Caffe' Europa
Attualita'



Banalitą al cubo: funziona

Paola Casella

 


Articoli collegati
Banalitą al cubo: funziona
Serie che vince non si cambia
Tutti i siti dell'Enterprise/Guida galattica per gli internettisti

 

Ci sono riusciti anche questa volta: l'ultimo episodio della saga cinematografica di Star Trek -- l'ottavo, dal sottotitolo L'insurrezione -- ha calamitato nelle sale folle di fan vecchi e nuovi: oltre 50 milioni di spettatori negli Stati Uniti mentre in Italia il film continua a essere in testa alle classifiche a un mese dall'uscita. Eppure il portavoce del coordinamento mondiale dei fan club di Star Trek ha dichiarato pubblicamente che L'insurrezione e' l'episodio piu' debole della serie; eppure il nuovo equipaggio della nave Enterprise, che ha seguito quello storico comandato dal Capitano Kirk, e' sembrato gia' bisognoso di un lifting, di quelli cui si sottopongono ripetutamente i cattivi de L'insurrezione.

Tutte chiacchiere: la fedelta' dei trekkie, cioe' gli aficionados di tutto il mondo, rimane inossidabile e anzi, sembra sempre piu' legata alla ripetitivita' della serie e alla longevita' delle sue star. Immediato il parallelo con la serie rivale Guerre stellari, il cui prossimo episodio, intitolato The Phantom Menace -- un prequel, cioe' la narrazione di una vicenda precedente a quella raccontata nel film di esordio della saga -- ha gia' superato tutti i record di botteghino negli Stati Uniti, dove ha debuttato a maggio, e si prepara a fare altrettanto in Italia, dove l'uscita e' prevista per meta' settembre.

Se Guerre stellari, tanto per il numero limitato di episodi (quattro in tutto, compreso quello nuovo) quanto per il dispendio di mezzi, e' un fenomeno fatto di grandi eventi -- il ritorno nelle sale, qualche anno fa, del film originale rimasterizzato, l'uscita dell'ultimo episodio preannunciata da un battage pubblicitario senza precedenti, dai cartelloni a tutta parete sui palazzi cittadini alla preview online ai prossimamente nelle sale cinematografiche mesi prima del debutto -- Star Trek rimane un omaggio alla prevedibilita', un'abitudine rassicurante, un rituale prima di tutto domestico, in quanto nata sul piccolo schermo.

trek09.jpg (14744 byte)

Tra l'altro, anche sul piccolo schermo la serie ha trovato il successo grazie alla ripetitivita': la prima serie, nata nel 1966 dalla fantasia dell'ex aviatore Gene Roddenderry, non suscito' grandi entusiasmi finche' non fu replicata in sindacation, e solo allora trovo' la sua audience di serial cult. Tutti quelli che potevano essere bollati come difetti della serie (e lo furono, fintanto che Star Trek fu "venduto" come una novita' da prime time) diventarono in un istante chicche per intenditori: ad esempio l'artigianalita' degli effetti speciali (primo fra tutti quello della "smaterializzazione" sotto un cono di luce), l'ostentata falsita' degli scenari da studio, la primitivita' della recitazione, persino la bruttezza dellle tutine spaziali dell'equipaggio (modello pigiamino Calida, osservarono in molti) e la grossolanita' del trucco (indimenticabili le orecchie di latex di Spock o i parrucchini sempre piu' improbabili dell'imbolsito Kirk).

L'approdo della serie televisiva al grande schermo, datato 1979, non ha commesso l'errore di pensare in grande: il primo film, chiamato semplicemente Star Trek: the movie, era ne' piu' ne meno che un episodio della serie televisiva appena un po' rimpolpato, e cosi' pure tutti i sette seguiti. E' rimasta intatta la poverta' dei mezzi, gli scenari sono sempre palesemente finti, i costumi volutamente kitch. Perche' l'appeal di Star Trek dev'essere squattrinato e ruspante, almeno quanto quello di Guerre stellari e' opulento e costruito fino all'ultimo dettaglio. Si va a vedere Guerre stellari per gli effetti speciali avveniristici, le tecnologie all'avanguardia, le star -- da Harrison Ford, che divenne un divo proprio grazie al primo film della serie, ma che comunque vantava gia' una star quality assai maggiore di William Shatner-Capitano Kirk, al prestigioso cast di The Phantom Menace, che comprende Liam Neeson, Ewan McGregor e Natalie Portman.

In Star Trek gli attori sono e rimangono rigorosamente di serie B (anche se molti "ospiti" della serie televisiva hanno avuto brillanti carriere, e anche se il Capitano Picard, al secolo Patrick Stewart, vanta una discreta carriera teatrale): anche in L'insurrezione l'unico nome di spicco e' quello di F. Murray Abraham, il cattivo dell'episodio, gia' candidato all'Oscar per la sua interpretazione del compositore Salieri in Amadeus: un ottimo attore, non c'e' dubbio, ma fondamentalmente un caratterista, non una superstar. Cosi' gli scenari di L'insurrezione rimangono di cartapesta, gli effetti speciali si limitano ad alcune creazioni virtuali computerizzate che fanno rimpiangere i modellini alla Ed Wood, il make up di F. Murray Abraham sembra uscito da un negozio di giocattoli la sera prima di Halloween. E' una forma di ingenuita' stilistica e visiva perseguita con scaltra ostinazione, anche a rischio di sembrare superata, anzi, col gusto di apparire pervicacemente datata, come se la nave Enterprise, invece che nel futuro, fosse permanentemente ibernata negli anni Settanta, all'interno di un vecchio Telefunken.

trek08.jpg (26897 byte)

Anche i contenuti della serie di Star Trek sono molto piu' naif di quelli di Guerre stellari. La saga di Lucas, pur essendo assai piu' densa di azione di quanto non sia mai stata quella di Star Trek, ha addirittura toccato argomenti metafisici, ha dato origine a complesse interpretazioni freudiane -- vedi il conflitto edipico fra Luke Skywalker e Darth Vader. Star Trek si e' sempre limitato a trasmettere un genrico messaggio di tolleranza e di tutela delle minoranze: un araldo ante litteram della political correctness, un predecessore della new ethnicity di fine anni Sessanta, sempre pero' molto all'acqua di rose, attraverso parabole caserecce e massime da cioccolatino, pronunciate con solenne gravita' prima da Kirk e ora da Picard, cui il cranio ovoidale conferisce piu' spessore intellettuale dei parrucchini di Shatner.

Se Guerre stellari celebra la tecnologia spaziale piu' spinta (e ha preceduto e alimentato la politica di, appunto, guerre stellari dell'America anni Ottanta), Star Trek diffida di tutto cio' che e' scienza e meccanica. Le peregrinazioni intergalattiche dell'Enterprise, per "andare dove nessun uomo era mai andato prima", si rifanno piu' al mito di Ulisse, alla sua sete di conoscenza, che al desiderio reaganiano di supremazia planetaria (o a quello kennediano di primato spaziale). Anche L'insurrezione calca la mano sul tema della tolleranza fra i popoli, e la trama assume una insolita coloritura di attualita': nel corso della trama infatti, la Federazione (leggi: l'Onu dello spazio) discute la necessita' di intervenire o meno all'interno di una lotta fratricida fra due popoli rivali, i pacifici Son'a e gli aggressivi Ba'ku.

I Ba'ku cercano di cacciare i Son'a dalla loro terra, perpetrando una vera e propria pulizia etnica, e l'evacuazione della minoranza mite ("solo 600 individui", continua a ricordarci Picard) ricorda da vicino l'esodo kosovaro.

Non guasta che i Son'a abbiano rfiutato qualsiasi forma di meccanizzazione, siano rigorosamente vegetariani e possiedano non tanto il segreto dell'eterna giovinezza, quanto quello della serenita' d'animo, invidiato persino dal saggio capitano dell'Enterprise.

trek07.jpg (14911 byte)

Se L'insurrezione ha deluso qualche fan per la quasi totale mancanza di azione, la sua fedelta' allo schema fondamentale della serie -- e al suo look cheap & fun -- ne ha comunque garantito il successo commerciale. Anche perche' ormai il culto di Star Trek e' talmente pervasivo e strutturato da fare invidia a un'organizzazione politica grassroot: dieci milioni di appassionati per lo piu' affiliati a centinaia di fan club (quello ufficiale americano conta 40 mila soci, quello italiano 3500) che si incontrano regolarmente ai meeting (le famose "convention") dove adulti maggiorenni e vaccinati non si vergognano di presentarsi mascherati con la tutina di Kirk o le orecchie di Spock, e che visitano ripetutamente la mostra permanente a Washington come farebbe un ciellino a Lourdes.

Il merchandising collegato alla serie, valutato complessivamente intorno al miliardo di dollari, e' una vera macchina da guerra: libri, fumetti, giocattoli, videocassette, videogiochi, abbigliamento (ebbene si', i pigiamini Calida sono ancora il pezzo forte). Ovvio corollario il collezionismo, prevedibile per un fenomeno che ha come target uno zoccolo duro di abitudinari disposti a rivedere cento volte lo stesso episodio e a conservare qualsiasi memorabilia legata alla serie come una reliquia.

Per una serie che vanta orgogliosa le sue radici pop e si rifiuta ostinatamente di fare cultura "alta", Star Trek e' stata inaspettatamente oggetto anche di studi seriosi: trattati scientifici sulla possibilita' di concretizzazione delle ipotesi tecnologiche avanzate dai membri dell'Enterprise, osservazioni sulla valenza pedagogica di una nave spaziale che vede rappresentate fra i suoi componenti tutte le razze del pianeta (i corrispondenti americani della Pravda, a fine anni Sessanta, si premurarono di fare pressioni perche' anche un russo facesse parte dell'equipaggio: di qui l'aggiunta del secondo Pavel Checov accanto all'orientale Sulu e alla nera Uhura). Non a caso fra i fan illustri c'e' stato anche Isaac Asimov, che si adopero' a suo tempo perche' la serie venisse resuscitata in sindacation, ma anche Gerald Ford e Nelson Rockefeller (in Italia stiamo a Fabio Fazio e a Lorella Cuccarini, che ha recitato un cameo nel penultimo film della serie).

Dopo quattro serie televisive distribuite in cento paesi del mondo, l'ultima delle quali e' ancora in produzione negli Stati Uniti, dopo otto film, la voglia di perpetrare il rituale non e' ancora scomparsa. Perche' Star Trek rimane ancora una delle poche cose su cui possiamo contare: semplice come la cucina di mamma, di modeste pretese (ma affidabile nel mantenere le sue poche promesse), e ostinatamente umanista in un'epoca di dominio tecnologico. Non a caso entrambi gli equipaggi dell' Enterprise hanno avuto a bordo un componente non umano -- il vulcaniano Spock, l'androide Data -- estremamente efficiente eppure prono al tilt strumentale, e soprattutto ansioso di provare sulla propria pelle (o hardware) emozioni terrestri (Data si e' addirittura procurato un chip allo scopo). Forse il continuato successo della serie sta proprio nella domanda base di Spock e Data -- che cosa rende umano un essere umano? -- e nella semplicita' estrema della sua risposta -- l'insopprimibile capacita' di empatia.

 

Articoli collegati
Banalitą al cubo: funziona
Serie che vince non si cambia
Tutti i siti dell'Enterprise/Guida galattica per gli internettisti

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio Cinema



homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo