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Mangiare, bere/Moscato di Pantelleria, vino del vento

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La civiltà della vite e del vino è una nostra gemma preziosa. La vite non è nata in Italia ma le nostre terre, soprattutto isole e isolette, sono state uno dei suoi primissimi approdi. A fare "da tramite" è stato il Mediterraneo, la grande via di comunicazione, che ci ha messo in contatto con i luoghi di origine della vite, con l'Oriente greco e asiatico, e ci ha fatto persino conoscere i nomi di battesimo della pianta di Bacco. Ma un ruolo particolare va riconosciuto a Venezia. E' alla Serenissima, infatti, che si deve l'arrivo sui nostri lidi, dall'Oriente mediterraneo, di una pianta di uva aromatica, particolarmente versatile [ha tre possibili impieghi: da tavola, da vino e da appassire] il Moscato di Pantelleria. Parente dell'Anathelicon Moschaton dei Greci e delle Apianae dei Romani, il Moscato di Pantelleria, originario di Alessandria d'Egitto, sembra si sia diffuso durante l'Impero Romano, forse per questo qualcuno lo chiama anche Moscato Romano. Resiste al sole cocente e all'aridità estiva, là su quelle pendici di Pantelleria, rannicchiato in piccole tane, che i vignaioli dell'Isola hanno scavato per proteggerlo dai venti impetuosi. E' stato versato più sudore per dissodare i declivi dove si trovano i filari della vite, che a tirar su le piramidi. E il muricciolo di pietra, tra un gradino e l'altro del terrazzamento vignato e nel giardino pantesco, esprime qualche cosa di altamente umano: la tenzone e la vittoria contro le forze violente della natura. Si può proprio dire che dove ci sono vite e vino buono, si trovano civiltà e industriosità. Da sempre. Anticamente, dopo produttori e commercianti, i primi a conoscere il sapore e il piacere del vino, erano i marinai, che lo trasportavano da una sponda all'altra del Mediterraneo e da una riva all'altra dei fiumi, assieme all'olio, al sale, ai condimenti, ai balsami, alla porpora, nelle giare prima, nelle anfore e nei barili poi. E il vino porta direttamente ai bottai, a quei maestri artigiani, che hanno tanto aiutato i navigatori quando si trovavano in solitudine, esposti a rischi, a pericoli, al freddo e al caldo. La fabbricazione delle botti ha qualcosa in comune con la costruzione delle barche e delle navi: basta pensare ai calafati. C'è anche un collegamento fra l'essiccazione del legno per costruire botti e quella per costruire le barche, quindi tra calafati e bottai tra i segatori e i piallatori, e così via.

Torna alla mente quell'interessante lavoro di Yvon Garlan [Ecole Française d'Athènes] sul "vino e le anfore di Thasos". Il protocollo di produzione è molto simile, quasi identico. Di cultura quindi, oltre che di tradizione, si potrebbe parlare a proposito del vino di Pantelleria, che riporta all'epoca classica ed ellenistica. Il Passito pantesco con il suo tenore alcolico, con il suo patrimonio estrattivo e zuccherino, col suo carattere aromatico che arriva fino al balsamico ma non resinato, è espressione di cultura classica greca, oltre che vitienologica. Si mantiene buono e addirittura migliora quando "perde i denti e il suo capo diventa calvo". Grande vino da dessert che prende in consegna le tue ore libere e te le trasforma in piacere e serenità.

Persino nelle Geoponiche si parla del protocollo di produzione dei vini passiti. Protocollo che contempla la disidratazione dell'acino nella sua migliore espressione fisiologica, biochimica e organolettica, la microbiologia intesa nel senso più ampio a partire dalla disinfezione batterica della buccia sino alla fase fermentativa e post fermentativa, all'invecchiamento del prodotto e infine alla parte umanistica. I passiti infatti si degustavano alla "giara"; venivano bevuti durante le Anthesterie, la Festa dei Fiori. Teofrasto, li definiva "saporifici" e ne proponeva l'impiego anche nella preparazione di particolari dolci a base di farina e di miele impiegati persino nell'uso medicinale.

In epoca romana e successivamente, precisamente nel corso della conquista araba, il Moscato si diffuse come uva da essiccare e venne chiamato in vari modi; alcuni dei nomi si riferivano alle varie aree di coltivazione: Moscatel da Malaga in Spagna, Zibibbo in Nordafrica, Meski in Tunisia. Da noi si diffuse anche come Moscatellone, Salamanna, Salaramanna e Zibibbo.

L'essiccamento dell'uva, come della frutta in genere, è una tecnica antica ma non ferma nel tempo. Anzi, è continuamente oggetto di studio. Un tempo per disidratare l'uva, nelle terre più calde, come Pantelleria, bastava esporla al sole; ma nelle aree più temperate o fredde, era necessario ricorrere all'aria ventilata. La disidratazione è stato da sempre requisito fondamentale per la commercializzazione degli alimenti, già duemila anni fa, ma anche in epoca romana e nel Medioevo. Il problema di ridurre i tempi di essiccazione, utilizzando magari a particolari accorgimenti tecnici, si cominciò a porre infatti fin da subito..

Occorrono da 15 a 20 giorni ma anche più, a volte, per ottenere la tanto saporita "Malaga", quella che tutti conosciamo come uva passa, che svolge un ruolo così importante nel protocollo di produzione del Passito di Pantelleria. Bisogna sostenere i vigneti di Pantelleria e gli artisti di quelle vigne "cunettate e terrazzate". Vanno rispettate le loro fatiche, la loro passione, la loro creatività altamente professionale.

Ma come avviene oggi la fase di essicazione? Il Moscato di Pantelleria matura verso fine agosto e gli acini, se l'annata non è proprio triste, sono ricchi di succo zuccherino e di aroma. Una parte dei grappoli viene staccata e collocata ad appassire al sole su graticci e/o su stenditoi a rete che di notte vengono coperti con tendoni, per difendere l'uva dall'umidità, molto forte di notte.

La malaga costa molto, soprattuo in termini di fatica, ai vignaioli panteschi. La sua resa in peso si riduce fino al 30 per cento di quanto era inizialmente, cioè a grappolo appena staccato dalla pianta. Il vignaiolo, ogni giorno deve girare grappolo per grappolo, in modo che alla fine la disidratazione risulti uniforme.

Prima di giungere allo stadio di Malaga, l'uva attraversa la fase detta "Passolata", o "bionda", per il suo colore dorato. Dall'uva passolata si arriva alla "Passa" o "Malaga" con ulteriore appassimento. Giuseppe Cusmano, nel suo Dizionario Metodico-Alfabetico di Viticoltura ed Enologia del 1889 la chiama anche Passola, Passolina e Passula. "Passulato", scrive Cusmano, "è il vino aggiunto al liquore a cui si è mescolato il vino di uve passule". Intendiamoci, la voce "liquore" stava ad indicare un grande vino dolce, non certamente quello che si intende ora con questo vocabolo. Tutti i vini di Pantelleria sono grandi vini-liquori. Il Moscato Passito si ottiene partendo dal mosto altamente ricco di zuccheri e quindi già proveniente in prima vinificazione da uve surmature e a un certo grado di appassimento. C'è anche chi vinifica uva fresca, cioè non appassita, aggiunta dopo qualche giorno di uva passa. Dopo la svinatura, il vino già dolce e alcolico ottenuto, viene ulteriormente addizionato di altra uva passa [oppure passulata, secondo le tecniche individuali dei produttori], per ottenere il prodotto finale più saporito e ancora più dolce, per via naturale. Il disciplinare di produzione del Passito di Pantelleria vieta l'impiego di mosto concentrato e di concentrato rettificato.

 

Ma la tecnica di preparazione di questo squisito vino-liquore è oggetto di creatività da parte di ogni vignaiolo-vinificatore e non esiste, nei particolari, un protocollo unico di preparazione. Ci sono delle regole generali, alle quali tutti si attengono, ma poi entrano in gioco l'arte nel produrre e del produrre. Ogni produttore è davvero un personaggio nella propria cantina, oltre che nella propria vigna.

La fermentazione del mosto con la buccia dura a lungo: da diverse settimane a due mesi circa e il contatto di esse svolge non soltanto un ruolo di apporto zuccherino, determinato dalla concentrazione al sole dell'acino, ma anche di aroma, di tannino e quindi di colore intenso, che a volte rischia di essere persino troppo marcato. Molto tannino può nuocere all'occhio, al palato e all'olfatto. Questi particolari diversificano un prodotto dall'altro: vera personalizzazione, che esprime passioni diverse, gusti diversi, competenze e creatività differenziate dei vari produttori. Ma un parametro che rimane sempre in comune a tutti è la fatica e l'amore per le vigne e le cantine.

Quando si svina, il Moscato Passito è ricco di sospensioni dovute a fermenti, a frammenti di buccia, di vinaccioli, e di sostanze colloidali sempre molto ricche sia nella bionda o passulata, sia nella malaga. Occorre un certo tempo, data la sua elevata densità, perché questo liquore si illimpidisca. In genere si conserva in piccoli tini nei quali il processo di decantazione viene facilitato dal clima invernale, anche se a Pantelleria le temperature rigide non si registrano quasi mai. Il colore, man mano che il prodotto illimpidisce, diventa meraviglioso e sembra parlare, esprimere in anticipo i caratteri olfattivi e gustativi di questo vino liquore che, a mio avviso, non ama molto avere dimora in legno, ma cerca presto la sua casa trasparente, e cristallina: il vetro. E non a torto: è proprio nella bottiglia perfettamente chiusa che il vino passito pantesco si conserva per tantissimi anni o, con il passare del tempo, acquisisce ricchezza eterea e rotondità al gusto. Parlare di patrimonio olfattivo e gustativo nel Passito di Pantelleria, non è semplice. Si va dai profumi terpenici, balsamici, a quelli eteri più complessi e più esclusivi di un bouquet del tutto particolare e inimitabile, che solo Pantelleria e pochissime altre zone riescono a produrre nella loro sede naturale. La riserva potenziale di aromi e di sapori ottenuta da innumerevoli composti originati dai vecchi ceppi di quelle viti umili inchinate ad uno spettacolo unico di cielo, di mare e di vento marino, è un patrimonio che la scienza riuscirà sicuramente a conoscere meglio, ma difficilmente a creare in alternativa. E questo è il bello e l'invincibile della natura.

 

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