
del potere e del denaro: questo significa che il mercato deve essere dotato di regole
e che non deve essere lasciato spazio ad un capitalismo selvaggio; le istituzioni che
favoriscono la dotazione di queste regole debbono essere di volta in volta sostenute,
migliorate o create a tutti i livelli (locale, nazionale, europeo, mondiale); gli effetti
della tecnologia debbono essere più sistematicamente valutati per quanto attiene al loro
impatto sulla coesione sociale; importanti settori della vita sociale non debbono poter
essere oggetto di scambi di natura commerciale; ed infine lindividuo deve potersi
ritirare dal mercato e ha diritto a non essere (troppo) inglobato da esso (è questo,
nello specifico, lo scopo del tempo scelto e del riconoscimento delle attività di
utilità sociale);
- riequilibrare rispettivamente il posto del lavoro e quello del capitale che nel
tempo ha visto pendere eccessivamente la bilancia a favore del capitale. Complessivamente,
la parte dei salari nel valore aggiunto non deve più ridursi e il lavoro deve essere meno
tassato, contrariamente a quanto deve avvenire per il capitale fisico, finanziario o
naturale. Questo significa che, a livello mondiale, deve essere posto un principio di
tassazione minima, e che i paradisi fiscali debbono essere progressivamente riassorbiti
(non si sottolinea mai abbastanza quanto essi siano del tutto contrari alla
globalizzazione); che nellUnione Europea deve essere istituita una ritenuta alla
fonte sui redditi da capitale; che debbono essere alleggeriti gli oneri sociali che
gravano sui salari versati dalle imprese, per favorire il lavoro e il ripristino di una
situazione di piena occupazione, e che questi oneri debbono essere sostituiti da una
tassazione sui redditi globali delle famiglie (compresi i redditi finanziari) o sul valore
aggiunto contabile delle imprese (che includa gli ammortamenti);
- favorire lo sviluppo dei tempi di attività conviviali rispetto ai tempi
produttivi in senso stretto, ampliando la gamma delle scelte individuali organizzate
collettivamente. Anche questa è una delle poste in gioco delle politiche del tempo e del
tempo scelto. I vari aumenti di produttività creano le condizioni per un
"travaso" che deve essere applicato anche al concetto di tempo: anziché essere
automaticamente trasformati in produzione di beni o servizi aggiuntivi, con difficoltà
sempre crescenti, gli aumenti di produttività debbono anche potersi trasformare in tempo
libero, nel caso in cui gli individui desiderino fare una scelta in questo senso, dal
momento che il tempo libero può essere tanto più foriero di iniziative e di legami
sociali, e dotato di significato quanto più possa essere scelto in funzione di una
destinazione che per linteressato stesso è densa di significato;
- linsieme di queste forme di riequilibrio deve favorire una minore tensione
tra tecnica e natura, nella misura in cui esse incoraggiano la ricerca di modalità
di vita più armoniose, laddove la tecnica privilegia invece, senza discernimento,
laumento del livello di vita. Ma tutto ciò deve essere accompagnato dalla
ricerca di una suddivisione più equa dei carichi tra generazioni: la generazione che è
giunta alletà adulta negli anni 80 avrà conosciuto la disoccupazione, le
difficoltà della promozione sociale e poi sopporterà il crescente costo del
pensionamento di una generazione che, al contrario, avrà beneficiato della piena
occupazione e dellarricchimento generalizzato. Per quanto attiene al patrimonio
naturale, esso merita una crescente attenzione, ben al di là di ciò che è stato fatto
fino ad ora. Infine, avremmo torto se ci dimenticassimo che lobiettivo di uno
sviluppo dotato di significato è la produzione di valori estetici e simbolici e che ciò
che può apparire gratuito non è per questo meno essenziale di ciò che fa invece
riferimento ad un concetto utilitaristico;

- ricostituire la giusta tensione tra lindividuo, i corpi intermedi e la
collettività. La società standardizzata di massa, animata dalle grandi ideologie, è
stata sostituita da una società individualista ed eterogenea tenuta insieme da un
consenso democratico molle. Lindividuo è re ma governa sempre meno il proprio
destino: aumento contemporaneo dellesclusione e dello sfruttamento, crescente
opacità sociale, instabilità delle riforme e delle politiche, crescita di conflitti
localizzati ed anonimi che evidenziano più resistenze di quanto non siano portatori di
progetti, difficoltà dei sindacati a farsi carico di un fenomeno di terziarizzazione che
va ben oltre il settore pubblico, scarso riconoscimento del movimento associativo,
difficoltà da parte dello Stato di armonizzare il tutto trovando il tono giusto. Tutti
questi fenomeni riflettono una cattiva articolazione tra lo Stato che deve
riaffermare il proprio ruolo di stimolo e di coesione e che deve modernizzare i metodi che
utilizza per produrre i beni collettivi di cui è il custode, ottenendo una maggiore
produttività i corpi intermedi che devono essere contemporaneamente
sostenuti (sindacati) e valorizzati (il movimento associativo, portatore del legame
sociale del futuro) e lindividuo che è titolare di diritti, ma anche
di doveri, in particolare di doveri di iniziativa e di solidarietà;
- creare una maggiore unità tra forza e progetto nelle lotte sociali. Dato che
faceva riferimento ad ideologie semplici e corpose (marxismo o democrazia industriale), il
movimento sindacale si poneva lobiettivo prioritario di definire dei rapporti di
forza che potessero far avanzare le idee e gli interessi di cui era portatore. Oggi non è
più possibile ragionare solo in questo modo. Sono necessari progetti coerenti per
comprendere profondamente le riforme, sostenerle o contestarle, a seconda dei casi. In
assenza di ciò, la forza diventa solo resistenza e favorisce senza volerlo un immobilismo
che non guarda abbastanza al futuro.
Queste sei azioni di riequilibrio richiedono tempo e mezzi; esse richiedono la
congiunzione di una volontà politica chiara, impegnata, che non si ponga lobiettivo
di trovarne un qualche tornaconto, e una loro applicazione con criteri di reale
ingegnosità sociale, caratteristiche che difficilmente abbiamo visto abbinate ma che di
per sé non sono incompatibili.
A quali contrapposizioni politiche fa riferimento questo nuovo sviluppo?
Per dare una risposta a questa domanda cerchiamo prima di tutto di mettere a fuoco il
tema di cui stiamo discutendo. Per dare soluzione ai problemi della società
postindustriale mondializzata sembra proprio che vi siano solo tre risposte serie:
- limmobilismo di fatto, che ritiene siano sufficienti, per luso che se
ne fa, le grandi regole definite nel periodo del dopoguerra, mentre lunica proposta
da fare è un miglior collegamento con le politiche monetarie, di bilancio o salariali.
Ovviamente, nessuno formula le cose in questo modo. Ma è questo il sogno implicito di
molti nostri concittadini: che tutto migliori senza che niente cambi. Questo atteggiamento
apre la strada prima di tutto a processi di esclusione e poi ad un liberismo insidioso ed
inefficace, fautore della deregulation, ed infine a fenomeni come il Fronte
nazionale;
- il liberismo fondato sulla deregulation fautore della soppressione del salario
minimo, della flessibilità del lavoro in tutte le sue forme e di regole del gioco ridotte
al minimo, della drastica riduzione dello Stato sociale, dei contributi obbligatori e
dellimposta sul reddito. Privatizzazione dei problemi collettivi, sviluppo spinto
alle estreme conseguenze della responsabilità individuale: con luso del forcipe, si
ottengono dei risultati in materia di occupazione (da cui peraltro dobbiamo trarre alcune
lezioni) ma il costo umano che si paga è assai elevato, aumenta il senso di ingiustizia e
di insicurezza;
- la scelta a favore della definizione di nuove regole fondanti di un nuovo
sviluppo: viene mantenuto un salario minimo indicizzato sui prezzi, ma i
corrispondenti oneri sociali vengono alleggeriti e ridistribuiti per non penalizzare
loccupazione; nel lavoro e nella vita sociale ci si propone di individuare un giusto
equilibrio tra flessibilità e sicurezza; viene mantenuto un livello elevato di politica
ridistributiva, ma il contenuto di questultima viene modificato affinché la
copertura dei rischi tradizionali (salute, pensioni, famiglia) non impedisca di prendere
efficacemente in considerazione alcune nuove sfide (esclusione, recupero urbanistico,
etc); il tempo scelto viene organizzato; la base sociale delliniziativa viene
ampliata; le attività di utilità sociale vengono riconosciute e finanziate; vengono
valorizzate le modalità di produzione e di vita innovative, allinterno delle quali
sono più evidenti le esigenze di democrazia, di etica e di spiritualità.
La scelta a favore di questa problematica evidenzia subito una prima difficoltà: nei
paesi dellEuropa del nord a forte densità contrattuale nuove regole possono essere
introdotte con relativa facilità: lattenzione concreta che i partner sociali
pongono nei confronti delloccupazione è maggiore e porta assai naturalmente ad
innovazioni oggetto di compromessi, tanto più che costante è la preoccupazione di far
progredire la democrazia industriale. Se la tentazione a favore della deregulation
è forte, il divario tra immobilismo e nuove regole è meno netto, così che i sistemi
sociali esistenti possono più facilmente difendersi adottando adeguate procedure. Le cose
non stanno così in Francia, paese che nel campo sociale non è ancora uscito dal
cosiddetto "social-colbertismo". Tra limmobilismo e le nuove regole esiste
un vero e proprio iato. La costruzione di questo nuovo sviluppo implica quindi
lattivazione di sforzi quasi altrettanto grandi, benché di senso opposto, di quelli
che sarebbero necessari per realizzare una "rivoluzione conservatrice" alla
maniera di Reagan o della Thatcher. Limpressione è invece del tutto diversa: è
possibile ritenere, in totale buona fede, che sia opportuno gestire solo alcune semplici
fasi di transizione. In realtà, limpegno è di gran lunga maggiore: si tratta di
una vera e propria mutazione, dato che alle regole già esistenti debbono essere aggiunte
nuove regole del gioco e nuovi metodi, andando a recuperare il ritardo accumulato negli
anni 60, quando non fu dato ascolto alla voce dei riformatori sociali.
Ciò premesso, due sono gli scenari politici che si possono concepire:
- il primo prevede che linsieme dei protagonisti politici, economici e sociali
opti, ognuno nel proprio campo, per un orientamento di questo genere. Dopo tutto, si
tratta di uno scenario che è stato realizzato in Francia, durante la Liberazione, con il
tema della modernizzazione economica e sociale. Si tratta dello scenario più favorevole
per il paese. Esso non elimina la contrapposizione destra/sinistra o padronato/sindacati
ma i conflitti avvengono allinterno di un orientamento globale definito di comune
accordo. E in effetti del tutto possibile concepire, allinterno di questa
ricerca di un nuovo sviluppo, una versione più conforme alleconomia sociale di
mercato (con un ruolo minore dello Stato e la ricerca di una leggera riduzione dei
prelievi obbligatori) e una versione più socialdemocratica (con, ad esempio, un livello
di ridistribuzione sociale più elevato, una maggiore volontà di fare leva sul negoziato
sociale, un sostegno più esplicito alla ricerca di nuovi modi di vivere e di lavorare);
- il secondo scenario prevede invece che solo uno dei due campi politici si sforzi di
agire in questa direzione, ovviamente includendolo nella sua cultura e nella sua
tradizione specifica. Se lanalisi generale è giusta e se la scelta diventa realtà,
il vantaggio politico che ne deriverebbe potrebbe essere importante. Può essere la
sinistra a muoversi in questa direzione? E la sua vocazione, e vi ha tutto da
guadagnare. I cosiddetti "club di riflessione" potrebbero svolgere il ruolo di
sostegno a questo processo, mantenendo ognuno la propria tonalità specifica. Questo
implica in particolare una coalizione quadri/classi medie/disoccupati, una forte
ridistribuzione sociale a favore di questi ultimi e un maggiore sforzo contributivo per i
vincitori dellultimo decennio; la realizzazione di questo scenario non è facile ma
non è impossibile, a condizione che i necessari sforzi di chiarificazione e di
convinzione siano fatti con coraggio e continuità.
Il nuovo sviluppo lancia la sfida alla mondializzazione
E compatibile questo nuovo sviluppo con la mondializzazione? Il mercato mondiale
esercita forse una ineluttabile pressione a favore della banalizzazione culturale e
istituzionale, della riduzione dei salari, della contrazione dello Stato sociale e
dellaumento degli orari di lavoro anziché della loro riduzione? Il nuovo sviluppo
deve difendersi dallaccusa di essere sognatore ed utopico, accusa che gli viene
rivolta dai liberisti, secondo i quali la deregulation generalizzata è la
modalità corretta per adeguarsi alla mondializzazione, ma anche dai fautori del
protezionismo che imputano laumento della disoccupazione alla liberalizzazione degli
scambi.
Il vincolo principale della mondializzazione, nella sua essenzialità, è quello di
obbligare il nostro apparato produttivo a ricomporsi ancora più rapidamente.
Lampliamento del mercato mondiale crea le condizioni affinché le nostre
produzioni siano maggiormente sottoposte a concorrenza, con grande vantaggio dei nostri
consumatori e che, parallelamente, i nostri produttori abbiano molte più occasioni di
produrre per lesterno: essi sono tanto più in condizione di poter approfittare di
queste opportunità tanto maggiore è la specializzazione che caratterizza i loro beni o
servizi ad alto valore aggiunto. La mondializzazione è un rischio per i paesi nei quali
predomina il primo fenomeno, ed è unopportunità per quei paesi dove invece è il
secondo a prevalere. Questo porta ad una ineluttabile sconfitta dellimmobilismo. La deregulation
può favorire liniziativa, attraverso la responsabilità individuale, ma non dà
risposta alla questione essenziale della riqualificazione permanente del capitale umano.
Il nuovo sviluppo si sforza di rendere sicura liniziativa, che diventa
loggetto stesso del contratto sociale, fornendole un consistente sostegno
collettivo, nel contesto di uno Stato sociale che sia controllato e al tempo stesso
rinnovato, fattore di valorizzazione di questo capitale umano. Da questo punto di vista,
nel lungo periodo questo nuovo sviluppo può risultare foriero di migliori risultati di
quanto non possa fare la deregulation in una logica meramente economica, a
condizione tuttavia che la sua attuazione avvenga con grande rigore.
Sarebbe anche un errore interpretativo ritenere che la mondializzazione distrugga
inesorabilmente le identità. In questo campo si passa da un estremo allaltro: dopo
aver coperto di gloria le esperienze dello sviluppo autocentrato, che si sono realizzate
tenendosi in disparte dal mercato mondiale (e che hanno quasi tutte fallito) oggi si tende
ad avere una visione troppo uniforme della mondializzazione. Eppure, è evidente che i
rapporti con il mercato e con il vincolo sociale non sono gli stessi in Asia, in America
Latina, negli Stati Uniti e in Europa, e che diverse sono anche le forme di
regolamentazione istituzionale. E non vi è alcun motivo perché la situazione si
modifichi. Questo non vuole dire che le identità siano stabili. Esse sono ovviamente
sagomate dalla mondializzazione e si debbono riorganizzare. E la riorganizzazione vincente
sembra essere quella che concilia identità e apertura: apertura per capire le regole del
gioco mondiale, adattarvisi, avere una buona dimestichezza con le culture che sottendono i
mercati nazionali, condizione indispensabile per poterli penetrare; identità per
sviluppare i propri modi di vivere e i propri valori locali, che costituiscono una
fortezza più efficace dei diritti doganali per contenere gli eccessi di importazioni
(ecco quindi limportanza del tempo scelto e delle attività di utilità sociale). Il
successo del Giappone nasce dalla sua capacità di conciliare identità e apertura. Sta a
noi ora costruire uno sviluppo veramente europeo!
Sarebbe in effetti nostro interesse riflettere tutti insieme, allinterno
dellUnione europea, sul tipo di sviluppo che desideriamo mettere in atto.
Comunque stiano le cose, questultimo è perfettamente compatibile con una buona
integrazione della Francia e dellEuropa nel mercato mondiale. Uno Stato
assistenziale forte, a condizione che sia controllato e adeguato alla situazione, può
costituire un atout sul piano della competitività, e questo vale anche per il
salario minimo, soprattutto se gli oneri sociali vengono ridistribuiti. Per quanto attiene
al tempo scelto e alla settimana di quattro giorni, fattori di nuove modalità di vita,
essi non pesano sulla crescita purché vengano remunerati correttamente (comprese le
incentivazioni collettive destinate a compensare il costo del disoccupato evitato); accade
anzi il contrario, dato che sul mercato del lavoro si rende disponibile della manodopera
di sostituzione. La mondializzazione non può in nessun caso legittimare il rifiuto ad
aprire la questione del diritto al tempo scelto nelle società post-industriali.

Modello nazionale o modello europeo?
Parimenti a quanto accade per la mondializzazione, né lUnione europea né la
moneta unica hanno motivo di opporsi alla ricerca di un nuovo sviluppo. Ma questa
affermazione deve essere intesa in due modi:
- da un lato, lEuropa non "spegnerà" la diversità dei sistemi
socioculturali, avverrà anzi il contrario . Ogni paese ha diritto alle proprie
specificità e lEuropa deve sapersi arricchire delle proprie differenze. I sistemi
educativi, i sistemi sanitari e previdenziali non sono gli stessi; il livello delle
remunerazioni e delle prestazioni, le loro modalità di finanziamento, debbono tenere
conto delle evoluzioni economiche che non sono e non saranno sempre parallele, mentre i
meccanismi di negoziazione collettiva non hanno la stessa portata da un paese
allaltro.
- Eppure, lEuropa ha anche bisogno di unità nel campo socioeconomico, e il
principio di sussidiarietà non deve costituire un alibi. Deve essere trovato un sottile
equilibrio tra omogeneità e diversità. In questa prospettiva, avremmo interesse a
lavorare sulle finalità dellUnione europea. Quale Europa vogliamo fare insieme? A
questo stadio della sua costruzione, lEuropa ha bisogno di precisare meglio la
propria identità e lidentità oggi si definisce sia con quello che si progetta per
il futuro che con quello che il passato ha fatto di noi. Lidentità è una volontà.
Per quanto lodevole possa essere, possiamo forse dire che lobiettivo di
"promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e duraturo" (articolo B
dellattuale Trattato) sia oggi sufficiente?
Oggi laspettativa è più forte, più ampia, perché tutti capiscono chiaramente
che il progresso economico non opera più meccanicamente a favore di tutti e che non può
quindi essere considerato un fine in se stesso. LUnione europea deve senza dubbio
trasformarsi da istituzione funzionale volta verso leconomia a comunità politica
volta verso il cittadino e verso il suo potenziale sviluppo personale, che è intimamente
connesso a quello dei suoi simili. Riportare leconomia al servizio degli uomini,
generare una modalità di sviluppo centrato sulla persona, questa è, di fronte alla deregulation
liberista, di fronte al crescente rischio di una modernità disumana, di fronte
allimmobilismo e al declino, la vocazione dellEuropa.
Ma questo presuppone che vengano definiti i principi comuni, gli obiettivi che insieme
si vogliono perseguire, in un contesto unificante. Nello specifico, questo presuppone che
vengano precisati i diritti e i doveri fondamentali che lUnione e i singoli Stati
sono tenuti a rispettare nel momento in cui agiscono sotto legida del diritto
comunitario. A questo proposito, sarebbe opportuno prendere sul serio la proposta
formulata dal rapporto del Comitato dei Saggi istituito dalla Commissione europea, la
proposta cioè di dare vita, nel corso dei prossimi anni, ad un grande dibattito
democratico in tutti i paesi dellUnione in merito ai diritti e ai doveri
fondamentali.
In questo modo viene conferito alla Commissione e al Consiglio dei Ministri
dellUnione un ruolo di coordinamento e di animazione in merito alle riflessioni
prospettiche sui problemi socioeconomici dellUnione: fare circolare
linformazione, diffondere le esperienze, effettuare delle valutazioni, stimolare la
riflessione e lazione degli Stati, incentivarli a collaborare, predisporre
finanziamenti aggiuntivi per nuove esperienze, questi sono alcuni dei mezzi utili per far
vivere lEuropa e forgiare obiettivi comuni che gli Stati tradurranno poi nel loro
specifico contesto. Al principio di sussidiarietà va aggiunto il principio di
proporzionalità, secondo cui lintensità dellintervento comunitario deve
essere proporzionale allobiettivo che ci si pone, e questo porta a dare nuovo valore
alle attività di coordinamento e di stimolo rispetto agli interventi di natura
legislativa che monopolizzano eccessivamente lattenzione.
Il contributo delle risorse etiche e spirituali alla definizione di un nuovo sviluppo
Qualsiasi forma assuma, ogni tipo di sviluppo implica una certa concentrazione di
energie morali e spirituali che luomo ha dentro di sé e che può tradire o
sublimare. Max Weber ha insistito sulle origini puritane del capitalismo e ha analizzato
il rapporto che le diverse religioni intrattengono con leconomia. Fu questa senza
dubbio la grande omissione del marxismo, invischiato nella sua visione materialistica, di
non aver potuto cioè precisare il posto dell'etica nella realizzazione del comunismo, e
questo spiega il suo fallimento storico, che tra laltro è stato probabilmente
esagerato. In ogni caso, un nuovo sviluppo non si concepisce senza unetica e una
spiritualità, per quanto difficili siano esse da definire e concettualizzare.
Purtroppo, il contesto entro il quale opera il nostro pensiero poco si presta a
questattività. Oscilliamo tra un idealismo che assimila in modo fallace progresso
economico e realizzazione del paradiso in terra da un lato e, dallaltro, una
denuncia dell"orrore economico" in nome della morale, una denuncia che
tuttavia non sfocia su niente. La saggezza, così come lesperienza storica, porta ad
acquisire una visione più sfumata: la contraddizione tra lUomo e il Mondo non può
essere riassorbita, ma le forme e lampiezza di questa contraddizione variano, e la
funzione del progresso tecnico, ma anche quella della morale, è di attenuarla o di
renderla più umana. In sintesi, la morale è una parte del Tutto sociale: essa non può
inglobarlo, ricoprirlo, in quanto esso ha la sua opacità, gli uomini sono quello che
sono, se presi collettivamente; ma la morale ha anche la sua autonomia, nasce da un altro
percorso, e non può sostituirsi al qui ed ora; daltro canto, il Tutto non può fare
a meno della morale, in quanto ha bisogno di essere animato, di essere messo in tensione.
Questa visione delle cose, che vale solo per il mondo dellazione, infastidisce sia i
sostenitori della morale, che non amano vedersi ridotti alla condizione di una parte di un
Tutto, che i fautori di un Mondo che sarebbe solo utilitaristico e materiale e non
includerebbe né il dono, né limprevisto, né la grazia, né la poesia, qualunque
ne sia lorigine. Eppure è nel riconoscere questa complementarità antagonista che
è possibile evitare che la morale degeneri in volontà di potere o che il mondo diventi
definitivamente volgare. La possibilità di recuperare il posto della morale in politica
(in una politica efficace) e la funzione della spiritualità nel dare vita ad un nuovo
sviluppo passa attraverso la necessità di lasciare spazio a queste due complementarità.
Qui definiremo la spiritualità come quellelemento misterioso e disinteressato
che ci fa rifiutare ciò che è disumano e ci porta a tentare di trascendere lumano.
E tra i due versanti di questa ampia definizione che un nuovo sviluppo dovrebbe
farsi strada e trovare il proprio significato. Non si tratta quindi di una spiritualità
pre-definita o stabilita, bensì di una spiritualità da elaborare e costruire, con un
costante sforzo di iniziativa, di cooperazione con gli altri, a volte di conflitto, spesso
di invenzione di adeguate regole del gioco . Possiamo tuttavia precisare queste sue tre
grandi funzioni, reciprocamente indissolubili:
- una funzione di resistenza: allesclusione, ma anche allo sfruttamento;
alla mancanza di significato e alla schizofrenia che ci porta a comportarci come fossimo
vincolati a sistemi di cui siamo servi, contraddicendo quello che siamo e vogliamo essere
in quanto soggetti attivi; resistenza al pensiero semplificato che insulta la verità,
alla compiacenza nella complessità che invece la dissolve; alla scelta di seppellire la
bellezza sotto la cultura di massa e sotto lo sviluppo tecnologico incontrollato;
- una funzione di regolazione: essa completa necessariamente la precedente e le
impedisce di degenerare in immobilismo; ha lo scopo di mettere in luce le regole del gioco
che consentono, in una situazione ormai cambiata, di stimolare e proteggere meglio le
persone. In una società complessa, dove le soluzioni non sono automatiche, la creazione
di spazi di dialogo (dove unetica della comunicazione può aiutare ad acquisire una
buona consapevolezza delle nostre contraddizioni per tentare di eliminarle) costituisce
una prima condizione per lesercizio di questa funzione. Diventa quindi possibile
lavorare sulla legislazione e sulle istituzioni, oppure aprire trattative, per fare in
modo che i compromessi sociali vadano a beneficio di questo sviluppo centrato sulla
realizzazione di ogni singola persona;
- una funzione di utopia: anche questa funzione è ovviamente collegata alla
precedente la quale, dato che tende alluniversalità, è più di tutte le altre
sottoposta alla pesantezza dei meccanismi e dei comportamenti collettivi che evolvono solo
lentamente e allinterno di margini relativamente stretti. La funzione di regolazione
non può esaurire il desiderio legittimo di differenza, di intensità, di radicalità, di
cambiamento, di "vivere e lavorare diversamente", di trasformare il mondo in un
Regno, un desiderio presente dentro ciascuno di noi e che si scontra con tanta violenza
alla realtà dei fatti. Ciò che conta in questo settore è non sbagliare campo: il campo
dellutopia è quello degli spazi micro-sociali, in quanto lutopia presuppone
la libera adesione, non lobbligatorietà. Superare questo contesto, significa
muoversi in un contesto di totalitarismo. Ma questi spazi micro-sociali in cui si
realizzano delle forme di vita alternativa sono anche il sale della terra: essi esprimono
delle forme di resistenza inedite e originali, suscettibili di arricchire il complesso
delle regole o di farne emergere delle nuove Il carattere limitativo del campo
dellutopia, il suo necessario distacco nei confronti delle logiche di potenza e di
potere quello che il marxismo non ha visto non riducono affatto la sua
importanza qualitativa, che è essenziale e che deve essere riconosciuta come tale.
Lobiettivo che deve porsi linsieme delle regole è di lasciarle maggiore
spazio, e quelli che occupano questo potere dovrebbero sentirsene i Ministri nel senso
etimologico del termine e daltro canto larricchimento generale della società,
la vittoria su situazioni di penuria; il controllo tecnologico delle condizioni della
sopravvivenza dovrebbero facilitare la sua crescita. Da un certo punto di vista, per
quanto attiene allo sviluppo personale ognuno diventa uno spazio utopico da costruire.
Lumanesimo integrale, per riprendere una vecchia formula, consiste
nellunire queste tre funzioni complementari, obbligarle ad incontrarsi e a
completarsi. Non è cosa automatica, perché la tendenza naturale è alla divergenza, non
fosse altro perché le qualità richieste non sono le stesse e le energie disponibili
limitate. La resistenza è spesso originata da un riflesso e tende a costruirsi con una
immediatezza poco ponderata. Lelaborazione di regole è un lavoro lento e paziente,
fatto di andirivieni, di compromessi defatiganti, il cui risultato finale si evidenzia
solo nel tempo e poco soddisfa uno spirito esigente. Lutopia si fonda
sullentusiasmo e ha tuttavia bisogno di saggezza regolatrice. In generale, gli
individui e le organizzazioni si specializzano nelluna o nellaltra di queste
funzioni, a scapito delle altre due, a volte stabiliscono dei legami tra due di esse, ma
lavorano raramente sulle tre in contemporanea: accade così che la resistenza si sposi
facilmente con lutopia (e viceversa), ma attivi un cortocircuito nei confronti della
funzione regolatrice, lutopia crede di svolgere una funzione regolatrice, la
funzione regolatrice non si appoggia sufficientemente alla resistenza e non si apre
abbastanza allutopia, etc. In questa prospettiva, lemergere di un nuovo
sviluppo implica un arricchimento delle nostre culture politiche e spirituali che potrebbe
essere positivo per linsieme della società. E anche certamente lunica
soluzione per andare avanti insieme.
Cambiamento graduale o modello alternativo?
Questo nuovo sviluppo è destinato ad emergere progressivamente, al termine di una
fase di correzioni e riequilibri successivi, oppure deve essere presentato come un modello
alternativo, ben definito, che si propone in forma di rottura rispetto allattuale
funzionamento delleconomia?
Non è possibile rispondere con un sì o con un no a questa domanda che rispecchia
forse una cultura politica ancora troppo contrassegnata dalla caratteristica binaria dei
nostri dibattiti. Tutto dipende dallorizzonte nel quale ci si pone, dal contenuto
che si dà alla parola "alternativo". Il nuovo sviluppo non è un modello
alternativo, nel senso che si colloca allinterno della società di mercato, così
come è, e alla quale cerca di portare alcuni correttivi, e non propone una società del
tutto diversa, costruita su un principio del tutto diverso, come hanno fatto invece, ad
esempio, la collettivizzazione dei mezzi di produzione o leconomia monastica.
Questo modello passa attraverso la progressiva attuazione di un nuovo insieme di
regole, unoperazione che ha necessariamente tempi lunghi, e che,
conseguentemente, prevede ladozione di una prassi graduale. Lo scopo è tuttavia
quello di giungere ad un nuovo compromesso sociale che ristabilisca la coesione sociale,
rendendo effettivo per tutti il diritto al lavoro in un tempo scelto, e che consenta a
tutti di attivarsi per il proprio sviluppo in condizioni di sufficiente uguaglianza e
dignità. Rispetto alla società dellesclusione o alla società della deregulation,
questo compromesso sociale costituisce unalternativa politica reale, anche se non si
tratta, nel vero senso del termine, di un modello alternativo o rivoluzionario.
Tuttavia, stiamo parlando di un compromesso che apre un varco su alcune forme di
radicalità che possono invece corrispondere ad un sistema alternativo nel senso forte che
abbiamo or ora descritto. In effetti, i correttivi da apportare allattuale gioco
economico e sociale non si propongono solo di ridurre gli effetti negativi del mercato;
essi hanno anche lobiettivo di ridimensionare il peso che il mercato ha nella vita
sociale, per lasciare maggiore spazio alla ricerca di modi di vita più autentici, allo
scambio sociale, al diritto di vivere e di lavorare in un altro modo. Ma si tratta di
scelte volontarie, non imposte dalla politica. Questultima può valorizzarle e
incentivarle, quindi contribuire alla loro estensione, senza tuttavia imporle. Maggiore
sarà il numero delle persone che effettuano una scelta in questa direzione, più
alternativo diventerà il funzionamento sociale, e i criteri utilizzati per misurare la
crescita passeranno quindi sempre più in secondo piano.
(Traduzione di Silvana Mazzoni)