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Quelli che stanno un po’ prima e un po’ dopo dei trenta, sulla linea d’ombra, come direbbe Joseph Conrad. Sabrina Impacciatore è una di loro: non ci svela esattamente la sua età, dichiara soltanto ‘che oscilla tra i 24 e i 29 anni’ in base ai ruoli che interpreta. Versatile e ricettiva com’è ne ha interpretati tanti passando dalla tv al cinema al teatro, facendoci ridere ma anche riflettere.

Iniziamo col ridere. Quest’anno in TV, a Convenscion, le sue imitazioni di Marina e Maria Antonietta de Il grande fratello sono diventate ancora più famose dei personaggi del real-show, tanto da creare dei veri e propri modi di dire, come “Ti piace il mio piede?”.

Poi l’abbiamo vista e apprezzata a teatro, ne Il cappello di carta di Giovanni Clementi. E al cinema in due ruoli ‘drammatici’. Livia ne L’ultimo bacio di Gabriele Muccino, il film che è stato considerato il manifesto della condizione di chi sta sulla soglia dei trent’anni, e Matilde in Concorrenza Sleale di Ettore Scola, un’altra giovane donna che vive negli anni del fascismo: “Tutti personaggi che ho amato nello stesso modo e che ho abbandonato nel momento in cui li amavo di più”.

In autunno la rivedremo su RaiUno in Cerco lavoro, una fiction a episodi diretta da Luca Manfredi che racconta nuovamente di quasi trentenni alle prese con problemi sentimentali e necessità di lavoro.

Caffè Europa le ha chiesto di raccontare questa fascia d’età dal suo punto di vista di doppiamente ‘intorno ai trenta’, perché lo è sia all’anagrafe -almeno così crediamo- sia spesso nella finzione. Un’età che è stata definita e studiata nei modi più disparati: generazione X, affetta da sindrome di Peter Pan, da amori a scadenza o relazioni yogurth, da singletudine, da continui rinvii. E di recente: generazione Dink (vd. articoli collegati).

In questo periodo si discute parecchio se i trentenni di oggi siano o meno una generazione di Dink, cioè di coppie che guadagnano, viaggiano, si divertono ma non vogliono avere bambini, perché li considerano un peso. Ne L’ultimo bacio Livia è l’unico personaggio moglie e madre al tempo stesso. Il contrario del Dink?

In realtà nella sceneggiatura non veniva esplorato questo fenomeno. Pensandoci bene, però Livia potrebbe essere l'anti-Dink, ma in modo problematico: è un personaggio che rivela nevrosi e inquietudini, perché si sente limitata dalla condizione di maternità, avverte che rinuncia a gran parte della sua vita, per di più da sola, senza neanche l’appoggio di Adriano, il suo compagno, che anzi la accusa di non amarlo più e l’abbandona. A queste condizioni Livia non può che vivere male il suo essere mamma.

Quindi sotto certi aspetti è l’eccezione che conferma la regola: che si tratti davvero di una generazione ‘dinkabile’, continuamente bisognosa di libertà?

Io non discuto se le coppie Dink abbiano o meno ragione, perché sono assolutamente contraria alle generalizzazioni, e non c’è niente di più soggettivo del mettere al mondo un figlio. Sicuramente però c’è la tendenza a procrastinare l’adolescenza oltre i trenta. I trentenni di oggi pensano di avere ancora 18 e 19 anni, quindi hanno ancora voglia di esplorare. Poi ci sono talmente tanti stimoli esterni che è inevitabile non volersi fermare mai e assaggiare tutto.

In qualche modo il fatto di avere una creatura che dipenda completamente da te sicuramente impone scelte e rinunce che a questa età non si vogliono fare. E' una tendenza, ma non significa che il desiderio di maternità sia definitivamente tramontato: semplicemente si rimanda. Anche perché ormai le trentenni come pure i trentenni non dimostrano assolutamente l’età che hanno, sono ancora poco formati, anche dal punto di vista fisico, a differenza dei trentenni di quindici o venti anni fa che avevano anche un corpo più adulto e definito.

A proposito di definizioni, mi descriva un vizio, una virtù e una paura del trentenne di oggi?

Un vizio è che sono viziati, soprattutto i maschi, dalle mamme eterne; una virtù -che può essere anche un difetto - è avere dentro di sé sempre viva l’anima di bambino, che ti porta a voler ricercare e scoprire: i trent’anni sono un momento di grande discussione di sé, e quindi sicuramente c’è anche la volontà o almeno il tentativo di darsi delle risposte. La paura è quella della responsabilità, dell’impegno, e soprattutto del definitivo.

I trentenni di oggi sono cresciuti a pane e televisione, una sorta di mamma che li voglia accompagnare. Visto che in tv al tempo di Non è la rai (il programma nel quale Sabrina Impacciatore ha debuttato, ndr) andavano per la maggiore le fiction sull’adolescenza, adesso che quei quindicenni sono diventati trentenni, si sposta l’attenzione su quest’età?

Credo semplicemente che sia un fatto di mode, legato alle possibilità commerciali. Una tendenza normale del mercato: ogni volta che si individua un filone che può avere successo, ci si concentra su quello. I produttori quando vedono che fa audience un prodotto che tratta una specifica problematica, continuano a riproporlo, per andare sul sicuro, senza pensare che è proprio il momento in cui altre zone rimangono inesplorate..

Come se improvvisamente andasse di moda la fantascienza e tutti si mettessero a fare film di fantascienza. Se una cosa funziona, desta curiosità e attenzione, allora i produttori si dirigono in quella direzione. Una tendenza generale che ho sempre riscontrato, come quando è esploso il fenomeno telefonino, e tutti continuavano a parlarne, a concentrarsi su quello, e soprattutto a comprarselo.

Parliamo del cinema e della sua voglia di raccontare i trentenni o quelli sulla soglia. Nella scorsa stagione abbiamo visto L’ultimo bacio di Muccino, Fughe da fermo di Edoardo Nesi, La precisione del caso di Cesare Cicardini. Al Premio Solinas in questi anni sono state presentate molte sceneggiature che raccontano questo periodo di attese e rinvii, per esempio Fortezza Bastiani, scritto da Michele Mellara e Alessandro Rossi, ha vinto il Premio nel '99 e sarà presto un film. Come ci possiamo spiegare questa tendenza?

Perché in realtà in questo momento il nuovo cinema è fatto, scritto e diretto da persone che più o meno appartengono a questa fascia d’età e quindi si parte dall’esplorazione di se stessi, di quello che si conosce meglio, come è successo a Gabriele Muccino.

Ma che cosa non si è ancora detto al cinema sui trentenni?

Non si è ancora parlato esaurientemente delle donne che hanno quest’età, e in generale non si è esplorato il mondo femminile. Ed è un grandissimo problema con cui noi attrici ci troviamo quotidianamente a combattere perché tutti i ruoli che ci vengono proposti sono marginali, visti dagli occhi dell’uomo e quindi poco ricchi di sfaccettature.

Questo succede anche perché ci sono pochissime donne che scrivono, e raramente gli sceneggiatori hanno una sensibilità femminile. L’eccezione per esempio è Ferzan Ozpetek che riesce a scrivere ruoli femminili belli e interessanti, non come nelle sceneggiature che ho letto ultimamente, dove erano veramente tristi, poco stimolanti, privi di sfumature e tagliati con l’accetta.

Si sente assolutamente la necessità di esplorare il mondo e la sensibilità femminili. C’è bisogno di donne che scrivano e che però non siano rancorose, irrisolte, complessate e contorte nei confronti della vita e degli altri, perché ci sarebbe bisogno di uno sguardo più ironico, più delicato e più sereno. Chissà che tra un po’ non scriva io un soggetto del genere.

Che cosa c’è dei suoi trent’anni nei personaggi che interpreta?

La consapevolezza. Sicuramente sto vivendo una fase in cui ogni giorno mi sembra di acquisire più consapevolezze. Malgrado le tante confusioni, credo di essere più lucida e ricettiva. Credo che questa sia una delle età più belle.

C’è un personaggio più rappresentativo dei trent’anni oggi, interpretato da lei o da altri?

Marie, la protagonista de Il Segreto di Virgine Wagon interpretata da Anne Coesens. In realtà questo film francese non affronta i trent’anni in modo generazionale ma in Marie ho notato alcune caratteristiche di quest’età: la confusione, il desiderio di libertà e di fuga e nello stesso tempo quello di costruire. Desideri contrastanti, quindi, che devono essere in qualche modo pacificati e conciliati.

Il segreto racconta di passione e di attrazioni. Che cosa pensa una trentenne dell’amore?

Credo che sia più facile chiedere all’amore che cosa pensi di una trentenne. Non si finirà mai di chiedersi che cosa sia, è la domanda eterna che per tutta la vita ci poniamo e rincorriamo, e alla quale nessuno è mai veramente riuscito a dare una risposta. Ci si avvicina quando si scrive in poesia, ma in realtà l’amore è inafferrabile e variabile.

Secondo me donne e uomini stanno sullo stesso piano; le donne credono di avere più coscienza dell’amore, credono che gli uomini fuggano, credono di essere le uniche a cercare l’amore e a inseguirlo. Ma a conti fatti anche le donne, soprattutto quelle di questa generazione e in questo periodo storico, hanno molte difficoltà a donarsi completamente, ad abbandonarsi, a rinunciare, a sacrificare. La donna per quanto mi riguarda è in fuga ed è confusa esattamente quanto l’uomo.


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