Caffe' Europa
Reset Online


 

Tutti al cinema, ma la cassa piange

Paola Casella, Anna Clerici

 

Articoli collegati:
Tutti al cinema, ma la cassa piange
Torre: "Produttori sbagliate a ignorare il lavoro del regista"
Luchetti: Mettiamo un po' di vino italiano al posto della Coca-Cola"

 

Il prodotto cinema va bene, anzi, benissimo. Lo dicono i dati sbandierati dall'Anec, l'Associazione nazionale esercenti cinema, cioe' i gestori delle sale, che hanno visto nel '98 aumentare gli spettatori del 18% rispetto allo scorso anno, fino a raggiungere la cfira record (per l'Italia degli anni Novanta) di oltre 120 milioni. Un risultato che si deve in gran parte alla recente proliferazione delle sale cinematografiche, in particolare i multiplex che, all'indomani della liberalizzazione delle licenze (fino a 1300 posti chiunque puo' aprire una nuova sala multischermo), sono spuntate come funghi in tutta la penisola.

Anche l'Unione produttori film canta vittoria, pur se con maggiore cautela: nel '98 nelle sale italiane sono stati programmati quasi 400 film, una cinquantina in piu' che nel '95, anno in cui la produzione, soprattutto quella italiana, e l'importazione cinematografica avevano toccato il fondo. Un quarto di quei 400 film era made in Italy, con un aumento delle produzioni a capitale interamente italiano che, come dice Gianni Massaro, presidente dell'associazione, e' "un segnale di vitalita' del cinema".

cine01.JPG (24746 byte)

E poi ci sono i dati Istat, piu' insospettabili di quelli Cinetel ai quali attingono (rielaborandoli secondo le proprie esigenze) gli organi di settore come Anec, Anica e Anac, omologhi persino negli acronomi: secondo l'Istat, il cinema e' in testa alla classifica dei consumi degli italiani relativi al tempo libero, persino prima dello sport (possibile?), molto prima di libri e quotidiani (ahime', prevedibile).

Lontano e' quel 1992, annus horribilis in cui gli spettatori raggiunsero il minimo storico di 83 milioni (a ben guardare, anche i 120 milioni di oggi fanno ridere in confronto agli oltre 800 che andavano al cinema nel 1955: ma allora non c'era la televisione, ne' la tecnologia digitale). Lontani i tempi (parliamo di fine anni Settanta) in cui, dopo la comparsa delle tv private e l'estensione della programmazione televisiva a tutto l'arco della giornata, le sale cominciarono a chiudere e la durata della programmazione in sala diminui' vertiginosamente: oggi anche il numero dei giorni di programmazione e' aumentato ("in proporzione, piu' degli spettatori", come dice Ernesto Di Sarro, presidente dell'Anec), anche se siamo ben lontani dallo standard di Francia e Germania, che articolano la loro programmazione nell'arco dell'intero anno, evitando quel periodo di quasi black out (da maggio ad agosto!) che, sempre secondo l'Anec, tanto incide sui guadagni totali del cinema in Italia.

Ma e' tutto oro quel che luccica? Continuiamo a guardare il cinema esclusivamente come prodotto industriale. Innanzi tutto: quanti sono i film che hanno successo in Italia? Durante lo scorso anno di programmazione, 15 titoli hanno detenuto, da soli, una quota di mercato superiore al 50% degli incassi totali. Anzi, i primi 5, da soli, hanno incassato il 30% del fatturato annuo.

Un dato ancora piu' sorprendente se confrontato con il numero complessivo dei film in programmazione nel '98: 383, di cui 92 italiani. Se stimiamo un fatturato complessivo 1998 di circa 850 miliardi (calcolato in proiezione, poiche' i dati relativi all'incasso globale del '98 non sono ancora disponibili) e togliamo la "quota" dei primi 15, rimangono 382 miliardi da "spalmare" fra i 365 film che restano. Facendo una media trilussiana, ognuno avrebbe incassato suppergiu' un miliardo.

In realta' soprattutto per il cinema italiano, incassi del genere rimangono un miraggio. Prendiamo ad esempio i soli film finanziati dallo stato: 81, fra il maggio '97 al novembre '98, dei quali solo 16 (!) usciti nelle sale. Di questi 16, solo 5 hanno superato il miliardo di incasso, mentre film con registi e attori di nome (e il lancio promozionale della Mostra del cinema di Venezia) hanno incassato cifre irrisorie rispetto ai costi di produzione: pensiamo ai Giardini dell'Eden di Alessandro D'Alatri (324 milioni di incasso a fronte di 4 miliardi di spese di produzione) o a Del perduto amore di Michele Placido (454 milioni a fronte di 5 miliardi), che pure, al contrario del film di D'Alatri, aveva ricevuto il plauso della critica. Il record negativo? Mare Largo di Orgnani, che a fronte di un finanziamento statale di quattro miliardi ha venduto biglietti per soli 73 milioni.

Per contro, i dati Cinetel indicano che nel '98 quindici film italiani hanno raggiunto o superato la soglia del milione di spettatori -- l'ultimo quel La gabbianella e il gatto che e' riuscito a battere i cartoni animati natalizi della Walt Disney e della Dreamworks, perlomeno quanto a permanenza nelle sale (anche grazie alla tigna del suo distributore, Cecchi Gori).

cine02.JPG (30151 byte)

C'e' allora da chiedersi quali siano i pochi film responsabili dello stato di salute del cinema in Italia, e a quale nazionalita' appartengano. "I dati hanno sfatato il principio che il pubblico italiano non vada a vedere un film italiano", ha affermato orgogliosamente Massaro. La buona notizia e' infatti che, fra i cinque film campioni di incasso del 1998, compaiono tre titoli italiani. La cattiva notizia, per chi ancora crede che il cinema debba avere anche una valenza culturale, e' che due di questi -- Tre uomini e una gamba e Cosi' e' la vita -- sono commedie firmate Aldo, Giovanni e Giacomo. Il terzo e' quel La vita e' bella che, al di la' delle polemiche, costituisce un caso sui generis (viene da dire: l'eccezione che conferma la regola).

Scendendo giu' lungo la classifica dei Magnifici 100 del '98 troviamo solo un altro film italiano, Gallo cedrone, che conferma quanto gia' accennato: l'unico cinema italiano a "tirare" e' quello comico, soprattutto se di matrice televisiva (e' vero, Verdone non e' un personaggio del piccolo schermo, ma il suo ultimo film era una collezione di sketch alla Drive-in). Gli altri campioni di incassi '98 sono americani, con le eccezioni di Full Monty e Sliding Doors (che pero' vantava come protagonista la star yankee Gwyneth Paltrow), mentre in annate passate (pensiamo al '61, o al '71) molti piu' film italiani figuravano ai primi posti delle classifiche di botteghino.

Del resto l'importazione di film USA, anche nel '98, si e' accaparrata circa il 50% del mercato: il rimanente 50% e' stato spartito equamente fra film italiani (25% circa) e stranieri-non americani (l'altro 25%). Il kolossal hollywoodiano, e' stato anche nel '98 il grande favorito: da Titanic a Salvate il soldato Ryan, fino ad Armageddon e Godzilla, che pure negli Stati Uniti avevano fatto fiasco. In termini di marketing, la domanda dello spettatore medio italiano e' dunque assai poco selettiva: piu' che film, gli italiani "comprano" personaggi televisivi italiani, rassicuranti proprio grazie alla loro familiarita' come lo era Baudo testimonial del caffe' Kimbo, oppure superstar americane, il cui nome viene vissuto come una garanzia di "qualita'" (intesa come "capacita' di valere il costo del biglietto") strettamente legata al genere cinematografico (ad esempio Bruce Willis per il genere "action movie"): una forma di insicurezza consumistica che spiegherebbe anche il successo in Italia persino dei sequel piu' scadenti.

Un dato interessante riguarda l'indifferenza dello spettatore italiano, soprattutto giovane, ai suggerimenti della critica al momento della scelta del film da vedere: nel caso dei multiplex, il momento decisionale per l'acquisto del "prodotto film" si e' addirittura spostato dalla lettura dell'ultima pagina del quotidiano (o della "civetta" del bar) alla scorsa del tabellone luminoso sopra il botteghino.

Parliamo allora dei multiplex, il vero fenomeno nuovo delle ultime stagioni cinematografiche, in gran parte responsabile dell'ottimismo degli addetti ai lavori: dal 1994 a oggi sono stati inaugurati quasi 1000 nuovi schermi, per lo piu' concentrati all'interno di grandi complessi che, oltre a fornire l'intrattenimento cinematografico, propongono un'offerta articolata che comprende negozi, ristoranti, persino attrezzature sportive, come la bowling alley all'americana prevista per il Warner Village alla periferia di Roma, che con i suoi 18 schermi e' il multiplex piu' vasto in Italia.

cine03.JPG (46245 byte)

In positivo, i multiplex contribuiscono effettivamente ad accrescere il numero degli spettatori, soprattutto giovanissimi, perche' costituiscono nuovi luoghi di aggregazione sociale. Anche la comodita' gioca il suo ruolo: i multiplex vantano sistemi computerizzati di prenotazione (che, all'italiana, per il momento funzionano a singhiozzo), proiezioni ad orari sfalsati (il primo spettacolo e' all'orario del pranzo, un'importazione tutta americana), e il mega parcheggio, atout imbattibile rispetto alle sale cittadine.

Le quali dunque rischiano di soffrire a causa della proliferazione dei multiplex alle porte delle citta', a meno che, raccogliendo la sfida del mercato, non decidano di accettare il confronto diretto con le leggi della domanda e dell'offerta. Il che significherebbe che gli esercenti delle sale cinematografiche, come hanno fatto, ad esempio, i negozi di alimentari quando sono arrivati i supermarket, dovranno ridefinire la propria offerta in termini di qualita' degli impianti e del servizio, o anche di selezione del prodotto: in pratica, dovranno contemplare una rivoluzione copernicana del loro metodo di lavoro, che fino ad ora consisteva quasi esclusivamente nello sforzo di programmazione. (Va tuttavia osservato che anche gli esercenti cittadini hanno beneficiato dell'interesse generale che circola intorno all'argomento cinema, e che alcune sale chiuse da anni sono recentemente rientrate in attivita').

Ovviamente l'Anec, che rappresenta migliaia di piccoli esercenti, chiede a gran voce una regolamentazione allo sviluppo "selvaggio" dei multiplex. Da utenti, dobbiamo invece preoccuparci del fatto che i multiplex, al di la' delle comodita' logistiche, non rappresentano al momento ne' una differenziazione dell'offerta cinematografica ne' una diminuizione dei prezzi. Apriamo una breve parentesi sul costo dei biglietti: il recente intervento del garante per bloccare l'aumento del biglietto di prima visione a 14 mila lire e' stato dileggiato dall'Associazione esercenti, la quale si e' affrettata a precisare che in altri paesi europei -- Francia, Germania -- il cinema costa di piu'. Peccato che l'Anec non abbia preso in considerazione il potere d'acquisto e il livello salariale di quei paesi, notoriamente piu' elevato del nostro.

Tornando ai multiplex: a ben guardare, i multisala forniscono solo maggiore disponibilita' logistica, non maggiore scelta nell'offerta cinematografica. Il rischio e' quello della (ulteriore) standardizzazione dello spettacolo cinematografico: i film proposti appartengono tutti allo stesso genere (commedia e azione), lo stesso film e' spesso programmato in piu' sale, il 70% dei film in cartellone e' riconducibile alle major americane, i pochi film italiani sono quelli in mano ai grandi distributori, tantopiu' che, in molti casi, i multisala appartengono ai distributori stessi: la Medusa di Carlo Bernasconi, ad esempio, ha in programma di aprire "una ventina di multiplex nell'arco dei prossimi cinque anni", secondo l'amministratore delegato Federico di Chio.

Lo stato e' solo in parte intervenuto per regolamentare il mercato cinematografico: di recente, sono stati varati una serie di provvedimenti per incentivare la domanda della televisione nei confronti del "prodotto cinema" nazionale; il governo ha istituito facilitazioni creditizie nei confronti dei produttori italiani e ha creato uno stanziamento extra per il miglioramento (o il recupero) delle sale d'essai cittadine. Ma il vero terreno di gioco rimane quello delle leggi antitrust, che dovrebbero porre rimedio all'attuale situazione di oligopolio: due grandi produttori-distributori, Medusa e Cecchi Gori, che sono anche esercenti di sale e proprietari di reti televisive.

"Non si puo' lasciare al mercato dell'esercizio e della distribuzione il compito di ridisegnare il panorama", ha ammonito su queste pagine il critico Paolo Mereghetti. "Non bisogna dimenticare che il cinema non e' un prodotto che si possa analizzare solo dal punto di vista dell'industria. La sua forza simbolica richiede un'attenzione che non si puo' definire solo a partire da logiche economicistiche. Altrimenti si rischia di abbandonare al mercato un prodotto che su quel mercato non puo' essere appiattito".

"In Italia ci sono o i grandissimi successi o il nulla. Sarebbe bene, invece, che anche il piccolo film avesse una vita organica alla sua dimensione, cioe' la vita che si merita: non gli incassi di un supersuccesso, ma una parte del pubblico che lo apprezza" Bernardo Bertolucci, durante la conferenza stampa di presentazione de L'assedio.

 


Articoli collegati:
Tutti al cinema, ma la cassa piange
Torre: "Produttori sbagliate a ignorare il lavoro del regista"
Luchetti: Mettiamo un po' di vino italiano al posto della Coca-Cola"

 


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier |Reset Online |Libri |Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media |Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo