Un mondo senza barriere
Nina Fürstenberg
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Dati e date
Gli artisti presenti
Le mostre a
latere
Se voglio creare un concetto rivoluzionario di uomo devo parlare
di tutte le forze che hanno una relazione con lui. Se voglio dare
all’uomo una nuova posizione antropologica, devo dare una nuova
posizione a tutto quello che lo concerne. Devo collegarlo verso
il basso con gli animali e le piante, e verso l’alto con gli angeli
e gli spiriti. Devo mettere di nuovo l’uomo in questo insieme. Solo
allora potrà acquistare la sua grandezza di uomo e la forza di fare
la rivoluzione.
Joseph Beuys
Il “grande vecchio” Josef Beuys ha lasciato più tracce su questa
Biennale. Non ci sono solo due sue grandi opere. C’è che Carolyn
Carson, la famosa coreografa gli ha dedicato il balletto intitolandolo
Beuys Song e che questo è stato l’evento di apertura nel
nuovo teatro delle Tese.
Stiamo parlando della 49esima edizione della Esposizione Internazionale
d’Arte di Venezia, aperta al pubblico dal 10 giugno. Nei vasti spazi
dei Giardini e dell’Arsenale, che comprende Corderie, Artiglierie,
Gaggiandre, Isolotto, Tese delle Vergini e Giardino delle Vergini,
si distendono opere d’arte di centinaia di autori di tutto il mondo,
sotto la regia dello svizzero Harald Szeemann.
L’ampiezza e il respiro di uno spazio come quello delle Tese con
le sue gigantesche colonne danno allo spettacolo una profondità
impossibile da ricostruire altrove. Questo spazio, che fa parte
dell’Arsenale, è appena stato restaurato e si è andato ad aggiungere
alla lista delle cose veneziane che meritano la vostra visita.
Qui la musica del compositore e violoncellista palermitano Giovanni
Sollima ha riempito ettari coperti durante uno spettacolo che la
Carlson ha voluto fosse un grido d’aiuto, una drammatica richiesta
di attenzione verso la natura, un omaggio urlato da ballerini, coro,
vibrazione d’archi, al “popolo di Seattle” e ai suoi temi ecologici.
Beuys in effetti a questi temi era sensibile. Il balletto ha dato
loro suono, immagini, pathos impiegando a un certo punto l’Urlo
di Edvard Munch, il famoso quadro del pittore norvegese, mimato
e moltiplicato dall’intero corpo di ballo ed enfatizzato dal coro
degli urlatori finlandesi, i nordici e poderosi “Huutajat”, le cui
voci sono plasmate a formare uno strumento musicale di portata inconsueta.
Ma Beuys, l’artista, era qui, abbiamo detto, anche con due opere
fatte di pesanti pietre intitolate La fine del XX secolo,
grandi lastre cadute che inducono a riflettere sul mondo. Pietre
pesanti come le opere degli altri “grandi vecchi” dell’arte contemporanea:
l'enorme spirale in ferro di Richard Serra, il creatore dei nuovi
concetti di monumentalità, e i grandi quadri di Cy Twombly che ha
riattualizzato i miti con gesti generosi.
Il loro linguaggio, fatto di materia imponente, sembra opporsi alla
preferenza della generazione attuale degli artisti per quel che
è fragile, spostabile, femminile. I contemporanei parlano meno di
un ambiente sociale e di più dell'essere umano, di un individuo
che deve affrontare un mondo globale, senza frontiere e senza certezze,
carico di rischi e che richiede capacità di adattamento in ogni
circostanza e per ogni diversa situazione di razza, cultura e religione.
Szeemann ha intitolato questa rassegna Platea dell’Umanità
e ha fatto allestire nel padiglione italiano una “piattaforma del
pensiero” in cui ha raggruppato sculture di africani, naif, indiane
e cinesi intorno alla scultura del Pensatore di Rodin. Accanto,
su una colonna corinzia, c'è un'altra opera di Rodin, L’homme
qui marche, esposta già 100 anni fa alla Biennale di Venezia.
All’ingresso del padiglione le fantasiose bandiere di Marco Neri
danno un segno di voluta internazionalità. Per il curatore della
Biennale l’arte ha superato la dimensione nazionale, è diventata
globale. Per questo il padiglione italiano non e più solo italiano,
ma parte di un mondo senza confini. Sono scomparse le divisioni
rigide anche fra astratto e figurativo, fra concettuale e scenografico,
fra tela e video, fra regista e artista.
Non ci sono barriere, l’espressione artistica è libera. E’ questo
il senso della passeggiata nello spazio italiano: uno “struscio”
nel mondo della creatività contemporanea senza confini, lungo il
quale si incontrano arte visiva, video, cinema, poesia, scenografia.
Ci sono anche i rombi rossi di Gerhard Richter, ideati per la cattedrale
di Padre Pio a Foggia e poi censurati e rifiutati dal Vaticano,
o gli imbianchini di Nedko Solakov che per mesi dipingono i muri
bianchi e poi neri e poi il bianco ricopre di nuovo il nero e cosi
via, o la pittura di Manuel Ocampo con le sue ricerche sul significato
dell’arte. Il coreano Do-Ho Suh attira e sconcerta il visitatore
con pavimenti in lastre di plexiglas sostenuti da migliaia e migliaia
di omini con le mani per aria, mentre dalle pareti, migliaia, milioni
di minuscole facce ci guardano da una carta da parati a nido d’ape.
Ha scelto di inquietare anche l’australiano Ron Mueck che alle Corderie
dà il benvenuto con un ragazzo-gigante alto circa 5 metri: un Boy
che ha uno sguardo intenso e una pelle che sembra umana. Mueck
sostiene che la sfinge era femmina quando gli uomini esercitavano
ancora un ruolo dominante e che, oggi, di fronte all'esplosione
della creatività e della energia femminile, la sfinge ha da essere
maschile.
La conferma della forte presenza delle donne è persino ovvia in
questa Biennale. Laura Horelli presenta una mappa del mondo in cui
gli stati con presidenti donne sono indicati con sassolini. La finlandese
Maaria Wirkkala espone due installazioni nelle quali lo spettatore
vede se stesso ripreso di spalle e proiettato su una pietra nera
e una collezione di animali giocattoli, con l’arca di Noé, fra una
Bibbia e il Corano. Francesco Vezzoli costruisce un mondo femminile
a piccolo punto, dove cerca il bello più bello del bello inpersonificato
dalla ex-modella Veruschka che ricama per ore lacrime sui volti
della bellezza, mentre nel video di Joào Onofre fotomodelle sfilano
con assoluta e imperturbabile indifferenza davanti alla cinepresa.
Intanto in piazza San Marco il Museo Correr ha aperto le porte alle
videoinstallazioni di Fabrizio Plessi. L’acqua e fuoco non
brilla solo all’interno del museo ma soprattutto fuori, dai grandi
schermi con le cascate d’acqua azzurra che coprono le finestre di
tutto un lato della piazza.
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