Generazione Dink
Fiammetta Bonazzi con Paola Casella
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Dink è uno dei milioni di acronimi con i quali gruppi di esseri umani
sono stati catalogati da sociologi e mass media, e sta per "double
income no kids", ovvero "doppio reddito niente
bambini". A dire il vero, i Dink non sono una vera e propria
generazione, anche se la maggior parte di loro viaggiano fra i trenta
e i quarant'anni, e comunque hanno fatto in quel periodo la loro
particolare scelta di vita. Più che l'età, li accomuna una
predisposizione mentale, un "territorio valoriale", come
l'ha definito il sociologo Francesco Morace.

"Sono i figli dell'incertezza, e di questo
valore-non-valore hanno fatto il loro punto di forza". A
sintetizzarli così (e anche a definirli "la proiezione umana di
Internet") è Fiammetta Bonazzi, giornalista 34enne che ai Dink
ha dedicato un intero saggio, Dink appunto (Castelvecchi, pagg.
282, L.24000). Procedendo con metodo, l'autrice ha collegato fra loro
molti dati che provenivano dalle fonti più disparate, per trovare il
filo rosso che collega migliaia di individui appartenenti a un
fenomeno trasversale, in cui ognuno crede di fare storia a sé (è
proprio del Dink considerarsi un unicum, anche se dotato di
gusti condivisi: "Per i Dink, finire dentro una generazione
significherebbe de-generare", scrive Bonazzi. "E alla fine
morire").
Bonazzi si spinge ancora più in là, arrivando a ipotizzare (e
argomentando la sua ipotesi, dati alla mano) che "attraverso i
messaggi del marketing si stia intervenendo in maniera molto profonda
sul Dna sociale", al fine di creare, o quantomeno di nutrire, un
target commerciale particolarmente appetibile, perché economicamente
solvibile e ben disposto all'acquisto, e perché relativamente
prevedibile non tanto nella scelta dei prodotti, ma nella scelta della
valenza che questi prodotti devono avere.

Ecco allora l'identikit dei Dink - quelli che Willy
Pasini ha definito "neoegoisti"- tratto dal saggio di
Fiammetta Bonazzi: "sono i trentenni e quarantenni, talvolta
anche i cinquantenni che... contribuiscono a rimpolpare lo squadrone
di 567 mila coppie che al 1998, secondo l'ISTAT, non avevano mai
procreato". "Sono trasversali, trasformisti, individualisti,
a-morali, veloci". "Tendono a vivere nel presente, quasi
'alla giornata', frequentando un gruppo ristretto di amici, ugualmente
'disimpegnati'".
"Il Dink, per definizione, preferisce godere più che avere. E
per reazione all'estetica dell'accumulazione e del possesso sempiterno
(o quasi), che invece distingue il parvenu anni Ottanta, ha
sposato una nuova moda: quella dell'affitto o noleggio". Anche
per quanto riguarda la religione, il Dink segue il principio del believing,
not belonging, cioè del credere senza appartenere. Vive "glocal
(neologismo che nasce dalla crasi tra 'globale' e 'locale'):
essenziale è saper mantenere in equilibrio suggestioni internazionali
e realtà particolari, globalizzazione e localismo". E'
ossessionato dal cibo "legato all'attività filologica di ricerca
della stranezza alimentare".
Quello dei Dink è "un universo (...) all'interno del quale, come
costanti, affiorano il senso del disimpegno, la curiosità,
l'attitudine ludica e trasformista, il piacere dello stylesurfing,
la passione per il nomadismo (fisico e mentale), la propensione al
consumo e il rifiuto di rimanere fermi in un (unico) mood."
Se i Dink hanno a loro carico "l'accusa del rifiuto di crescere,
dell'abbandono dei ruoli 'sicuri', della dipendenza a lungo termine
dalla famiglia di origine, dell'alta, probabilmente eccessiva e
condizionante, propensione al consumo"; dall'altra giocano a loro
favore "la fantasia, l'anticonformismo, la tolleranza, l'estrema
flessibilità, la curiosità, la padronanza assoluta del tempo".

Fiammetta Bonazzi non è una Dink, nonostante ne abbia
l'età e ne condivida alcune sensibilità, e un certo dink concept
di vita. "Ma l'esito finale, cioè il fatto di non metter
su famiglia, spero proprio di evitarlo. Di autobiografico nel mio
saggio non c'è quasi niente, era un tema nel quale mi sono ritrovata
immersa e che mi interessava perché aveva una declinazione trasversale.
Sono molto attratta da tutti i fenomeni che hanno ricadute in campi
diversi, dal modo di parlare (che, nel caso dei Dink, diventa un
"Pongo di segni e di significati") alla moda, al modo
di nutrirsi e di viaggiare.
"Ho cercato un filo rosso fra cose che potevano sembrare apparentemente
molto distanti. Ciò che più mi incuriosiva era la tendenza a parlare
del fenomeno, a riconoscerne l'esistenza, a riscontrarlo fra le
persone che ci sono vicine, senza però riunire in una visione complessiva
le modalità e le cause di uno stile di vita così particolare".
Abbiamo chiesto a Fiammetta Bonazzi di commentare il contenuto del
suo saggio, inframmezzando la sua conversazione con alcui passi
tratti da Dink.
"Le motivazioni a monte della scelta di condurre un'esistenza
Dink possono essere le più varie: si va dall'egoismo fino al rinvio
della genitorialità, che è un'opportunità tenuta molto calda dai
mass media, i quali ci convincono che si possono fare figli a 45-50
anni. La tendenza allora è quella di aspettare, tanto ci sarà sempre
una provetta che ci viene in aiuto, una pillola che ci salva.
"La tesi che sostengo nel libro è che la società dei consumi,
da almeno una trentina d'anni, ci bombarda con priorità ad alto
margine di profitto legate all'apparire più che all'essere: quindi
cura del corpo, appagamento dei desideri attraverso i viaggi, il
cibo, la moda. Per contro è stato messo nell'angolo tutto ciò che
era legato all'immagine tradizionale della famiglia e che implicava
guardare al futuro valutando anche il proprio tempo: perché un bimbo
misura la tua vita, ti dà il senso del tempo che passa."
I figli vengono percepiti solo come sottrazione, senza considerare
quello che danno in cambio ai genitori.
Ovvero il loro valore aggiunto, per restare in termini di marketing.
Le coppie Dink hanno molto ben presente il valore del tempo e investono
molto denaro per viverlo al meglio. In quest'ottica, il bambino
è visto automaticamente come qualcosa che riduce lo spazio di libertà
temporale ed è percepito in senso quantitativo e non qualitativo
.Invece un figlio ti dà da una parte la possibilità di tornare indietro,
quindi di recuperare la tua fase temporale legata all'infanzia,
dall'altra di vivere cose nuove in modo totalmente inedito. Ma a
questa duplice valenza non si pensa mai.
In tutti questi modelli di coppia esiste una
costante: che non è tanto e non è solo l'assenza concreta di
un figlio (...) quanto piuttosto la mancanza di progettualità capace
di spostare la coppia da una visione a due ad una prospettiva
allargata, a tre e più.
Spesso i Dink dipendono ancora finanziariamente dalla famiglia di
origine, perché svolgono lavori flessibili che oggi ci sono domani
no, e quello che guadagnano non viene investito su un progetto di
famiglia, un po' perché in effetti non ce ne sono le condizioni, un
po' perché tutto sommato a loro sta bene galleggiare in una sorta di
eterno presente senza porsi tappe, nemmeno a media scadenza: questo
dà loro un'ebbrezza di libertà, il miraggio dell'eterna giovinezza e
dell'infinita possibilità.
I Dink continuano a porsi davanti dei nuovi domani, o meglio delle
nuove idee di domani. Per questo li ho soprannominati 'proiezione
umana di Internet', perché Internet è un'enorme entità che ingloba
tutto il tempo trascorso fino ad ora, è una miniera di dati relativi
a quello che siamo stati, però ha anche un cotè di sbilanciamento
forte verso un futuro dove le barriere temporali non esistono più,
dove tutto è continuamente in progress. Lo stile di vita dei
Dink ha un'estrema affinità con la Rete, dove tutto è riproducibile,
tutto è linkabile, tutto continua a superarsi senza un minimo di
orizzonte davanti.
E' veramente la strada dell'eterno domani, che corre dritta dritta ma
non si sa dove vada. Lungo questa strada puoi fare incontri, ti
possono venire idee, puoi guardare a destra e a sinistra, che è una
libertà che i nostri genitori non avevano: loro, più che
un'autostrada senza orizzonte, si trovavano davanti un sentierino di
campagna. Ma non so se la sorte della nostra generazione sia migliore
della loro.
Più che una questione di egoismo, si tratta di egocentrismo: "I
partner della coppia contemporanea vivono il timore di non riuscire a
sdoppiarsi, di non riuscire a essere contemporaneamente amanti,
genitori e professionisti", rivela Donatella De Marinis,
psicologa e psicoterapeuta esperta in terapia della famiglia dello
Studio Metafora di Milano.
E' un comportamento dissociato: da una parte i Dink sono
disponibili a cambiare maschere e travestimenti, dall'altra sulle cose
importanti che potrebbero implicare un vero cambiamento di vita non
sono disposti ad assumersi ruoli determinati. A volte si tratta di
scuse o pretesti per non assumersi responsabilità, altre volte sono
le stesse famiglie di origine che, avendo fatto a loro tempo la scelta
di sposarsi presto e fare figli subito, adesso consigliano ai loro
figli di aspettare, di godersi la vita. Di non perdere nessuna
opportunità.
Così noi abbiamo l'assillo di trovare dietro l'angolo una cosa
migliore, è come se stessimo sempre lì con una valigia pronta, senza
vincoli, pronti ad andare in cerca della cosa che ci può soddisfare
di più. La scelta di non fare figli dei Dink è molto legata a questa
ansia esistenziale.
L'ansia del non ripercorrere strade già percorse è un'altra
caratteristica distintiva dei Dink.
Forse i nostri genitori - parlo da 34enne - ci hanno trasmesso uno
schema familiare un po' chiuso, dove la fede al dito significava
entrare in un certo ruolo, avere determinati obblighi e
responsabilità. E il mettere su famiglia era un punto di non ritorno.
Non hanno messo l'accento su quello che una famiglia non ti
toglie.
L'incapacità di passare il ruolo genitoriale alle nuove
generazioni è una vera carenza nel percorso educativo. D'altra parte
viviamo in una società che l'immagine genitoriale proprio non ce la
dà. C'è la crisi della figura paterna degli ultimi trent'anni e
parallelamente quella della figura materna, che diventa sempre più
multiruolo: le donne ormai lavorano tutte e si ritrovano a dover fare
da madri anche del partner, una figura di maschio bambino, più che di
potenziale padre.
Il Dink affitta di tutto, non solo case e automobili: paradossalmente
può affittare anche un figlio, rentable per qualche ora. (...)
Perché infinite sono le possibilità di accesso all'esperienza. Di
qualunque tipo essa sia.
Sono assaggi di realtà. Ed è proprio per via di quest'ansia
della stabilità: bisogna essere completamente liberi e svincolati per
cui ogni canale per fuggire è buono - purché ti dia anche la
possibilità del ritorno. E' veramente una sindrome al limite
dell'ansiogeno: pochi punti fermi, tante scappatoie che ovviamente non
possono coesistere con l'idea di un figlio, anche perché un figlio ha
le sue esigenze, è una vita parallela della quale sei responsabile.
Il punto fermo allora può diventare la persona che ti sta accanto,
perché tutto il comportamento schizofrenico che caratterizza la vita
Dink trova una sorta di contraltare di solidità nella scelta di un
partner che diventa stabile e fisso proprio perché condivide la tua
scelta di vita.
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