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Serie che vince non si cambia

Roberto Nepoti

 


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Questo articolo e' apparso su "La Repubblica" (www.repubblica.it) del 5 luglio 1999

Da una parte c'è il serial, erede del feuilleton della letteratura popolare, vecchio quanto è vecchio il cinema; dall'altra parte c'è la serie. La differenza è che, laddove il primo presuppone uno sviluppo cronologico e dà luogo a una narrazione "a puntate", la seconda ripropone lo stesso personaggio (gli stessi personaggi) in situazioni del tutto indipendenti da un episodio all'altro. Così funzionano le più celebri serie cinematografiche che si sono succedute nei decenni: da Tarzan a James Bond, da Maciste a Sherlock Holmes. Il "titolare" comanda la serie e ha il privilegio di vivere nella stessa maniera cento storie differenti. Se possiede una cifra mitica molto forte, può essere incarnato da attori diversi (vedi ancora 007, Batman ecc.). Alcune serie, invece, sono indissolubilmente legate alla maschera dell'attore con cui il personaggio è nato: chi potrebbe immaginare un Fantozzi con tratti diversi da Paolo Villaggio o - per viaggiare da un estremo all'altro - un Rambo senza i muscoli e il faccione sofferente di Sly Stallone? Molto tempo fa Umberto Eco ci fece notare che la serie dà solo l'illusione di scoprire storie nuove, mentre il nostro piacere riguarda il consumo ripetitivo e deriva - precisamente - dalla fedeltà ad uno schema narrativo sempre uguale a se stesso. Da una ventina d'anni almeno, l'assuefazione alla televisione (che rispetta gli appuntamenti fissi) ha fatto dilagare la serialità sul grande schermo: tre "Indiana Jones", tre "Rambo", quattro "Guerre stellari", quattro "Superman", quattro "Batman", quattro "Arma letale", cinque "Rocky", sette "Nightmare", nove "Star Trek"...

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Se, in origine, fu l'Europa a introdurre nel cinema il serial e la serie, più tardi è stata l'America a specializzarsi nelle produzioni seriali. Però si ricordano con facilità serie europee di grande successo, varianti del giallo (le inchieste del commissario "Maigret", dai romanzi di Simenon) alla commedia (la serie di "Don Camillo", dalle pagine di Guareschi), alle farse (la serie del "gendarme" con Louis De Funès). Con alcune serie "natalizie" la dipendenza del grande schermo dalla tv si fa strettissima: vedi le "Vacanze di Natale" con Massimo Boldi e Christian De Sica che, episodio dopo episodio, dura ormai da una decina d'anni. Ci piaccia o no, l'affezione alla serie resta fortissima: i tempi cambiano, le serie restano e ci rassicurano con la loro stabilità all'interno di eventi (reali) che non siamo in grado di controllare. Pare proprio che noi spettatori abbiamo bisogno di ritrovare, ad appuntamenti fissi, i nostri fantasmi. Così, anche il tartassato ragionier Ugo Fantozzi rischia di salire all'Olimpo degli immortali. Lui, che era già morto in "Fantozzi in paradiso" poi è resuscitato, come accadde un tempo a Sherlock Holmes e a Pinocchio.

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