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Chiara Lico
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“Speriamo che anche altri governi abbiano ora il coraggio di
avviare un dibattito simile a quello affrontato dall’Olanda”. È
il 10 aprile del 2001, esattamente un anno fa: il ministro della
sanità olandese, Els Borst, esprime pubblicamente l’augurio che
anche altre nazioni raggiungano il primato coronato dall’Olanda.
Quello, per intenderci, che la vede primo paese al mondo ad avere
approvato la legge sull’eutanasia con 46 sì contro 28 no
pronunciati in senato.
Percorso non facile, a dire il vero. Né prima, né dopo. Prima,
perché “depenalizzare il suicidio assistito” significava fare i
conti con un quadro di norme che dovevano ripulire l’eutanasia da
quell’alone grigio che le gravitava intorno. Per cui, pur essendo
reato, essa risultava di fatto tollerata. Non a caso nel 2000 erano
stati registrati 2113 casi di morte assistita.

Dopo, perché per quanto il primo ministro
olandese Wim Kok dicesse che la legge era il risultato di un “lavoro
coscienzioso”, e i sondaggi condotti proprio in occasione del
dibattito parlamentare dessero per vincente la proposta non solo per
“gravi sofferenze fisiche” (85%), ma addirittura anche nei casi
di “sofferenze psicologiche” (57%), le proteste furono più
numerose del previsto, con migliaia di manifestanti davanti al
Senato.
Comunque oggi, a un anno di distanza, la legge sul “controllo dell’interruzione
della vita su richiesta” in Olanda è in vigore. E mentre entra in
Europa prepotentemente, porta con sé una domanda: gli altri stati
europei sono pronti ad avviare il dibattito, come si augurava un
anno fa il ministro Borst? Prima dell’Olanda, un passo in avanti
sull’argomento l’avevano fatto Germania e Danimarca con l’introduzione
nel loro ordinamento di alcune deroghe al divieto di eutanasia.
In Germania vi sono state iniziative della magistratura con
le quali i giudici hanno autorizzato i medici, su richiesta dei
parenti, a interrompere le cure al paziente nel caso di coma
irreversibile o malattie inguaribili. Diversa la situazione in Danimarca,
dove dal 1992 è in vigore una legge per cui i malati che entrano in
uno stadio terminale e che sono tenuti in vita da strutture
artificiali, se hanno lasciato scritta la loro volontà di non voler
sopravvivere tramite strutture mediche, autorizzano i medici a
interrompere l’assistenza. È una vera e propria dichiarazione
delle volontà che i medici sono obbligati a rispettare qualora il
malato l’abbia espressa con piene capacità d’intendere e di
volere.
Sempre appannaggio del giudici la questione in Gran Bretagna,
dove è consentita l’interruzione della terapia somministrata
contro la volontà del paziente. Lo ha ribadito di recente una
sentenza dell’Alta Corte di Londra che ha concesso a Miss B di
morire “in pace e con ogni dignità”. La donna, paralizzata dal
collo in giù aveva chiesto di poter decidere il momento in cui
spegnere la macchina per respirare.

In Svizzera, come in Olanda, il tabù era
già rotto da molto tempo: il suicidio assistito non è reato
purché dietro la decisione non vi siano “motivi egoistici”. Si
parla, infatti, di “accompagnamento al suicidio” e il medico
deve limitarsi a fornire i farmaci al malato. Sulla base di questa
legislazione ogni anno scelgono la morte tra i cento e i duecento
malati terminali.
Molto diversa la situazione da noi, in Italia, dove la
pratica eutanasica è vietata ed equiparata all’omicidio del
malato, anche se consenziente. Configura infatti i reati di omicidio
del paziente (art.579) e di istigazione o aiuto al suicidio (art.
580). Viene invece tollerata l’eutanasia passiva (la rinuncia alle
cure inutili) e viene condannata ogni forma di accanimento
terapeutico. No, quindi, a mantenere in vita un malato che da solo,
senza strumenti clinici, non può continuare a vivere.
Un’Europa divisa, da questo punto di vista. O forse solo alle
prese con una materia delicata destinata a far esplodere la
polemica. Un’Europa molto più simile a un puzzle di posizioni e
opinioni piuttosto che a una confederazione di stati. Sicuramente
chiamata a fare i conti con umori e dettami interni alle varie
culture, anche lontane nel tempo, non escluse quelle religiose. Non
sarà un caso che un traguardo come quello realizzato spetta all’Olanda
calvinista, paese primo già su altri temi "bollenti" per
la cultura cristiana, dall’aborto al matrimonio tra omosessuali.
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