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I disturbi del narcisismo



Francesco Roat




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AAVV, I disturbi del narcisismo, Raffaello Cortina Editore, pp.380, lire 70.000

E’ quella di Narciso la figura emblematica che forse potrebbe maggiormente riassumere i tratti del mondo occidentale all’alba del terzo millennio, così marcatamente contraddistinto da individualismo, edonismo, scarso senso di solidarietà sociale, disaffezione politica e ripiegamento sul privato. La società postmoderna, infatti, orfana di progettualità collettive e riferimenti ideologici, pare sempre più contraddistinta dall’esasperazione delle istanze libertarie o personalistiche, le quali rischiano la inquietante e gretta deriva dell’egocentrismo.

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Narciso, quindi. Ma chi era costui? Il mito che lo esprime risulta assai articolato e conosce diverse varianti; però è la versione tramandataci da Ovidio nelle Metamorfosi a riassumerne in modo più pregnante la valenza negativa. Come quasi tutti sapranno, Narciso è un bellissimo giovane che, innamoratosi della propria immagine riflessa dall’acqua, si lascia morire per non aver potuto afferrare l’oggetto delle proprie brame.

Il narcisismo nell’ambito relazionale si può dunque considerare un eccessivo ripiegamento su se stessi unito al rifiuto dell’altro; tratti questi specularmente opposti, a caratterizzare un disturbo psichico che da sempre occupa una collocazione centrale sia nella teoria sia nella prassi psicanalitica. E giusto su questo complesso fenomeno, insieme psicologico e sociale, è stato recentemente pubblicato da Raffaello Cortina - a cura di Elsa F. Ronningstam - un saggio a più mani (ma non solo per addetti ai lavori) che intende fare il punto su quale sia la realtà del narcisismo oggi.

Per sgombrare il campo da possibili malintesi, va subito detto peraltro che in ambito psicoanalitico tale termine non va inteso solo in un’accezione patologica, essendo stato scelto anche per indicare quel normale attaccamento o amor di sé che nutriamo nei nostri confronti. Insomma, un sano grado di narcisismo risulta indispensabile ad ogni persona per vivere, se con esso si intenda un "livello appropriato e realistico di cura e rispetto per se stessa, di orgoglio, accettazione e consapevolezza di sé", come sottolinea Michael H. Stone.

Anzi, accogliendo la felice sintesi di Otto F. Kernberg, si potrebbe dire che è proprio l’anormale regolazione dell’autostima a contrassegnare l’individuo francamente Narciso che comunque non si esprime sempre attraverso la forma cosiddetta overt: segnata da desideri grandiosi, saccenza, condotta arrogante; ma anche in quella covert, in cui a prevalere è piuttosto un comportamento inibito, all’insegna della vulnerabilità e della tendenza ad isolarsi.

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Un tratto sembra però accomunare entrambe le modalità: un acuto senso di vuoto interiore e solitudine che può venir compensato - mette ancora in risalto Kernberg - "solo dall’infinita ammirazione da parte di altre persone e dagli sforzi di controllare gli altri per evitare l’invidia" di cui, consciamente o meno, soffre ogni narcisista. Invidia innescata da un senso di inadeguatezza e sfiducia: in sé, soprattutto, ma anche negli altri; con la conseguente difficoltà a stabilire legami affettivi. Se quindi, a detta degli psicoanalisti, l’affettività rappresenta il tallone d’Achille di questi soggetti (capaci solo, come il mitico Narciso, di amare sé stessi o la loro immagine idealizzata), focus precipuo dell’intervento terapeutico sui narcisisti sono le relazioni.

Lo scopo - sostengono Jeffrey Young e Catherine Flanagan - è raggiungere e nutrire il "Bambino vulnerabile" che è in loro; è far loro accettare il "nutrimento" ossia l’empatia dello psicoterapeuta senza dover essere (volersi) a tutti i costi perfetti o speciali; è renderli consapevoli della reciprocità di ogni relazione: sempre giocata sul dare e ricevere scambievoli.

Ma perché si diventa narcisisti o, almeno, quali potrebbero essere i fattori predisposti o scatenanti? Le varie concezioni psicoanalitiche intorno all’eziologia di tale disturbo concordano sul fatto che giocherebbe un ruolo determinante l’aver avuto durante l’infanzia un genitore adorante (quantunque incapace di offrire realmente affetto e cura al proprio bambino) e l’altro svalutante o disinteressato.

Al di là di ogni teorizzazione psicologica, tuttavia, mi sembra palese - e lo rileva pure Arnold M. Cooper - che negli ultimi decenni in Occidente il consumismo sfrenato, la difficoltà a impegnarsi nelle relazioni interpersonali, la insistita esibizione di modalità comportamentali sfacciatamente esibizionistico/egocentriche proposte da pubblicità e mass media, lo sfilacciarsi dei legami familiari, il culto del successo o il must della realizzazione individuale ad ogni costo abbiano favorito la crescita del narcisismo: cartina di tornasole di un allarmante malessere individuale e sociale sempre più difficile da fronteggiare.

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