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Documenti/Le forme della pubblicita’

 

Attilio Bertolucci

 

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Questa introduzione e il testo che segue sono presi dall’archivio delle Teche Rai

 

 

Attilio Bertolucci (Parma, 1911) e' stato uno dei prestigiosi protagonisti della grande radio culturale della prima metà degli anni '50.

Aveva già vinto il premio Viareggio per la poesia (1951) e il premio Villa d'Este, quando cominciò a collaborare alla più celebre trasmissione letteraria, L'Approdo, e subito dopo all'Osservatorio delle lettere e delle arti. Nel 1955, sul terzo programma, sotto la supervisione di Angelo Romanò, curò quattro puntate di un documentario radiofonico: "Le forme della pubblicità". I lettori dei testi erano attori del calibro di Arnoldo Foà, Riccardo Cucciolla, Ivo Garrani. In questo testo, mai ritrasmesso nè pubblicato, l'analisi della psicologia della pubblicità raggiunge forme di "preveggenza": ricordiamoci che sono passati 42 anni, la Tv era ai suoi albori, e Bertolucci ha già capito perfettamente dove ci porteranno le soapoperas e il "mecenatismo pubblicitario", come a dire... gli sponsor. Pagine sulle quali meditare a lungo.

 

 

I

LE FORME DELLA PUBBLICITA’
a cura di Attilio Bertolucci

II
LA PSICOLOGIA - I "MEZZI" PUBBLICITARI

 

1° Voce

Nel 1896 un articolo di fondo della rivista Printer’s Ink chiudeva con queste profetiche parole: "Forse, quando l’umanità sarà un po' più illuminata, lo scrittore di testi pubblicitari si metterà, come l’insegnante, a studiare psicologia." In effetti, non sapremmo affermare con sicurezza che oggi l’umanità sia più illuminata che nell’anno 1895, reso ai nostri occhi sfolgorante dalla distanza. Comunque, è un fatto che lo scrittore di testi pubblicitari s’è messo a studiare psicologia, e della psicologia si serve per orientare il più efficacemente possibile la sua speciale letteratura e la speciale arte figurativa che l’accompagna. Anche la pubblicità dunque, si è adeguata ai tempi, assumendo contorni e caratteri precisi di tecnica fondata su determinate discipline scientifiche, prime fra tutte la psicologia, la statistica e l’economia. Esse sono, nel paese più avanzato che esista in questo campo, l’America, ritenute ormai strumenti indispensabili all’impostazione d’ogni campagna reclamistica, e anche da noi in tal senso si vanno facendo progressi rapidissimi. La pubblicità artigianale, studiata al raggio della lampada domestica, sta scomparendo quasi del tutto, da muri e giornali. Quali sono le fondamentali leggi psicologiche che guidano i fabbricanti o, se preferite, i creatori di pubblicità? Va detto innanzi tutto che un principio elementare di psicologia della società moderna vuole che senza pubblicità nessun prodotto, anche di ottima qualità, può reggere nei confronti d’un prodotto concorrente e convenientemente, come si dice, reclamizzato. E non basta iniziarla, una campagna, bisogna sostenerla, insistervi con un ritmo misurato sulle reazioni, registrabili, del pubblico.

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Questo pubblico, eccoci agli elementi-base di psicologia, dei quali si deve tener conto, ha naturaliter tendenze favorevoli ed tendenze sfavorevoli alla pubblicità. Lo portano ad accettarla il gusto dell’informazione, quale che essa sia; il bisogno della scelta rapida; una certa pigrizia mentale; il desiderio di fare economia; l’aspirazione a migliorare il tenore di vita; la vanità; la sensibilità, la sessualità. E si potrebbe continuare. Portano invece il pubblico a rifiutarla la saturazione; lo spirito anticonformista; l’aspirazione alla difesa del proprio io privato. E così via... Se cerchiamo di verificare su di noi l’esistenza di tali tendenze, possiamo dire che, più o meno, ci siamo. Il gusto di informarsi sulla cura del raffreddore scorrendo avidamente gli annunzi delle ditte farmaceutiche chi vorrà negarlo? Non noi, che ci ricaschiamo sempre, fra novembre e marzo. (Prima e dopo, del resto, saggiamente tali annunzi scompaiono; i raffreddati fuori stagione si arrangino). Quanto alla necessità d’una scelta rapida: chi di voi, amleticamente immobile davanti alla vetrina d’un profumiere di città sconosciuta (avevate dimenticato di ficcare il sapone nella valigia) non è stato soccorso, dal profondo dell’inconscio, dal mille volte, magari con fastidio e rabbia, letto sul giornale, ascoltato alla radio, visto al cinema slogan sull’incomparabile prodotto x? E’ pure generale il desiderio di fare economia, un desiderio assai spesso platonico e velleitario, residuo di antiche prediche e di scadute ideologie, mentre tutto il meccanismo della vita attuale, appunto per impulso della pubblicità, tende a non farci economizzare un bel nulla. Ma gli accorti psicologi conoscono le umane debolezze; così suggeriscono la campagna pubblicitaria sull’automobile, sul frigorifero, sul formaggino, ribassati, mettiamo, del 5%. E noi per economizzare, ci precipitiamo ad acquistar prodotti dei quali avremmo potuto fare a meno benissimo. L’aspirazione a migliorare la nostra esistenza ci tiene incantati davanti alle azzurre spiagge e alle candide nevi della pubblicità turistica. Non vediamo mai dietro le profondità marine e le solitudini alpestri, i burrò degli albergatori, le tariffe dei bagnini e dei maestri di sci. Il dialogo è fra noi e la natura, venuta a visitarci e confortarci con le sue promesse nel più brutto momento della giornata cittadina, fra un filobus affollatissimo e uno squallido ufficio o viceversa. Altre componenti dell’individuo medio sono sensibilità e sessualità. Qui i pubblicitari fanno leva su quanto vi è di più elementare nell’uomo, e lo fanno di continuo, sicuri di colpire sempre giusto. Innumerevoli figure di bambini, ora piangenti, ora sorridenti, (a seconda che lo si privi o lo si colmi dei prodotti reclamizzati), infinite belle donne, queste sempre sorridenti (perché non si dà bella donna piangente) accompagnano la marcia trionfale della pubblicità nel mondo moderno. Quanto alla vanità e allo snobismo, sono pur essi elementi da non trascurare. E’ una delle consolazioni della gente di oggi, anche della più modesta, poter appagare, grazie alle pietose menzogne della pubblicità, l’universale aspirazione all’eleganza, un tempo riservata a pochissimi. Chi non può oggi, con una modesta somma, acquistare quello che manifesti, giornali, radio, ci assicurano, con garanzie di dive e divi, essere il "sapone della donna di classe", "la camicia dell’uomo distinto"? La prima della cause che possono determinare uno scatto negativo è la cosiddetta "saturazione pubblicitaria". Anche di questo fenomeno ognuno di noi può rendersi facilmente conto. Un esempio: se nello stesso quotidiano la stessa pagina, reca, poniamo non una, ma due ditirambiche, apparentemente scientifiche, dimostrazioni della qualità unica di due diversi super-carburanti, il lettore finisce per non credere più né all’uno né all’altro. E fa il pieno, per timore di imbrogli, con la più normale delle benzine. Reagisce negativamente a gran parte della pubblicità l’individuo e potremmo dire il popolo dotato di maggior spirito critico, sia per formazione ed educazione, che per natura o per tradizione radicata. E’ chiaro che un parigino o un romano sono meno facilmente suggestionabili d’un nordamericano. Ma i "pubblicitari" non si scoraggiano: uno, perché nel mondo sono più coloro che vogliono essere convinti che quelli che non vogliono esserlo; due, perché gli insofferenti che si diceva, a lungo andare finiranno per cedere.

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2° Voce

Determinato col sussidio della psicologia un campione d’uomo ideale, a riflessi e reazioni perfettamente controllabili, anche nelle piccole e grandi mutazioni provocate dal variare delle mode, il "pubblicitario" imposta e lancia le sue campagne. Scopo di esse, è, gradualmente, prima attirare l’attenzione, poi informare, successivamente persuadere, infine convincere ad acquistare. Poiché "i mezzi" pubblicitari sono visivi o auditivi, va da sé che gli annunzi debbono attirare la nostra attenzione colpendo innanzitutto i nostri occhi e i nostri orecchi. Così i cartelli stradali han da essere collocati ad un’altezza conveniente alla lettura, impressi in colori di richiamo, accompagnati da testi semplici, piacevoli e facili a ricordare. Mentre la pubblicità radiofonica deve essere scandita con voce chiara, simpatica, suadente, contenuta in una frase breve e significante, accompagnata se possibile da una sigla musicale, da un motivetto orecchiabile. Attirata che sia l’attenzione, si tratta di informare: che, mettiamo, la pasta tale è all’uovo, il tonico tal’altro al carciofo; quest’acqua minerale litiosa, quella stoffa lanosa ecc... Tutte belle qualità, che però non potrete verificare altro che dopo aver consumato il prodotto. Ma, e qui si rivela l’arte del "pubblicitario", un’immagine, un’associazione di colori, una frase, possono persuaderci della verità dell’asserto con la pura forza di evocazione e suggestione da esse sprigionata. Intendiamoci, questa persuasione non è un fatto documentabile a botta fresca. Depositata al fondo del nostro inconscio non agirà che più tardi, automaticamente, come una bomba a scoppio ritardato, decidendoci al momento buono per la pasta, il tonico, l’acqua minerale, la stoffa che ci avranno, per virtù di colori e figure, immagini e parole, suoni ed accordi, più durevolmente convinti. Ecco perché l’influenza della pubblicità sul costume è assai grande. Stabilire se i benefici che essa apporta all’uomo contemporaneo siano maggiori dei danni che indubbiamente gli arreca, non è facile. Gli argomenti dei sostenitori della funzione positiva della pubblicità per il progresso dell’uomo riguardano generalmente il progresso materiale. E’ indubbio, ad esempio, lo stimolo a lavarsi i denti esercitato dal fuoco incrociato delle ditte di dentifricio, con le loro improvvise trovate e sortite a base di antienzimici, di clorofille o di fluori più o meno fondate sul piano scientifico, fondatissime su quello psicologico. Ora, dato che l’uso di spazzolino e pasta dentifricia sia un segno di miglioramento del livello di vita di una nazione, bisogna riconoscere che nessun governo avrebbe potuto ottenere un risultato così grandioso come quello raggiunto dalle tre o quattro ditte in lizza con i loro ben aggiustati tiri reclamistici. Si potrebbero dare tanti altri esempi e si potrebbe, sulla scorta delle inchieste e statistiche fornite da ditte ed agenzie, misurare, preso in esame un certo numero di anni, la trasformazione delle abitudini di vita del nostro paese in rapporto allo sviluppo ed alla espansione della pubblicità. L’Italia, nazione moderna è l’Italia di questi ultimi dieci anni, campo di battaglia, non più di eserciti rivali, ma di società commerciali concorrenti, come dimostrano città e campagne che manifesti e cartelli, quasi fossero vessilli ed insegne di opposte schiere in campo, tengono di continuo sotto la loro pacifica ma irresistibile offensiva. Ora, quando si dice che la pubblicità influenza in maniera benefica l’umanità, promuovendo un sempre più esteso livellamento sociale, aiutando infine la democrazia medesima, non si guarda solo all’incremento dei consumi che essa porta e all’abbassamento di prezzi che ne segue. Non sono solo igiene personale, razionalizzazione del lavoro domestico, semplificazione della rasatura che le mitiche figure di massaie e di uomini qualunque moltiplicate all’infinito dalla pubblicità, vengono a toccare ed investire. Le loro immagini finiscono per rappresentare l’ideale della donna e dell’uomo d’oggi. Non un ideale inaccessibile, quali potevano essere dei e semidei dell’Olimpo, principi e principesse del Medioevo, contesse e lord dell’Ottocento. Ma qualcosa di vicinissimo, di meravigliosamente alla portata di ognuno. Ecco, per essere felici, pur avendo da lavare e stendere biancheria, non basta imitare quella sposina così in ordine, col suo grembiule stirato, con i suoi capelli ben ravviati che sorride da tutti i muri? Che ci vuole perché il maschietto non abbia nulla da invidiare a quello addormentato vicino al suo orsacchiotto che un manifesto ha reso familiare a tutti? E il marito, malgrado le preoccupazioni di bilancio, quando esce di casa il mattino, è molto diverso da quello che consiglia dalle cantonate la famosa crema da barba? Il quadro è certamente molto ottimistico. Eppure la gente va in questo modo liberandosi non solo da servitù materiali, ma pure da complessi morali. E’ la tecnica, a determinare questa progressiva evoluzione, ma è la pubblicità ad aprire la strada, a preparare il terreno. Il fenomeno è imponente: la marcia in avanti segna il passo soltanto dove cominciano i terreni aspri e selvatici delle zone arretrate, delle aree depresse. Come non considerare di buon augurio, per l’avvenire di esse, l’apparizione, sui muri di sasso sinora vergini, della ragazza col gelato da passeggio, della massaia presso la bombola di gas liquido, del giovanotto in motorscooter? Anche se ci piangerà il cuore per ragioni estetiche, non potremo che rallegrarci.

 

1° Voce

Quanto è mutata, sostanzialmente, la pubblicità dai tempi antichi che la videro nascere? Ben poco, anche se è cresciuta in maniera mostruosa: i "mezzi", perfezionatissimi, sono quelli di sempre. In fondo ogni forma di pubblicità visiva, manifesti, cartelli, ecc... ha i suoi precedenti nelle insegne e negli albi antichi, mentre le forme di pubblicità auditiva, in primis la radiofonica, ha i suoi negli araldi e banditori, non più accompagnati da pochi, deliziosi pifferi e tamburi, ma di intere, rumorosissime orchestre. La ditta che vuole iniziare una campagna si informa innanzitutto delle condizioni del mercato, poi si preoccupa di far servire al suo scopo il "mezzo" più adatto a propagandare il suo prodotto. Qui soccorrono l’indagine psicologica, la documentazione statistica, il referendum: si capisce non con assoluta precisione, ma sempre con buone probabilità di avvicinarsi al segno. La pubblicità che fiorisce e doviziosamente s’espande all’aria aperta, sia sui tralicci posti lungo le strade di grande traffico che sui muri delle città, è fondata perloppiù sulla suggestione del marchio, delle immagini e dei colori, di una frase semplice e facile a ricordarsi: il tutto ben aerato, spaziato, proporzionato. Non è possibile in questo genere, come in altri, argomentare; bisogna invece ripetere e ripetere, sino all’ossessione. Ben lo sanno i "pubblicitari" che infilano teorie di cartelli identici ai due lati delle strade, coprono i muri di manifesti perfettamente uguali a pochissima distanza l’uno dall’altro. Dal punto di vista dell’effetto, il manifesto murale è uno dei mezzi più sicuri e a più largo raggio. Nello stesso giorno una ditta ben organizzata può farlo affiggere in tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia. E possono sottrarsi alla sua influenza soltanto analfabeti, malati costretti a letto e religiosi con voti di clausura. Perciò qualsiasi prodotto può venire lanciato in questo modo, mentre i cartelli che corrono lungo le autostrade, rivolgendosi soltanto ai motorizzati, vogliono una categoria particolare di prodotti. Aperitivi, benzine, calze di seta, gomme, profumi, spiagge di moda, sono le sirene che più di frequente allettano l’intento occhio dell’automobilista, questo mediocre Ulisse dei nostri tempi. I difensori del paesaggio protestano, ma i cartelli si moltiplicano infastidendo italiani e stranieri: non importa, leggi oggi, leggi domani, viene il giorno che alla prossima tappa il nostro pellegrino chiede l’aperitivo che tante volte lo ha accompagnato, con richiamo insistente, per le lunghe e noiose marcie di trasferimento. Altrettanto, e più prepotenti nella presa di possesso del mondo esterno, sono le insegne luminose. Ma mentre i cartelli stradali, per discreti che siano, difficilmente s’inseriscono nel paesaggio senza turbarlo, le scritte al neon che s’accendono ogni sera, di comune accordo con le stelle, nelle città, meravigliosamente al volto notturno delle città stesse s’accordano. Quanto alla resa pubblicitaria deve essere senz’altro assai rilevante se ormai non solo ogni città è paese, ma ogni agglomerato di case di una certa importanza se ne va fregiando gloriosamente. La pubblicità fatta attraverso giornali e riviste, malgrado il diffondersi di nuovi "mezzi", rimane forse la più efficace di tutti: non è la minor ragione di questo la possibilità che ha la stampa di penetrare nella casa dell’uomo senza affatto figurare da intrusa. In Italia ai quotidiani, letti da circa il 50% della popolazione, si sono aggiunti negli ultimi anni, con ritmo di diffusione pauroso, le pubblicazioni periodiche che vanno sotto il nome di rotocalchi. Non v’è campagna importante di pubblicità che non spieghi le sue insegne contemporaneamente su quotidiani e settimanali; ma mentre i primi, importanti anche se regionali, possono propagandare prodotti e servizi appunto regionali, i secondi incidono su di un piano sempre regionale. Un dato psicologico accertato, che fa apprezzare particolarmente le inserzioni sui settimanali, vuole che questi ultimi vengano letti con attenzione maggiore che i quotidiani, e più a lungo conservati. D’altra parte il quotidiano ha un potere immediato d’urto più forte, il suo ultimo paginone dà un gran senso di potenza e di prestigio alla ditta che se ne è, sia pure per un giorno, impadronita. La bella pagina finale in quadricromia è invece più insinuante, trattiene più a lungo e più piacevolmente l’occhio del lettore e della lettrice, cui più spesso si rivolge.

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2° Voce

A proposito dell’occhio. La pubblicità è talmente razionalizzata oggi, che si fa pagare all’inserzionista assai più caro lo spazio ritenuto più facile a vendersi: nei quotidiani il quarto superiore della pagina a destra. Il principio che l’inserzione interpolata nel vivo del testo sia più producente non sembra ormai così vera, e infatti le pagine all’inizio e alla fine delle riviste, tutte o quasi omogeneamente pubblicitarie sono tanto ben fatte, da venir guardate con gusto malgrado la loro chiara natura reclamistica. Questo gusto per la bella pagina di rèclame a colori, era già vivo in America da anni, e sembrava incomprensibile. Ma ecco che le tavole ben apparecchiate, le cucine metalliche, i frigoriferi, le lavatrici, le automobili nuovo modello, anche da noi occupano gran parte di queste pagine. E perchè non dovremmo soffermarci in tale giardino di tentazioni cui i colore dà un prestigio che supera i limiti della realtà? Nulla di male se automobile e lavatrice, frigorifero e TV, non saranno alla vostra portata, neppure a rate. Non ci sono il sapone x, il dentifricio y ad offrirveli, con i loro concorsi a premio? E’ sufficiente perchè voi possiate mirarveli sulla pagina lucida come già v’appartenessero. I concorsi sono fra i più potenti "mezzi" pubblicitari, la loro leva psicologica fa presa sull’homo ludens, categoria esterna. Negli Stati Uniti, dove questi fenomeni della vita moderna assumono proporzioni straordinarie, esistono i "fanatici dei concorsi" (contest-hounds), che si associano in leghe per potersi difender meglio dagli eventuali imbrogli, o cavilli dei banditori. Ancora noi non ci siamo arrivati, ma non si può mai dire. (Pausa) Verba volant...... Andrebbe il vecchio proverbio applicato anche alla pubblicità? Infatti con tutto che la radio sia un ottimo veicolo reclamistico, la stampa, da quella dei manifesti a quella dei giornali e riviste, per il solo fatto che i suoi scritti restano, mentre le parole della radio volano sarebbe anche più sicuro, se pur meno prestigioso, mezzo di propaganda. Comunque, stampa e radio associate, con ripetizione degli stessi slogan, danno i risultati più forti. Pare che il primo annunzio pubblicitario sia stato trasmesso nell’agosto 1922 in America. Da allora il flusso è andato sempre aumentando di volume e di importanza. Una formula molto gradita e quindi redditizia di pubblicità radiofonica è quella delle trasmissioni offerte dalla ditta con appena un discretissimo biglietto da visita appuntato in testa o in coda. Negli Stati Uniti sono proverbiali le storie a puntate, che le ditte di saponi o detersivi offrono alle donne di casa: "soap-operas", vengono appunto chiamate, e dividono con i Thriller (o gialli) e le horse operas (o storie di cow-boys) pure a puntate, i favori della maggior parte del pubblico americano. Da noi hanno un particolare successo le trasmissioni miste di canzoni e scenette comiche ed i concorsi a premio. Fa parte ormai della storia minore d’Italia la sigla musicale eroicomica d’una famosa serie parodistica: I tre Moschettieri, che venti anni fa con l’abbinato lancio di figurine, portò il nome di una ditta dolciaria e dei suoi prodotti a una notorietà mai prima conosciuta in Italia. Erano allora i tempi che la radio aveva quasi tutte le sue ore di trasmissione occupate dalle sigle musicali, dalle marcie e dagli slogan della propaganda politica: gli stentorei squilli di tromba della produttrice di cioccolato finirono per essere la sospirata alternativa di ben altri squilli. Ma non è detto che la pubblicità radiofonica punti soltanto sui gusti più facili, offrendo partite di calcio, riviste, cantanti dalla voce profonda, facili (o difficili) indovinelli musicali. Nel quadro delle cosiddette campagne di prestigio, c’è chi si azzarda a spendere grosse somme per offrire all’ascoltatore ottimi concerti, contribuendo alla diffusione della cultura musicale. Su questa strada c’è molto da fare: perchè non dovrebbe avverarsi la profezia, tutt’altro che cervellotica, secondo cui finita l’età del mecenatismo principesco dovrebbe iniziare ora quella del mecenatismo pubblicitario? Cos’erano se non sottili manovre pubblicitarie, e a tariffe quanto mai ridotte, le commissioni date dai signori d’un tempo ai Brunelleschi, Palladio, ai Veronese, ai Monteverdi?

 

 

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