Conversazione con un belfastardo
Robert McLiam Wilson con Paola Casella
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Capitolo 1/Eureka Street
Robert McLiam Wilson, piu' ancora che uno scrittore, e' un personaggio.
O meglio: quando l'attenzione e' puntata su di lui - nel corso di una conferenza stampa,
ad esempio, o della presentazione di un suo libro - si trasforma in un performer, un
fuoco di fila di battute spassose, uno spaccone tanto estremo quanto irresistibile.
Guardandolo in azione, si fa fatica a riconoscere nell'autore il lato timido e gentile che
caratterizza i personaggi dei suoi libri, ad esempio Jake, l'io narrante del recente
Eureka Street. E si rischia di trarre la conclusione che McLiam Wilson appartenga a quella
categoria di scrittori per i quali l'immagine e' preponderante rispetto alla scrittura, e
ne giustifica il successo.
Non e' cosi': la forza di Robert McLiam Wilson non sta nella sua
personalita' (o persona) pubblica, ma nella sua prosa, non nella forma fisica dell'uomo ma
nella forma letteraria dei suoi romanzi, che è ricca di sostanza. "McLiam Wilson
scrive come un dio", ha dichiarato Antonio D'Orrico di Sette, uno di quei critici che
di solito misurano le parole col bilancino. "Eureka Street e' degno di Hugo e
Dickens", ha sentenziato il Nouvel Observateur, organo di stampa poco incline
all'iperbole.
E anche l'uomo McLiam Wilson, una volta sceso dal palcoscenico, rivela
le fragilita' e la tenerezza che rendono amabile il Jake di Eureka Street: in piu',
l'autore rivela una forma estrema di buona educazione - che lui stesso definisce
"quasi giapponese" - e un genuino interessamento per il prossimo. Un'intervista
con l'autore si rivela inaspettatamente più simile a uno scambio di idee che a un
monologo - caso raro, quando si ha davanti un personaggio anche minimamente famoso.

Eppure, lo ripeto, Robert McLiam Wilson e' nato per fare il personaggio
pubblico. Innanzi tutto ha il fisico del ruolo: 35 anni, occhi verdi, una faccia da eterno
adolescente e un'espressione da poeta maledetto che, al Festivalletteratura di Mantova,
hanno richiamato frotte di ragazzine, a malapena scoraggiate dalla scoperta che Robert è
sposato e dichiaratemente monogamo.
Del bello e dannato l'autore ha anche la biografia: abbandonato dai
genitori all'eta' di 15 anni, ha trascorso un'adolescenza infelice nella sua citta'
natale, Belfast, tirando avanti - come i protagonisti dei suoi romanzi - con lavoretti
occasionali, fra cui quello del buttafuori, e sviluppando come strategia di sopravvivenza
- in quella situazione, in quella citta' - un senso dell'umorismo al confine del
vilipendio e un'autoironia al limite dell'autolesionismo, gli stessi che colorano i suoi
libri, e che l'hanno reso inviso nei paesi anglosassoni da chi crede che di alcuni
argomenti - il conflitto nell'Ulster, ad esempio - si debba parlare per forza con gravita'
e sussiego.
Da genio ribelle, dopo essersi laureato a Cambridge con una borsa di
studio McLiam Wilson si e' permesso di abbandonare l'accademia (nonostante fosse
"nato per fare il professore", come dice lui con comica immodestia) per
dedicarsi interamente alla scrittura. Il suo primo romanzo, Ripley Bogle, uscito nel 1989
(cioe' quando Robert aveva 25 anni), e' stato accolto dalla critica come un eccezionale
esordio letterario e gli ha guadagnato un seguito degno di un rockettaro. Del secondo
romanzo l'autore non vuole nemmeno ricordare il titolo: perche' faceva schifo, come ha
dichiarato a suo tempo ai mass media, per la verita' usando termini ben piu' grevi (il
personaggio pubblico McLiam Wilson smadonna come un marinaio: inutile dire che l'uomo non
si lascia scappare un "fuck" di troppo).
Eureka Street, il terzo libro di Wilson (a proposito: il cognome McLiam
l'ha aggiunto lui - e' la traduzione di Wilson in gaelico, un'efficace metafora delle due
anime etniche dell'autore) e' diventato in breve un caso letterario, e non solo per la
qualita' del romanzo in se'. Innanzitutto Eureka Street e' stato accolto in modo molto
diverso a seconda dei paesi: grande successo in Francia, Germania e Italia (dove il
romanzo è già alla terza edizione), grande freddezza negli Stati Uniti, soprattutto da
parte delle case editrici che non vogliono toccare un argomento "caldo" come la
questione irlandese con lo humor dissacrante di McLiam Wilson. Grande controversia infine
in Irlanda e Gran Bretagna, dove l'autore e' alternativamente osannato e dileggiato,
sempre per quella mania di trattare il proprio paese e la sua contorta politica menando
fendenti a destra e a manca, senza mai collocarsi su un lato solo della barricata.
Perche' a lui, cattolico che ha avuto a lungo una fidanzata protestante
e annovera fra i suoi amici componenti di entrambi gli schieramenti, la guerra fratricida
che si combatte da decenni a Belfast sembra ridicola e inutile; lui che, quando parla
della questione, dice: "Si fa una bella fatica ad essere razzisti, e in Irlanda e'
particolarmente difficile: cattolici e protestanti sono uguali per aspetto fisico, per
lingua, per abbigliamento. Per fare il razzista a Belfast bisogna alzarsi molto presto la
mattina, e concentrarsi al massimo".
L'altro aspetto curioso del successo di Eureka Street e' l'importanza
che ha ricoperto il passaparola, circolato soprattutto grazie a Internet: basti pensare
che la battuta iniziale del libro, "Ogni storia e' una storia d'amore", e' al
momento quella piu' citata della Rete, e che McLiam Wilson riceve, tramite il sito di
Amazon (www.amazon.com), una quantita' spaventosa di
messaggi e-mail che spaziano dall'apprezzamento letterario alla proposta di matrimonio.
In Italia e' possibile sapere di piu' su di lui, e magari fargli
pervenire una missiva, attraverso il sito della casa editrice di Eureka Street, la Fazi
Editore (www.fazi.it): dopo Mantova, sono gia' molte le
richieste di informazioni su Robert, soprattutto a firma femminile.
Come spieghi il tuo successo internettiano?
Ho scoperto grazie a un sondaggio di avere un grande seguito fra i
giovanissimi, dai 16 ai 25 anni, e all'interno di questa fascia di eta' Internet e' molto
diffuso: non so quale sia l'uovo e quale la gallina, ma ho l'impressione che si siano dati
man forte a vicenda. In Rete il passaparola funziona come un incendio nella foresta: i
navigatori si fidano del giudizio dei loro consimili e si divertono a far circolare una
voce, positiva o negativa: io sono stato molto fortunato.
Per me e' strano diventare un fenomeno on-line, perche' ho imparato a
usare Internet solo un anno e mezzo fa, proprio per poter rispondere agli e-mail dei
lettori. Ma sono felice di questo contatto immediato con loro: come scrittore mi aiuta
moltissimo a capire dove ci ho preso e dove no. Oltretutto adoro il rapporto diretto con
il pubblico. Anzi: posso dire che scrivo perche' poi siano i lettori a raccontarmi i fatti
loro.

Cronologicamente pero' non fai parte della computer generation.
No, sono troppo vecchio, anche perchè per certi versi mi sento
addosso piu' di cento anni, invece che 35. Il fatto e' che vivo da solo da quando
ne avevo 15, e ho raggiunto il successo come scrittore a 25. Non sono stato giovane quando
era il momento, cosi' ora da una parte mi sembra di aver gia' vissuto tre vite, dall'altra
ho l'impressione di regredire ogni anno che passa, di diventare sempre piu' infantile.
Forse e' davvero generazionale: i trentenni di oggi non vorrebbero
crescere mai. Guardo mio fratello minore, che ha 27 anni, e fa il medico, e penso:
accidenti, lui si' che e' un adulto, un dottore! E quando mi trovo vicino a un teenager mi
metto ad annusare l'aria per sentire il profumo della sua giovinezza.
Come trascorre le sue giornate un romanziere di successo?
Mi fanno ridere quegli scrittori che dicono di alzarsi presto ogni
mattina e di buttare giu' un capitolo al giorno prima dell'ora di pranzo. Io mi alzo
tardissimo e vado a guardare la televisione. Perche'? Perche' posso. Voi non fareste lo
stesso al mio posto? Poi vado in giro per la citta' a guardare la gente, che mi affascina
come nient'altro al mondo, anche perche' le vite delle persone sono molto piu'
interessanti di qualunque cosa potessi mai inventarmi io.
Come mai tutti i tuoi romanzi hanno un'ambientazione urbana?
Sono nato a Belfast e ho vissuto li' e a Londra, quindi le realtà
urbane sono le uniche che conosco. Sono un cittadino nell'animo, quando vado in campagna
davanti ai grandi spazi penso: "Qui ci starebbe bene un bel parcheggio". Mi
sento letteralmente strutturato sulla citta', e credo anche che il processo di crescita
urbana e individuale siano molto simili. E il fatto che un sacco di persone riescano a
convivere in uno spazio limitato mi sembra di per se miracoloso.
Per Belfast pero' sembri avere una simpatia particolare.
Chiaro, e' la mia citta', non tanto perche' ci sono nato, quanto
perche' li' ho avuto 17 anni, quel momento della vita in cui sei pieno di passione e di
succhi vitali. Conosco bene la sua gente, quelli che chiamo "belfastardi", e se
mi diverto tanto a prenderli in giro e' perche' li conosco bene e sono loro profondamente
affezionato. A Belfast se entri in un cesso pubblico trovi sempre un vecchietto che ti
chiede come stai e ti dice che gli ricordi un suo amico: non si direbbe, a vederci
dall'esterno, ma siamo socievoli in modo quasi promiscuo.
Qual è il tuo punto di forza come scrittore?
Il mio unico talento e' la capacita' di calarmi nei panni di chiunque:
donne, bambini, cani - non coi gatti, perche' i gatti appartengono solo a se stessi. E'
una capacita' quasi atletica, uno sfrozo ginnico simile a quello che richiede qualunque
relazione interpersonale. Quando scrivo manifesto ovviamente la mia visione del mondo, ma
resto convinto che le visioni del mondo di ogni singolo individuo stiano su un pari
livello di statura e complessita'. Sono anche convinto che i lettori siano sempre piu'
intelligenti dei libri che leggono: il che mi permette di sentirmi un genio quando
affronto Tolstoj.
Gia' che ci siamo, quali sono i tuoi scrittori preferiti?
Charles Dickens, naturalmente (la prosa di McLiam Wilson è
stata spesso paragonata a quella di Dickens, ndr). E credo che l'Ulisse di Joyce sia il
piu' bel testo del 19esimo secolo. Parlando dei contemporanei invece direi Salman Rushdie,
perche' anche se qualche volta e' pasticciato e confuso, resta un autore generoso e
profondamente democratico.
A proposito di Rushdie: vorrei raccontare un aneddoto che la dice lunga
sulla natura dei belfastardi. Una volta Rushdie e' venuto a Belfast a presentare un suo
libro, insieme a un orribile autore scandinavo di cui non faccio il nome, che in
quell'occasione si e' reso particolarmente insopportabile. Al contrario Rushdie si e'
comportato come un principe. Quando e' arrivato il momento degli autografi, dentro di me
ho pensato: andranno tutti da Rushdie e quell'altro non se lo filera' nessuno. Dunque mi
sono avvicinato allo scandinavo, per assicurarmi che almeno qualcuno gli avrebbe chiesto
l'autografo. Ma tutti gli altri belfastardi avevano avuto la stessa idea, e cosi' si e'
formata una fila interminabile di gente che, pur odiando quello scrittore, era disposta a
mettersi in coda per non farlo rimanere male.
Purtroppo non e' questa l'immagine che il resto del mondo ha degli
abitanti di Belfast.
In parte, hanno ragione. Mi vergogno come un ladro di quello che
siamo capaci di fare della nostra citta', soprattutto quando ci vanno di mezzo degli
stranieri, come e' successo qualche anno fa quando una bomba ha ucciso un gruppo di
turisti spagnoli. Altre nazioni sono celebri per il calcio, o per il patrimonio artistico:
noi siamo famosi per le bombe. Eppure provo una grande tenerezza per la mia gente, per la
sua ostinazione a sopravvivere nonostante tutto.
Di cosa parlera' il tuo prossimo libro?
Ci sono vari personaggi: l'io narrante e' uno scrittore trentenne
intorno al quale si muovono un uomo tormentato da una serie infinita di fobie, una ragazza
assuefatta a tutto l'asseufabile - alcool, sesso, fumo, droga - e un topo d'appartamento
diciannovenne con la mania del computer. E' un personaggio molto contradditorio: ha
lasciato il liceo pero' usa Internet per andarsi a leggere i poemi di Dante; ruba un sacco
di cose ma le regala alla ragazza della quale e' innamorato, entrando di nascosto in casa
sua e lasciandole la roba rubata in salotto.
Un eroe romantico, dunque.
Si', un personaggio quasi donchisciottesco. Non a caso e' il mio
preferito all'interno del romanzo, molto piu' interessante del protagonista, che invece e'
il mio alter ego. Anche lui, come me, e' mortalmente beneducato: infatti il romanzo inizia
con il suo tentativo di suicidio, che non va in porto perche', sul piu' bello, squilla il
telefono. "Ti disturbo?", chiede la voce all'altro capo del filo. E lui,
educatissimo: "Ma no, figurati, non stavo facendo niente di importante".
Che ruolo ha, nella tua vita, il senso dell'umorismo?
E' sempre stato la mia ancora di salvezza, soprattutto nei momenti piu' difficili.
Ed e' l'ancora di salvezza di tutta la mia citta'. E' cio' che, alla fine, quanto ti
guardi indietro, ti puo' dare l'impressione di aver vissuto degnamente. Non a caso la
risata e' la moneta di scambio dei bambini: sono disposti a inciampare di proposito dieci
volte di seguito pur di strapparti un sorriso. E se ci riescono, sono l'immagine stessa
dell'orgoglio.
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