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Un mondo di paguri senza guscio

Giancarlo Bosetti

 

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Questo articolo è apparso sul numero 56 di Reset

Il problema del socialismo europeo è abbastanza semplice da enunciarsi: i partiti che corrispondono piú o meno alla definizione di socialisti, socialdemocratici o laburisti – lo abbiamo visto nel numero scorso di "Reset" "non hanno la teoria della loro pratica"; sono stati scelti dagli elettori per governare in quasi tutta Europa ma "non sanno" esattamente quello che stanno facendo; nessuno di loro ha una compiuta visione della propria "mission". Che la chiamino "terza via", come piace soprattutto agli inglesi, nuova socialdemocrazia, sinistra plurale, centrosinistra, nuovo riformismo, Ulivo, ex Ulivo, Ulivo 2 secondo i gusti locali e personali, oppure piú vagamente "centrosinistra", tutti alludono a qualcosa di comprensibile – le coalizioni al governo alternative alle varie destre europee – ma anche a qualcosa di piuttosto vago se quella che cerchiamo è invece una sintesi politica. Ma c’è davvero bisogno di una "teoria"? O se ne può fare a meno? Non si potrebbe lasciare il lavoro "teoretico" ai filosofi? E la contemplazione delle "visioni" agli artisti?

Il vecchio Hans Georg Gadamer, che di filosofia se ne intende, raccomanda sempre di tenere i filosofi lontani dalla politica senza abboccare al luogo comune attribuito al suo amato Platone: l’idea di mettere i filosofi al governo. Questa non era altro che una battuta satirica, era un modo molto elegante e un pò mascherato per dire che in quel momento c’erano al governo (ad Atene) dei cretini. Ora questo non sembra il caso dei vari dirigenti socialdemocratici, leader e premier del centrosinistra in Europa. Molti di loro solo dieci anni fa si aggiravano tristi e pessimisti senza vedere la fine della loro disperazione: il mondo era nelle mani dei governi neoliberali (chi piú chi meno, l’Italia faceva un pò storia a sè) e non si capiva come si potesse arginare l’egemonia thatcheriana, mentre oggi sono quasi tutti allegramente al governo.

Di strada indubbiamente ne hanno fatta, eppure la partita non è chiaramente risolta in una direzione. Sono arrivati alla meta facendo molte, e anche inevitabili, concessioni alla cultura economica della supply-side theory, cioè alla destra, ma sono anche molto inquieti perchè sentono crescere un problema: la fiducia che li ha portati alla guida dei loro paesi si sta erodendo, sta diminuendo a vista d’occhio, soprattutto tra i giovani. Le elezioni europee non saranno state prese abbastanza sul serio dai votanti, ma lo spaventoso astensionismo è pur sempre un indice di distacco dalla politica. E poi ci sono le elezioni parziali in Germania, come in Italia (vedi la storica sconfitta della sinistra a Bologna) che stanno a dire di una diffcoltà crescente del centrosinistra.

Nel fondo degli umori dei cittadini europei, nel cuore dei meccanismi che fabbricano il consenso o il dissenso per chi governa, si sta agitando qualcosa che i leader politici non riescono ad afferrare. Questa difficoltà ha sicuramente a che fare con il bisogno di una "teoria di quello che si sta facendo". E, teoria o non teoria, bisognerà mettere a fuoco meglio sia le domande che si rivolgono alla politica sia le risposte che la politica deve tentare di organizzare. Compiti nient’affatto semplici e lavoro appena all’inizio. Importante è che i politici ci mettano della buona volontà e un impegno personale autentico, evitando l’illusione che basti qualche ritocco all’agenda o alla loro immagine ad opera dei soliti spin-doctor.

A complicare questa ricerca c’è il fatto che la sinistra europea deve fare un pò di "motori indietro" pure rispetto ad alcune giuste e nuove abitudini che stava appena imparando. Aveva insomma da pochi anni cominciato a correggere un grave difetto e adesso dovrebbe invece "correggere la correzione". Di che si tratta? Di questo: la critica liberale di lunga data al socialismo in generale, anche a quello democratico occidentale, l’ha avuta vinta sul fatto che la sinistra, non solo quella comunista, era troppo statalista, troppo pretenziosa e onerosa nei compiti attribuiti allo Stato, era troppo interventista e paternalista. Quella vecchia sinistra dei partiti di massa adorava e praticava una politica organizzata capace di coinvolgere a fondo la vita dei militanti, di conferire loro identità e senso. La politica militante e la sua diffusione capillare volevano anche dire che sapevi qual era il tuo posto nel mondo e conteneva anche una idea abbastanza definita di che cosa è una vita buona, degna di essere vissuta e dotata di una direzione e di un significato.

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Questa concezione del mondo ed il mondo di quella concezione (con la sua economia, industria, classi ed ideologia) sono poi definitivamente tramontati. La sinistra dei fu-partiti di massa ha imparato a recitare il mea culpa e a fare professione di fede liberale, ovvero a riconoscere che alla politica e al suo perimetro vanno posti dei limiti molto piú ristretti: non si chiede all’organizzazione politica o al governo di immischiarsi nella vita privata dei cittadini, di interferire con le loro scelte di vita, con i loro gusti, con i modelli culturali e con i progetti che ciascun individuo ha in testa per se stesso e i suoi cari. E il senso della vita – si è giustamente appreso – ciascuno se lo vada a cercare per i fatti suoi, in parrocchia, in famiglia, nei Casinò, in curva sud, in biblioteca, dove gli pare. Non riguarda nè lo Stato nè i partiti. Benissimo.

Ora, però, quel che sta accadendo è un fenomeno di senso contrario rispetto a questo allineamento delle sinistre europee sul modello liberale, rispetto ad un sobrio e avvertito astensionismo nelle questioni che riguardano quale sia la vita buona e dove stia di casa la felicità. Un fenomeno che è opposto alla tendenza liberale a mettere fuori gioco nel discorso pubblico le domande di senso (il senso stesso della vita politica, delle scelte economiche, delle possibilità offerte dalla tecnologia, della crescita, delle compatibilità ambientali, degli stili di consumo e di vita). La politica si sente rivolgere delle domande che sono, per l’appunto "di senso", e, avendo appena dismesso il vizio di occuparsene troppo, o non le sente neppure o non sa che cosa rispondere.

Che strana deviazione dal percorso sul quale ci eravamo appena intesi! Accade persino che in qualche seminario sulla "terza via" e sulla direzione di marcia della gauche plurielle si parli di problemi della "spiritualità". Che cosa c’è di piú lontano dal consueto cinismo dei dibattiti politici europei sulle quote-latte e sui parametri di spesa pubblica consentita? E che cosa di piú lontano, mettiamo, dall’inesausta problematica delle riforme istituzionali italiane che, pur cosi’ corposa e reale, sembra fatta apposta per provocare ripugnanza presso i non professionisti della politica?

Il documento Blair-Schroeder, che "Reset" ha pubblicato nel numero scorso, appartiene ancora in gran parte all’onda lunga delle concessioni che il centrosinistra ha dovuto (e ancora dovrà, probabilmente) fare alla cultura neoliberale, mentre qui stiamo cercando di individuare, nel momento della sua formazione, una nuova onda che muove in una direzione diversa e opposta: quella del contenuto umano, umanistico, della politica e dell’economia. Una direzione lungo la quale abbiamo piú probabilità di trovare le ispirazioni capaci di rigenerare l’identità della sinistra europea e di risolvere il mistero di quel distacco apparentemente irrimediabile tra i giovani e la politica: non si tratta solo di restituire l’onore del primato a problemi come quello del lavoro – cosa che una leadership politica è in grado di fare se, in primo luogo, trova le ragioni "umanistiche" per crederci – ma di cercare di sintonizzarsi su una lunghezza d’onda, quella delle incertezze, debolezze e paure, sulla quale comunicano, tra loro, generazioni che dalla politica si sono congedate per irrilevanza di essa per loro. È la lunghezza d’onda delle "domande di senso", delle ansie provocate dal doppio disincanto del distacco dalla religione e dalla politica vissuta religiosamente; è il risultato, insieme, dei guasti di una economia che produce disoccupazione ma anche di un lungo ciclo di benessere, individualismo, sviluppo smisurato dei consumi; è il risultato anche del tracollo della cultura marxista.

C’è un vuoto etico che è il prodotto di un’azione multipla e combinata: del capitalismo, dei suoi maggiori critici di parte materialista, vale a dire i marxisti, e di un individualismo che ha incrinato quelle che Giddens chiama le shell-institutions, le istituzioni conchiglia dentro le quali gli individui fino a pochi decenni fa imparavano a piantare le loro radici nel mondo, la famiglia, la fabbrica, il villaggio, la comunità, il partito, la parrocchia. Erano "conchiglie" anche soffocanti ma con una forte funzione anti-stress: sapevi chi eri dal principio alla fine. Adesso sei solo e devi ridisegnare, strada facendo, piú volte nel corso di una vita te stesso e le tue "conchiglie". Come un paguro tirato fuori dal suo guscio ad opera di un bambino cattivo. E nel nostro discorso il bambino cattivo è la modernizzazione capitalistica, è il lungo periodo di libertà, benessere, individualismo che ha portato con sè. Cose buone a cui nessuno, salvo qualche rigido conservatore, vuole rinunciare, ma le cui conseguenze dobbiamo guardare in faccia.

Ma allora è davvero una bella pretesa, sia pure elegantemente liberale, quella di dire che la politica con tutto questo non c’entra! Che ogni discorso sulla felicità e l’autorealizzazione degli individui va lasciato fuori dalla pubblica arena! Come si fa a sostenere questa tesi quando l’origine di tanti nuovi bisogni di natura addirittura spirituale, di tante richieste di rassicurazione materiale e psicologica, sta proprio nell’economia e nella politica dei decenni passati? Si può negare, poniamo, che ci sia un rapporto tra le nostre ansie circa la qualità dei cibi e lo sviluppo industriale con le scarse norme di garanzia che sono nelle mani dei legislatori? Oppure tra le condizioni durissime in cui vivono le famiglie a doppia carriera, nonostante il benessere e i redditi elevati, e la mancanza di servizi sociali? Ma possiamo continuare a portarci dietro una idea di sviluppo che escluda la maggior parte del suo contenuto umano? Non è giunto il momento di modificare in radice la natura del dibattito economico mettendo in testa a tutte le preoccupazioni il compito principale di garantirci una vita piú buona?

Tento un sintetico elenco delle ragioni che spingono per reimmetere - anche al costo di irritare qualche sincero liberale - il tema della bontà della vita nostra e dei nostri concittadini nell’agenda pubblica (al punto che dobbiamo entrare nella logica di non scandalizzarci se uno di questi giorni un partito, o un governo? o un comune?, decida di organizzare un pubblico convegno sul tema "la felicità dei francesi", o "degli italiani", o "dei romani", oppure: "Perchè gli studenti italiani sono tanto incazzati?"). Le tendenze che costringono il discorso pubblico a occuparsi della qualità umana della esistenza dei concittadini anche al di là del reddito, della pensione e dei consueti standard della sicurezza e dei servizi (che siamo abituati a considerare comunque di pertinenza della politica) sono le seguenti:

a)La frammentazione della vita sociale che indebolisce i legami comunitari su scala locale: il paese, il quartiere, il vicinato

b)L’indebolimento della istituzione-conchiglia per eccellenza che è la famiglia, la sua sostituzione con l’istituzione-coppia, che è piú fragile e costringe gli individui a ricollocare il baricentro dell’esistenza sul proprio io

c)Lo sfondo di significati e di valori metafisici che è implicato dalle scelte politiche che interagiscono con l’ambiente e la natura

d)Lo sfondo ricchissimo di valori e di senso che è implicato nelle scelte e negli stili di consumo

e)La crescita di fenomeni di alienazione, esclusione, dipendenza da droghe, comportamenti irrazionali e coatti che hanno radici sociali

f)La domanda crescente, piú o meno esplicita e controllata, di spiritualità che è diretta conseguenza della crisi delle ideologie politiche, della secolarizzazione e dell’edonismo di massa

g)La domanda di attenzione per i valori umani, per la salute psichica, per l’equilibrio affettivo che nascono dalla frammentazione e anonimità della vita metropolitana

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Qui l’elenco potrebbe proseguire e diventare una narrazione delle condizioni in cui vivono i nostri concittadini europei. Si tratta di capire come le dosi di ansia, in condizioni di libertà e benessere, siano però enormemente piú grandi rispetto a un’epoca, non lontana, in cui le istituzioni-conchiglia comprimevano l’individuo, riducevano le sue possibilità di percorrere ampie traiettorie sociali, dal basso in alto, ma attenuavano anche l’impatto di una sconfitta professionale, di una instabilità affettiva, di un lutto. Un individuo fuori della conchiglia ha molto maggiori libertà di movimento, ma è esposto a un rischio molto piú elevato: in ogni singola prova che ha di fronte entra in gioco una parte molto piú grande della sua personalità; ogni battaglia che affronta assomiglia molto di piú a una battaglia per la vita o per la morte.

Ci sono dunque le condizioni perchè si possa parlare di ritorno dell’etica nella vita pubblica non solo come "ancilla" della politica , nella veste tecnica di ausiliaria che aiuta a sbrogliare le grane provocate dalla biogenetica, ma come protagonista della discussione sull’ispirazione generale di una politica, sul senso generale, sull’impatto umano di una politica finanziaria, sulla affidabilità stessa di un governo. Si capisce meglio allora perchè qualcuno possa parlare legittimamente di un processo di rimoralizzazione della vita politica delle società avanzate. E si capisce anche come lo stile di vita dei governanti e dei leader assuma una importanza molto maggiore che in passato, dal momento che i valori implicati da un modo di consumare, vestire, spendere il tempo libero, diventano direttamente comunicazione politica, informano sull’idea di sviluppo che quel leader ha in testa: dove va in vacanza? Usa i sacchetti di plastica o quelli di carta? Mangia agrobiologico o disprezza le abitudini ecologiche? Che ginnastica-filosofia pratica: yoga, capoera, aikido? O nessuna?

Si capisce che il vecchio politico tangentaro a questo punto sembra venire da un’altra era. E che il livello di esemplarità che si dovrebbe offrire alla platea è molto al di là del prerequisito essenziale di non essere corrotto (sempre molto apprezzato), è molto piú sofisticato. E sempre di piú lo sarà, se il politico aspira ad incrementare la sua popolarità in un mondo che gli chiederà prestazioni sempre piú impegnative sul piano spirituale. Già una maggiore concentrazione dei leader politici sulla retorica, come arte della persuasione che fa da mediatrice tra il potere e il consenso, sarebbe il segno di un avvicinamento ai bisogni di senso dei suoi concittadini; sarebbe un segno di attenzione, l’indizio di una priorità. Come una buona azienda riesce a far sentire il cliente come centro e fine delle attività della ditta, cosi’ il buon politico potrebbe far capire al cittadino, anche con la retorica orientata ai suoi bisogni e non solo alla mediazione degli interessi, che è lui l’obiettivo finale di tutta l’azione pubblica.

Una certa oscurità e confusione teorica circa la natura dei progetti delle varie formazioni europee di centrosinistra è stata una condizione forzata, determinata da una fase di transizione, ma non può essere ulteriormente confusa con lo standard ideale di una politica vincente e persuasiva.

La discussione per la quale qui "Reset" fornisce materiali di avvio non si può evitare. Il fatto che alcuni temi qui sviluppati suonino cosi’ lontani ed estranei dal dibattito politico nazionale non è un segno incoraggiante. D’altra parte la difficoltà di individuare valori guida, che non siano la rituale ripetizione di formule sulla "equità" e sulla "parità di opportunità", non è soltanto italiana. È necessario accettare che la discussione sui valori, sulla metafisica implicita negli atti della vita pubblica pervada la discussione politica, che parole nuove o parole vecchie rimodellate ci aiutino a pensare una politica meno distante dalla nostra condizione umana e dalla nostra aspirazione, di individui moderni e liberi, ad essere felici.

Ma come è possibile espungere la spiritualità dalla vita politica? Ha ragione Jean Baptiste de Foucauld: con quali forze ti puoi opporre all’esclusione sociale, con quali risorse puoi combattere contro la crescita degli emarginati, con quali forze puoi batterti per la bellezza del paesaggio? Con quali, se non hai il coraggio di fare appello alle risorse – non saprei come altrimenti chiamarle – dello spirito? Criteri per una valutazione generale di un programma di governo non possono fare a meno di una valutazione spirituale, umanistica, extraeconomica. Non c’è dubbio. L’impasse del consenso dei governi di centrosinistra – quello italiano compreso, naturalmente – non si può superare soltanto attraverso la mediazione degli interessi. Anzi, possiamo subito dare per certo che la mediazione degli interessi non produrrà mai l’ethos di cui un governo di centrosinistra ha bisogno per dare vita a un riformismo efficace, per dar luogo a uno sviluppo armonioso e coerente con tutti i bisogni di cui abbiamo detto.

La politica dei prossimi anni avrà di sicuro necessità assoluta di discutere non solo di pensioni, ma anche dei valori che fondano la qualità della vita, la nuova natura dei legami famigliari, l’incidenza dei comportamenti schizofrenici e coatti, l’assurdità di dinamiche professionali che distruggono il tessuto sociale anche in caso di successo, la distribuzione equilibrata dei tempi tra lavoro, meditazione, attività volontarie, riposo, la frustrazione del consumatore nevrotico e sprecone ed i suoi costi per la biosfera. Il fatto che sempre piú numerosi nostri concittadini del mondo ricco e sviluppato si trovino a vivere una vita di cui non riescono piú a percepire il senso dovrà diventare materia di discussione politica. Neanche allora saranno i filosofi ad andare al governo, ma credo proprio che i politici senza attitudine per questo genere di "metafisica" dovranno presto lasciare il posto ad altri, piú aggiornati, piú adatti ai bisogni dei loro contemporanei, piú utili.

 

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