Il problema del socialismo europeo è
abbastanza semplice da enunciarsi: i partiti che corrispondono piú o meno alla
definizione di socialisti, socialdemocratici o laburisti lo abbiamo visto nel
numero scorso di "Reset" "non hanno la teoria della loro pratica";
sono stati scelti dagli elettori per governare in quasi tutta Europa ma "non
sanno" esattamente quello che stanno facendo; nessuno di loro ha una compiuta visione
della propria "mission". Che la chiamino "terza via", come piace
soprattutto agli inglesi, nuova socialdemocrazia, sinistra plurale, centrosinistra, nuovo
riformismo, Ulivo, ex Ulivo, Ulivo 2 secondo i gusti locali e personali, oppure piú
vagamente "centrosinistra", tutti alludono a qualcosa di comprensibile le
coalizioni al governo alternative alle varie destre europee ma anche a qualcosa di
piuttosto vago se quella che cerchiamo è invece una sintesi politica. Ma cè
davvero bisogno di una "teoria"? O se ne può fare a meno? Non si potrebbe
lasciare il lavoro "teoretico" ai filosofi? E la contemplazione delle
"visioni" agli artisti?
Il vecchio Hans Georg Gadamer, che di filosofia se ne intende, raccomanda sempre di
tenere i filosofi lontani dalla politica senza abboccare al luogo comune attribuito al suo
amato Platone: lidea di mettere i filosofi al governo. Questa non era altro che una
battuta satirica, era un modo molto elegante e un pò mascherato per dire che in quel
momento cerano al governo (ad Atene) dei cretini. Ora questo non sembra il caso dei
vari dirigenti socialdemocratici, leader e premier del centrosinistra in Europa. Molti di
loro solo dieci anni fa si aggiravano tristi e pessimisti senza vedere la fine della loro
disperazione: il mondo era nelle mani dei governi neoliberali (chi piú chi meno,
lItalia faceva un pò storia a sè) e non si capiva come si potesse arginare
legemonia thatcheriana, mentre oggi sono quasi tutti allegramente al governo.
Di strada indubbiamente ne hanno fatta, eppure la partita non è chiaramente risolta in
una direzione. Sono arrivati alla meta facendo molte, e anche inevitabili, concessioni
alla cultura economica della supply-side theory, cioè alla destra, ma sono anche
molto inquieti perchè sentono crescere un problema: la fiducia che li ha portati alla
guida dei loro paesi si sta erodendo, sta diminuendo a vista docchio, soprattutto
tra i giovani. Le elezioni europee non saranno state prese abbastanza sul serio dai
votanti, ma lo spaventoso astensionismo è pur sempre un indice di distacco dalla
politica. E poi ci sono le elezioni parziali in Germania, come in Italia (vedi la storica
sconfitta della sinistra a Bologna) che stanno a dire di una diffcoltà crescente del
centrosinistra.
Nel fondo degli umori dei cittadini europei, nel cuore dei meccanismi che fabbricano il
consenso o il dissenso per chi governa, si sta agitando qualcosa che i leader politici non
riescono ad afferrare. Questa difficoltà ha sicuramente a che fare con il bisogno di una
"teoria di quello che si sta facendo". E, teoria o non teoria, bisognerà
mettere a fuoco meglio sia le domande che si rivolgono alla politica sia le risposte che
la politica deve tentare di organizzare. Compiti nientaffatto semplici e lavoro
appena allinizio. Importante è che i politici ci mettano della buona volontà e un
impegno personale autentico, evitando lillusione che basti qualche ritocco
allagenda o alla loro immagine ad opera dei soliti spin-doctor.
A complicare questa ricerca cè il fatto che la sinistra europea deve fare un pò
di "motori indietro" pure rispetto ad alcune giuste e nuove abitudini che stava
appena imparando. Aveva insomma da pochi anni cominciato a correggere un grave difetto e
adesso dovrebbe invece "correggere la correzione". Di che si tratta? Di questo:
la critica liberale di lunga data al socialismo in generale, anche a quello democratico
occidentale, lha avuta vinta sul fatto che la sinistra, non solo quella comunista,
era troppo statalista, troppo pretenziosa e onerosa nei compiti attribuiti allo Stato, era
troppo interventista e paternalista. Quella vecchia sinistra dei partiti di massa adorava
e praticava una politica organizzata capace di coinvolgere a fondo la vita dei militanti,
di conferire loro identità e senso. La politica militante e la sua diffusione capillare
volevano anche dire che sapevi qual era il tuo posto nel mondo e conteneva anche una idea
abbastanza definita di che cosa è una vita buona, degna di essere vissuta e dotata di una
direzione e di un significato.

Questa concezione del mondo ed il mondo di quella concezione (con la sua economia,
industria, classi ed ideologia) sono poi definitivamente tramontati. La sinistra dei
fu-partiti di massa ha imparato a recitare il mea culpa e a fare professione di fede
liberale, ovvero a riconoscere che alla politica e al suo perimetro vanno posti dei limiti
molto piú ristretti: non si chiede allorganizzazione politica o al governo di
immischiarsi nella vita privata dei cittadini, di interferire con le loro scelte di vita,
con i loro gusti, con i modelli culturali e con i progetti che ciascun individuo ha in
testa per se stesso e i suoi cari. E il senso della vita si è giustamente appreso
ciascuno se lo vada a cercare per i fatti suoi, in parrocchia, in famiglia, nei
Casinò, in curva sud, in biblioteca, dove gli pare. Non riguarda nè lo Stato nè i
partiti. Benissimo.
Ora, però, quel che sta accadendo è un fenomeno di senso contrario rispetto a questo
allineamento delle sinistre europee sul modello liberale, rispetto ad un sobrio e
avvertito astensionismo nelle questioni che riguardano quale sia la vita buona e dove stia
di casa la felicità. Un fenomeno che è opposto alla tendenza liberale a mettere fuori
gioco nel discorso pubblico le domande di senso (il senso stesso della vita politica,
delle scelte economiche, delle possibilità offerte dalla tecnologia, della crescita,
delle compatibilità ambientali, degli stili di consumo e di vita). La politica si
sente rivolgere delle domande che sono, per lappunto "di senso", e, avendo
appena dismesso il vizio di occuparsene troppo, o non le sente neppure o non sa che cosa
rispondere.
Che strana deviazione dal percorso sul quale ci eravamo appena intesi! Accade persino
che in qualche seminario sulla "terza via" e sulla direzione di marcia della gauche
plurielle si parli di problemi della "spiritualità". Che cosa cè di
piú lontano dal consueto cinismo dei dibattiti politici europei sulle quote-latte e sui
parametri di spesa pubblica consentita? E che cosa di piú lontano, mettiamo,
dallinesausta problematica delle riforme istituzionali italiane che, pur cosi
corposa e reale, sembra fatta apposta per provocare ripugnanza presso i non professionisti
della politica?
Il documento Blair-Schroeder, che "Reset" ha pubblicato nel numero scorso,
appartiene ancora in gran parte allonda lunga delle concessioni che il
centrosinistra ha dovuto (e ancora dovrà, probabilmente) fare alla cultura neoliberale,
mentre qui stiamo cercando di individuare, nel momento della sua formazione, una nuova
onda che muove in una direzione diversa e opposta: quella del contenuto umano, umanistico,
della politica e delleconomia. Una direzione lungo la quale abbiamo piú
probabilità di trovare le ispirazioni capaci di rigenerare lidentità della
sinistra europea e di risolvere il mistero di quel distacco apparentemente irrimediabile
tra i giovani e la politica: non si tratta solo di restituire lonore del primato a
problemi come quello del lavoro cosa che una leadership politica è in grado di
fare se, in primo luogo, trova le ragioni "umanistiche" per crederci ma
di cercare di sintonizzarsi su una lunghezza donda, quella delle incertezze,
debolezze e paure, sulla quale comunicano, tra loro, generazioni che dalla politica si
sono congedate per irrilevanza di essa per loro. È la lunghezza donda
delle "domande di senso", delle ansie provocate dal doppio disincanto del
distacco dalla religione e dalla politica vissuta religiosamente; è il risultato,
insieme, dei guasti di una economia che produce disoccupazione ma anche di un lungo ciclo
di benessere, individualismo, sviluppo smisurato dei consumi; è il risultato anche del
tracollo della cultura marxista.
Cè un vuoto etico che è il prodotto di unazione multipla e combinata: del
capitalismo, dei suoi maggiori critici di parte materialista, vale a dire i marxisti, e di
un individualismo che ha incrinato quelle che Giddens chiama le shell-institutions,
le istituzioni conchiglia dentro le quali gli individui fino a pochi decenni fa imparavano
a piantare le loro radici nel mondo, la famiglia, la fabbrica, il villaggio, la comunità,
il partito, la parrocchia. Erano "conchiglie" anche soffocanti ma con una forte
funzione anti-stress: sapevi chi eri dal principio alla fine. Adesso sei solo e devi
ridisegnare, strada facendo, piú volte nel corso di una vita te stesso e le tue
"conchiglie". Come un paguro tirato fuori dal suo guscio ad opera di un bambino
cattivo. E nel nostro discorso il bambino cattivo è la modernizzazione capitalistica, è
il lungo periodo di libertà, benessere, individualismo che ha portato con sè. Cose buone
a cui nessuno, salvo qualche rigido conservatore, vuole rinunciare, ma le cui conseguenze
dobbiamo guardare in faccia.
Ma allora è davvero una bella pretesa, sia pure elegantemente liberale, quella di dire
che la politica con tutto questo non centra! Che ogni discorso sulla felicità e
lautorealizzazione degli individui va lasciato fuori dalla pubblica arena! Come si
fa a sostenere questa tesi quando lorigine di tanti nuovi bisogni di natura
addirittura spirituale, di tante richieste di rassicurazione materiale e psicologica, sta
proprio nelleconomia e nella politica dei decenni passati? Si può negare, poniamo,
che ci sia un rapporto tra le nostre ansie circa la qualità dei cibi e lo sviluppo
industriale con le scarse norme di garanzia che sono nelle mani dei legislatori? Oppure
tra le condizioni durissime in cui vivono le famiglie a doppia carriera, nonostante il
benessere e i redditi elevati, e la mancanza di servizi sociali? Ma possiamo continuare a
portarci dietro una idea di sviluppo che escluda la maggior parte del suo contenuto umano?
Non è giunto il momento di modificare in radice la natura del dibattito economico
mettendo in testa a tutte le preoccupazioni il compito principale di garantirci una vita
piú buona?
Tento un sintetico elenco delle ragioni che spingono per reimmetere - anche al costo di
irritare qualche sincero liberale - il tema della bontà della vita nostra e dei nostri
concittadini nellagenda pubblica (al punto che dobbiamo entrare nella logica di non
scandalizzarci se uno di questi giorni un partito, o un governo? o un comune?, decida di
organizzare un pubblico convegno sul tema "la felicità dei francesi", o
"degli italiani", o "dei romani", oppure: "Perchè gli studenti
italiani sono tanto incazzati?"). Le tendenze che costringono il discorso pubblico a
occuparsi della qualità umana della esistenza dei concittadini anche al di là del
reddito, della pensione e dei consueti standard della sicurezza e dei servizi (che siamo
abituati a considerare comunque di pertinenza della politica) sono le seguenti:
a)La frammentazione della vita sociale che indebolisce i legami comunitari su scala
locale: il paese, il quartiere, il vicinato
b)Lindebolimento della istituzione-conchiglia per eccellenza che è la famiglia,
la sua sostituzione con listituzione-coppia, che è piú fragile e costringe gli
individui a ricollocare il baricentro dellesistenza sul proprio io
c)Lo sfondo di significati e di valori metafisici che è implicato dalle scelte
politiche che interagiscono con lambiente e la natura
d)Lo sfondo ricchissimo di valori e di senso che è implicato nelle scelte e negli
stili di consumo
e)La crescita di fenomeni di alienazione, esclusione, dipendenza da droghe,
comportamenti irrazionali e coatti che hanno radici sociali
f)La domanda crescente, piú o meno esplicita e controllata, di spiritualità che è
diretta conseguenza della crisi delle ideologie politiche, della secolarizzazione e
delledonismo di massa
g)La domanda di attenzione per i valori umani, per la salute psichica, per
lequilibrio affettivo che nascono dalla frammentazione e anonimità della vita
metropolitana

Qui lelenco potrebbe proseguire e diventare una narrazione delle condizioni in
cui vivono i nostri concittadini europei. Si tratta di capire come le dosi di ansia, in
condizioni di libertà e benessere, siano però enormemente piú grandi rispetto a
unepoca, non lontana, in cui le istituzioni-conchiglia comprimevano
lindividuo, riducevano le sue possibilità di percorrere ampie traiettorie sociali,
dal basso in alto, ma attenuavano anche limpatto di una sconfitta professionale, di
una instabilità affettiva, di un lutto. Un individuo fuori della conchiglia ha molto
maggiori libertà di movimento, ma è esposto a un rischio molto piú elevato: in ogni
singola prova che ha di fronte entra in gioco una parte molto piú grande della sua
personalità; ogni battaglia che affronta assomiglia molto di piú a una battaglia per la
vita o per la morte.
Ci sono dunque le condizioni perchè si possa parlare di ritorno delletica nella
vita pubblica non solo come "ancilla" della politica , nella veste
tecnica di ausiliaria che aiuta a sbrogliare le grane provocate dalla biogenetica, ma come
protagonista della discussione sullispirazione generale di una politica, sul senso
generale, sullimpatto umano di una politica finanziaria, sulla affidabilità stessa
di un governo. Si capisce meglio allora perchè qualcuno possa parlare legittimamente di
un processo di rimoralizzazione della vita politica delle società avanzate. E si capisce
anche come lo stile di vita dei governanti e dei leader assuma una importanza molto
maggiore che in passato, dal momento che i valori implicati da un modo di consumare,
vestire, spendere il tempo libero, diventano direttamente comunicazione politica, informano
sullidea di sviluppo che quel leader ha in testa: dove va in vacanza? Usa i
sacchetti di plastica o quelli di carta? Mangia agrobiologico o disprezza le abitudini
ecologiche? Che ginnastica-filosofia pratica: yoga, capoera, aikido? O nessuna?
Si capisce che il vecchio politico tangentaro a questo punto sembra venire da
unaltra era. E che il livello di esemplarità che si dovrebbe offrire alla platea è
molto al di là del prerequisito essenziale di non essere corrotto (sempre molto
apprezzato), è molto piú sofisticato. E sempre di piú lo sarà, se il politico aspira
ad incrementare la sua popolarità in un mondo che gli chiederà prestazioni sempre piú
impegnative sul piano spirituale. Già una maggiore concentrazione dei leader politici
sulla retorica, come arte della persuasione che fa da mediatrice tra il potere e il
consenso, sarebbe il segno di un avvicinamento ai bisogni di senso dei suoi concittadini;
sarebbe un segno di attenzione, lindizio di una priorità. Come una buona azienda
riesce a far sentire il cliente come centro e fine delle attività della ditta, cosi
il buon politico potrebbe far capire al cittadino, anche con la retorica orientata ai suoi
bisogni e non solo alla mediazione degli interessi, che è lui lobiettivo finale di
tutta lazione pubblica.
Una certa oscurità e confusione teorica circa la natura dei progetti delle varie
formazioni europee di centrosinistra è stata una condizione forzata, determinata da una
fase di transizione, ma non può essere ulteriormente confusa con lo standard ideale di
una politica vincente e persuasiva.
La discussione per la quale qui "Reset" fornisce materiali di avvio non si
può evitare. Il fatto che alcuni temi qui sviluppati suonino cosi lontani ed
estranei dal dibattito politico nazionale non è un segno incoraggiante. Daltra
parte la difficoltà di individuare valori guida, che non siano la rituale ripetizione di
formule sulla "equità" e sulla "parità di opportunità", non è
soltanto italiana. È necessario accettare che la discussione sui valori, sulla metafisica
implicita negli atti della vita pubblica pervada la discussione politica, che parole nuove
o parole vecchie rimodellate ci aiutino a pensare una politica meno distante dalla nostra
condizione umana e dalla nostra aspirazione, di individui moderni e liberi, ad essere
felici.
Ma come è possibile espungere la spiritualità dalla vita politica? Ha ragione Jean
Baptiste de Foucauld: con quali forze ti puoi opporre allesclusione sociale, con
quali risorse puoi combattere contro la crescita degli emarginati, con quali forze puoi
batterti per la bellezza del paesaggio? Con quali, se non hai il coraggio di fare appello
alle risorse non saprei come altrimenti chiamarle dello spirito? Criteri
per una valutazione generale di un programma di governo non possono fare a meno di una
valutazione spirituale, umanistica, extraeconomica. Non cè dubbio.
Limpasse del consenso dei governi di centrosinistra quello italiano compreso,
naturalmente non si può superare soltanto attraverso la mediazione degli
interessi. Anzi, possiamo subito dare per certo che la mediazione degli interessi non
produrrà mai lethos di cui un governo di centrosinistra ha bisogno per dare vita a
un riformismo efficace, per dar luogo a uno sviluppo armonioso e coerente con tutti i
bisogni di cui abbiamo detto.
La politica dei prossimi anni avrà di sicuro necessità assoluta di discutere non solo
di pensioni, ma anche dei valori che fondano la qualità della vita, la nuova natura dei
legami famigliari, lincidenza dei comportamenti schizofrenici e coatti,
lassurdità di dinamiche professionali che distruggono il tessuto sociale anche in
caso di successo, la distribuzione equilibrata dei tempi tra lavoro, meditazione,
attività volontarie, riposo, la frustrazione del consumatore nevrotico e sprecone ed i
suoi costi per la biosfera. Il fatto che sempre piú numerosi nostri concittadini del
mondo ricco e sviluppato si trovino a vivere una vita di cui non riescono piú a percepire
il senso dovrà diventare materia di discussione politica. Neanche allora saranno i
filosofi ad andare al governo, ma credo proprio che i politici senza attitudine per questo
genere di "metafisica" dovranno presto lasciare il posto ad altri, piú
aggiornati, piú adatti ai bisogni dei loro contemporanei, piú utili.