Cinema italiano/"Produttori sbagliate a
ignorare il lavoro del regista" Daniele
Roberta Torre intervistata da Paola Casella
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Gli spettacoli aumentano, le sale cinematografiche si moltiplicano: e'
tutto oro quel che luccica?
Innanzitutto bisogna fare una distinzione fra il discorso
industriale-politico e quello artistico-culturale. L'industria del cinema effettivamente
sta guadagnando di piu', e il Ministero dei beni culturali, che ha preso delle iniziative
concrete in questo settore, adesso deve per forza sostenere che le sue iniziative
funzionano: la positivita' nei confronti dello spettacolo serve anche politicamente. Dal
punto di vista culturale e artistico direi invece che la situazione non e' affatto rosea,
anzi, in assoluto contrasto con quella dipinta dall'industria e dalla politica.
Per quanto riguarda la proliferazione delle sale cinematografiche, la
riapertura delle sale chiuse e' senz'altro un dato positivo, come e' positiva in generale
la maggior possibilita' di scelta di luoghi. Piu' sale pero' non significa maggiori
alternative di distribuzione, ma solo un ulteriore allargarsi dell'oligopolio di quei
due-tre grandi distributori che sono anche proprietari dei multiplex e delle catene di
cinema.
Quali sono i settori che hanno maggiormente bisogno di rafforzarsi?
Il discorso produttivo e' un vero disastro. Oltre alle due-tre grandi
case di produzione italiane, ci sono una miriade di piccoli produttori cosiddetti
indipendenti, ma che in realta' dipendono totalmente dai soldi dello stato. Chiunque puo'
chiedere un fondo di garanzia, e cosi' molti giovani provano ad improvvisarsi produttori,
con un atteggiamento che sta a meta' fra il fare il passacarte e il tirare a campare. Del
film in se' gli interessa fino a un certo punto, e non basta avere quattro soldi se poi
non c'e' un progetto complessivo su come gestirli.
Oltretutto l'aspetto produttivo e artistico sono strettamente legati
fra di loro, mentre questi produttori improvvisati credono che il loro lavoro sia del
tutto separato da quello del regista. Ad esempio per quanto riguarda i tempi di
lavorazione di un film: se hai bisogno di un anno ti danno un mese, e viceversa. C'e' una
totale mancanza di rispetto e sensibilita' verso le esigenze del singolo film. E questo
modo di produrre va spesso a rompere gli equilibri artistici che un regista cerca di
costruire. Non e' un caso che, negli anni d'oro del cinema italiano, fra registi e
produttori ci fosse un rapporto molto stretto, magari anche conflittuale, ma comunque
continuativo e diretto.

Anche la distribuzione di fatto segue le stesse regole della
produzione. Da una parte, come regista, senti "a naso" che se ti rivolgessi ai
grandi distributori andresti incontro a tutta una serie di compromessi, perche' sai che
possono imporsi da un punto di vista economico ma anche da un punto di vista culturale .
Se pero' ti affidi a una produzione e distribuzione apparentemente meno castrante rischi
di cadere in altrettanti tranelli, dall'organizzazione improvvisata alla distribuzione
menomata, perche' i distributori minori non riescono a difendere sul mercato nemmeno quei
film che potrebbero funzionare dal punto di vista commerciale, e alla fine il tuo lavoro
ne soffre. A quel punto la scelta fra gli uni e gli altri non e' piu' culturale, ma
dettata esclusivamente dalla necessita' pratica. Io non ho mai lavorato con Cecchi Gori o
con DeLaurentiis, ma non potrei escludere a priori di farlo in futuro: al primo film puoi
anche cavartela, ma gia' dal secondo, o al massimo dal terzo, devi fare i conti con quel
meccanismo.
Che si puo' fare per migliorare la situazione del cinema italiano?
Il vero problema e' la mancanza di proposte culturalmente forti.
L'attenzione e' spostata sul gioco del cinema, che ha regole di sfavillio, di mondanita',
di denaro. In realta' il cinema funziona se racconta storie necessarie. Invece in Italia
il cinema lo fa chi ha i soldi, e la "necessita'" e' evidentemente quella di
fare altri soldi, oppure chi ha ridicole velleita' autoriali sostenute dallo stato. Quella
dei De Sica, dei Pasolini, era invece una vera urgenza narrativa, e lo sentivi nel loro
modo di fare cinema. In parte la realta' del dopoguerra era molto piu' stimolante di
quella attuale: oggi di necessario c'e' ben poco. Perche' io vivo e lavoro a Palermo?
Perche' nel sud ci sono ancora storie che urlano per essere raccontate. Io vengo da
Milano, ma a Milano questo lavoro non l'avrei fatto.

Molti incassi su pochi titoli, soprattutto stranieri. Come mai?
Chi punta sul filone commerciale, interpretando il cinema
esclusivamente come un'industria, ripete all'infinito la stessa formula, che per quanto
riguarda il cinema italiano e' quella della commedia, puntando su quei due-tre nomi di
successo. In questo momento il filone della mediocrita' e' quello di mescolare il cinema
alla televisione, per cui si fanno film che in realta' sono televisione travasata sul
grande schermo, mantenendo modalita' identiche. Anche quelli che non rifanno la stessa
storia programmaticamente, alla fine attingono sempre alla stessa realta', alle stesse
modalita' di lavoro: le storie nascono sempre fra quattro mura, e sono talmente codificate
che si assomigliano tutte. E' come se in qualche modo si fosse decretato che c'e' un solo
modo di fare cinema, e lo si vede sia nel discorso produttivo che nei contenuti.
Quanto ai film stranieri, non ce l'ho con l'invasione del cinema di
altri paesi, e non mi piace fare del nazionalismo a tutti i costi: a un brutto film
italiano preferisco senz'altro un bel film straniero. Pero' anche li' ci sono dei veti a
priori: molti bei film stranieri non vengono distribuiti in Italia, e in compenso ci
arriva un sacco di robaccia.
Quale puo' (deve) essere il ruolo del governo?
Da un punto di vista politico credo che sia stato fatto quello che si
doveva, o poteva, fare: hanno dato piu' soldi, hanno incrementato il discorso produttivo
ampliando i fondi di garanzia. Potrebbero fare di piu' per la distribuzione, per smontare
questa situazione di oligopolio, tantopiu' che quei due-tre grossi produttori-distributori
sono anche proprietari di reti televisive. Dopodiche' non gli farei fare di piu', e
passerei la palla a chi il cinema lo fa. Comunque, lo ripeto, se manca un discorso
culturale forte il cinema puo' avere tutte le strutture che vuole che non va a segno.
Nell'Europa unita, ha ancora senso parlare di cinema italiano?
Io sono una che difende i dialetti e le identita' regionali, dunque ovviamente ritengo
che anche le specificita' nazionali vadano rispettate. Anche se le nostre modalita' di
lavoro sono inadeguate, preferisco cercare di cambiarle dall'interno, senza andare a
rubare, o a scimmiottare, quelle francesi - o americane - che sicuramente non si adattano
alle nostre esigenze. L'esperienza degli altri va bene, ma bisogna sempre rapportarla alla
nostra identita'.
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