L'importanza di viaggiare leggeri
Gabriele Romagnoli con Paola Casella
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E' stato un vero e proprio outing, quello di Gabriele
Romagnoli: sulle pagine de la Repubblica il giornalista e
scrittore è uscito allo scoperto rivelandosi non già gay o sangue
misto, ma Dink, cioé la metà maschile di una coppia con doppio
reddito e senza bambini, e soprattutto membro di una comunità sempre
crescente di trenta-quarantenni (Romagnoli sta proprio sulla cuspide)
che hanno fatto analoghe scelte di vita.
Oddio, chiamarla comunità è davvero improprio, visto che ogni Dink
fa orgogliosamente caso a sé. Ma un dink concept, ovvero una
certa forma mentis, un comune sentire accorpora, almeno
idealmente, migliaia di individui sparpagliati attraverso il mondo
occidentale. E tanto più Romagnoli si sforza di separare la propria
identità da quella degli altri Dink, e a sottolineare che la sua
scelta è individuale e maturata in proprio, tanto gli esempi che
porta, addirittura le parole che usa, sono riconducibili alle
statistiche riportate da Fiammetta Bonazzi nel suo corposo saggio
sull'argomento Dink (vedi articoli collegati).

Il che fa ancora più impressione perché, per il
resto, Romagnoli non sembra assimilabile ad alcuna categoria.
Giornalista, scrittore, sceneggiatore, librettista, autore teatrale,
opinionista: tutte queste definizioni gli si addicono, nessuna lo
riassume interamente. L'uomo ha fatto della versatilità il suo
cavallo di battaglia. O forse, più semplicemente, è nella sua natura
- come per lo scorpione della favola - essere tutto
contemporaneamente.
E' stato inviato de la Stampa da New York e adesso è
opinionista di Repubblica, dicendo la sua sugli argomenti più
svariati, da Novi Ligure ai desaparecidos, dall'amore in chat a quello
in progress. Ha pubblicato narrativa: Navi in bottiglia (Mondadori
1993), In tempo per il cielo (Mondadori 1995), Passeggeri (Garzanti
1998). Il suo ultimo libro, Louisiana Blues (Feltrinelli 2001),
sta a metà fra il diario di viaggio e la galleria di ritratti. E'
sceneggiatore televisivo (Uno Bianca, Distretto di polizia) e
cinematografico. Recentemente ha scritto i testi di Con le mani,
una azione scenica liberamente ispirata al Quarto Stato di
Pelizza da Volpedo.
Tutta questa attività richiede nomadismo fisico e mentale,
flessibilità, capacità di adattamento, curiosità umana, assenza di
legami: o meglio - sovrabbondanza di legami "leggeri" in
quanto non rigidamente vincolanti, e almeno un legame profondo con chi
condivide le sue scelte. Ditemi voi se questo non è il profilo di un
perfetto Dink. A lui il compito di tentare una difesa d'ufficio della
specie.
"Prima di dire che la scelta di non avere figli sia solo una
questione di egoismo bisogna guardare alle altre motivazioni"
esordisce Romagnoli. "Certo, molti dei Dink che vedo intorno a me
hanno privilegiato la carriera rispetto alla vita privata, ma c'è
anche altro, ad esempio il terrore di mettere al mondo bambini in un
mondo peggiore, un terrore che non è mai stato vero come adesso. La
mia è una generazione più consapevole, il nuovo che avanzava ci ha
davvero spaventato.
"In più abbiamo fatto un esame di coscienza e abbiamo ammesso
una nostra inadeguatezza al ruolo di genitore, almeno per ora. Perché
assumersi questa responsabilità col rischio di sbagliare? Non c'è
bisogno di fare figli quando uno sa di non avere il tipo di situazione
domestica o lavorativa nella quale un bambino può crescere. Di fronte
a questa consapevolezza rinviare è anche una questione di
saggezza."
E' possibile che i nostri genitori ci abbiano trasmesso, più
o meno consciamente, il messaggio che non è una buona idea mettere
su famiglia?
Ho l'impressione che la generazione che ci ha preceduto abbia avuto
parecchi problemi nel ruolo. I nostri genitori erano piccoli quando
c'era la guerra, per cui hanno cercato di darci tutto dal lato
concreto, assicurandoci: "Non ti mancherà niente". Ma si
sono trovati davanti una generazione di figli alla quale interessavano
altre cose. Avendo avuto la sicurezza economica, cerchiamo le ragioni
ulteriori, che sono più difficili da trovare e non bastano mai.
Siamo una generazione di figli poco portati a crescere, e dato che a
trent'anni abbiamo visto l'Europa e l'America adesso vogliamo vedere
l'Asia, l'Africa, l'Oceania, o anche solo un altro stato della mente.
Una generazione che ha bisogno di scoperte non materiali, per cui il
cammino è molto più lungo. La sicurezza economica si raggiunge
magari più in fretta, mentre per raggiungere le certezze spirituali
non bastano tre vite.
Alla frase "Non ti mancherà niente" è stato dunque
risposto "Non mi basta mai"?
Sì, ma non in senso materialista: sono altre le categorie. La
motivazione di fondo che trovo in me e in altre persone che conosco
(per condurre una vita Dink, ndr) è che non ci sembra di aver
raggiunto degli equilibri interiori da trasmettere. Quelli che sanno
che la vita è A, B, C fanno i genitori e dicono ai loro figli:
"Guarda, la vita è A, B, C". Ma quelli che hanno dei dubbi,
cosa raccontano ai loro figli? Cosa rispondono quando i figli chiedono
perché? Io i dubbi ce li ho ancora, se avessi un papà gli chiederei
continuamente: "Perché deve essere così?"
In geometria ci sono i postulati, quelli che non si discutono, poi i
corollari che dai postulati discendono. La vita ci sta intorno come
postulato, quando invece è un corollario, una delle tante possibili
forme di sviluppo in linea orizzontale e verticale. Come insegnare a
un bambino che questo è il mondo unico e certo se non ne siamo
convinti noi per primi? Non è solo questione di voler avere più
cellulari e meno pannolini. E' anche questione di avere meno certezze
da trasmettere.
Ho notato che, in genere, i Dink chiedono molto poco, a se stessi e
agli altri, sia in termini emotivi che in termini pratici. I nostri
genitori, che oggi viaggiano fra i sessanta e i settant'anni, erano
invece molto esigenti rispetto a ciò che la società doveva loro in
quanto capifamiglia. E anche i cinquantenni che hanno fatto il '68
erano esigenti quanto a ciò che secondo loro gli spettava.
In effetti la nostra generazione tende a investire soprattutto sulle
proprie capacità, ad esempio sul lavoro. Una volta i cosiddetti non
garantiti erano una categoria residuale in difficoltà. I Dink invece
hanno scelto come unica garanzia la propria capacità di farcela,
magari in due - se uno tira l'altro si arriva al traguardo. Non si
tratta di individualismo sfrenato, dunque: al contrario, ti crei
un'isoletta con un'altra persona con la quale cerchi di andare avanti.
Tuttavia in un suo romanzo (Passeggeri, ndr) lei ha scritto:
"Ci sono persone come te, a forma di isola. Ma quando si incontrano
nulla le unisce. È come per le isole di un arcipelago: non le puoi
avvicinare l'una all'altra e ricavarci qualcosa. Non sono le tessere
di un mosaico, non si combinano, ognuna sta per conto suo."
Come mai questo paragone fra individui e isole?
Di un'isola si vede il confine e questo ci dà una sensazione di
controllo; al tempo stesso, l'oceano che c'è intorno dà un'immagine
di infinito. E l'isola è un possibile esperimento di mondo perfetto,
come Trisitan Da Cuña, dove hanno applicato le regole di Tommaso Moro
e hanno costruito un'Utopia.

I Dink sono perfezionisti?
E' difficile accomunare tutta la categoria: ci sono i Dink
perfezionisti e i Dink cialtroni. Non credo nemmeno che esista un
modello di vita unico e ben definito, proprio perché i Dink sono
gente dubitabonda e anche molto volubile. In questo senso, non
catalogabile.
Pero tutti i Dink sembrano coltivare l'instabilità come valore.
Bisogna intendersi sul concetto di instabilità. Non stiamo parlando
di instabilità psicologica. Nell'instabilità dei Dink rientrano
tutte quelle forme del vivere secondo regole non codificate e quindi
continuamente in movimento. C'è un concetto di nomadismo, del non
sentirsi a casa da nessuna parte. E' un sapere che nulla è per
sempre, un non sentirsi radicati nei luoghi, nelle cose, nelle
relazioni. Ciò che magari dura all'infinito è ciò che nasce senza
l'angoscia di durare all'infinito. La formula "fino alla fine dei
vostri giorni" è l'ultimo presupposto per una relazione duratura
perché dà subito l'angoscia.
L'instabilità è un modo di accettare che il nostro mondo è in
movimento e che c'è meno bisogno di cose, di oggetti, di proprietà.
Le case non si possiedono ma si usano, si preferisce avere cinque
vestiti piuttosto che un guardaroba pieno con le camicie schierate e
catalogate per colore, che a me personalmente mettono l'ansia: io ho
tre scarpe, le uso, poi le butto e ne piglio delle altre. E' il
concetto di viaggiare leggeri. Tanto, nell'archivio della memoria,
quello che rimane è quello che valeva, tutto il resto è accessorio.
Non bisogna mettersi addosso ciò che si potrebbe ottenere dentro.
L'instabilità è un valore o una strategia di sopravvivenza?
E' una strategia di sopravvivenza che finisce per diventare un valore,
perché ti accorgi che ha dietro, in maniera quasi inconsapevole, un
modo di porsi rispetto alle cose che ha una sua essenza positiva.
Secondo me è meglio essere così che stare con le mani addosso alle
cose, alle case e alle persone. Essere instabili è accettare le
debolezze in se stessi e negli altri, quelli che non ammettono le loro
fragilità perché le coprono con una sovrastruttura di valori secondo
cui la vita è in un certo modo, e bisogna essere in un certo modo. I
Dink invece non sanno che fare ma si tengono per mano due a due e
provano.
Forse i Dink sono un passo avanti nella scala evolutiva.
Se la scala evolutiva andasse in quella direzione si fermerebbe:
qualunque evoluzione comprende la produzione dell'essere successivo.
Credo al contrario che sia una forma di ribellione a un processo
evolutivo che procede in maniera cieca: ogni nuova generazione mi
sembra peggio della precedente. E' come dire: fermiamoci un attimo a
guardare quelli che siamo, prima di riprodurci in questo universo. Il
mondo che avanza è quello globale delle multinazionali che creano
gusti universali in tutto il pianeta. Se devo generare l'ennesimo
bambino che vuole i Pokemon preferisco pensarci.
Come dire: i Dink sono disposti ad utilizzare il mondo in tutte
le sue valenze globali, ma non a farne parte attiva mettendoci un
figlio?
Alla fine è quella la forma di protesta, o di resistenza passiva,
più forte: dato che io non me ne posso chiamare fuori, perché questo
mondo si può contestare da dentro ma non uscirne, posso almeno
sospendere l'atto di adesione...
Mi dica una caratteristica saliente delle coppie Dink?
Quasi tutte quelle che conosco vengono da mondi molto lontani fra
loro, hanno opinioni diverse, non sono uniformi, mentre la coppia che
si riproduce condivide un universo, crede che moglie e buoi debbano
essere dei paesi tuoi, ha una stessa opinione politica. Ma nella
coppia Dink paradossalmente ci sono meno conflitti, perché l'uno è
interessato al mondo dell'altro, trovi persone new age che convivono
con materialisti convinti, non per mancanza di personalità, ma per
interesse verso una persona completamente diversa. Credo che stare con
una persona che proviene da un altro mondo, che ha un'altra visione
rispetto a quella da cui provieni tu, sia una forma di arricchimento.
Alla sera non si parla sempre della stessa cosa. I Dink sono più
aperti, e hanno trovato l'altra metà della mela.
E' d'accordo sull'ipotesi, formulata da Fiammetta Bonazzi nel suo
saggio, che la scelta di vita dei Dink sia dettata dal marketing?
Mi sembra una scelta che avviene più per pressioni interne che
esterne, che ha a che fare con i propri percorsi privati. Non credo
che il fenomeno Dink sia indotto dal marketing, anche se sicuramente
siamo una nicchia di mercato funzionale a determinati prodotti.
Continuo a pensare che prima nasce il comportamento, poi lo scooter.
Almeno me lo auguro.
Nel suo articolo su Repubblica ha scritto una frase molto
tenera: "Abbiamo amato nelle nostre donne anche le figlie che non
abbiamo avuto". Ogni Dink tutela lo stadio infantile dell'altro?
Sì, anche perché stando a lungo insieme si procede a regressioni
infantili. Credo che l'inespresso spirito paterno da qualche parte
deve andare a riversarsi, e lo riversi su chi hai accanto, è
inevitabile. Vale di più per il Dink maschio perché di solito è un
po' più maturo anagraficamente della sua compagna.
Cosa diventa un Dink da grande?
Questa è un'epoca di profondo revisionismo, per cui credo che il Dink
da grande faccia figli. All'ultimo secondo, prima del rallentamento
inesorabile dello spermatozoo o della restrizione permanente delle
tube di fallopio, diremo: andiamo a vivere lontano e proviamoci. Mi
immagino che succeda a 45 anni, prima che sia troppo tardi.
Ci risentiamo fra cinque anni, allora.
Magari. Sono curioso anch'io.
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