Non è razzista chi critica il
populismo
Guido Martinotti
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senza perdere la faccia
Il centrosinistra, anche se
sconfitto, "riparte dal nord". E da Milano.
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Ma con la DC era peggio
Non è razzista chi
critica il populismo
Berlusconi è riuscito a vendere il Colosseo a un terzo degli italiani
e bisogna tristemente riconoscere che la burocrazia di Bianco,
ministro più rivolto all’obbiettivo che agli obiettivi, gli dato
una mano grande come un guanto da baseball. Ma il vero successo di
Berlusconi è sopratutto quello di essere riuscito a fare una campagna
elettorale senza un solo contradittorio. Non solo da parte di Rutelli,
ma neppure da parte di nessuno dei giornalisti che si è trovato di
fronte.
Quelli che hanno posto il problema del conflitto di interessi, come
Feltri, e non potevano non porlo ovviamente, l'hanno posto e basta e
si sono accontentati della risposta. Ti immagini cosa avrebbe detto
Larry King a un tycoon locale che avesse tirato fuori la patacca del
contratto? Vespa assentiva benevolmente. Nella trasmissione (su Rai3,
nota bene!) di presentazione, i due anchor person erano
assolutamente estasiati e dire che bevevano le parole del candidato è
un understatement.
Questa della incapacità di Berlusconi di sopportare un contradittorio
è al tempo stesso l’aspetto più inquietante e più umano del
personaggio. Che si presenta “mostrandosi in quel clima azzurrino
che pare un dio affacciato al balcone”, come dice Bossi (Il
Messaggero 1 Marzo 94) oppure dietro lo scrittoio con il braccino
in quella posizione innaturale di sbieco in cui ti mettevano una
volta. Ma che contemporaneamente con il suo “mi consenta” apre una
frase che implica strutturalmente un seguito con quell’operazione
che Altan fa fare con l’ombrello e che tradisce tutta la furbizia
della provenienza piccolo borghese (tipico di questo ceto il
paragonarsi agli operai e agli agricoltori, da cui li divide una
barriera insormontabile, quella dei calli sulle mani).

Si ha l’impressione che lo sproloquio solitario di Berlusconi sia
una rivincita contro una originaria timidezza nel parlare in pubblico
che lo porta ad ammirare persone come Fini e D’Alema. Il problema
dei rapporti con l’opinione pubblica e con i mass media, al di là
dell’assetto proprietario, questo signore lo pone in un modo che la
professione non può ignorare, anche se pochi, mi sembra, ricordano lo
sfogo umiliato di Paolo Franchi sul Corriere, sul quale occorre
invece meditare.
Ma Berlusconi affascina anche i suoi opponenti della sinistra. Nella
trasmissione Porta a porta dopo le elezioni, che Fini e Casini
fossero lì ipnotizzati davanti a chi gli aveva saccheggiato il
partito e non obiettassero minimamente a uno che, in presenza al
futuro vicepremier, diceva "io,io,io,..." non battevano
ciglio. Vabbè Martelli l'aveva già detto: "partito di camerati
e camerieri", e ci dobbiamo abituare. Ma all'annuncio della
riduzione delle tasse di successione e donazione nessuno ha posto la
semplicissima domanda: se togli quei soldi dal bilancio (di cui una
fettina non piccola va nelle tue tasche) come li sostituisci? In altre
parole chi paga lo sconto fiscale sulle donazioni del Berlusca? La
prima iniziativa del nuovo governo che deve cambiare l’Italia è un
autosconto fiscale.
Ferrara dice: "se il sindaco di una città abbassa il costo del
biglietto del tram se ne avvantaggia anche lui quando compera il
biglietto". E già, ma qui non ci si limita alle poche lire di un
biglietto tranviario, è come se il sindaco abbassasse il costo del
biglietto e contemporaneamente regalasse a se stesso il tram, o meglio
ancora l’azienda tramviaria. Un esperto in questo genere di
trucchetti era Suharto (chi era costui?) che alla fine ha accumulato
un non indifferente patrimonio personale, dell’ordine non di
migliaia, ma di centinaia di miliardi. I re di una volta
all'incoronazione facevano sempre un regalo, ma a tutti, oppure un
regalo di pietà, come l'amnistia. Re Berlù fa un regalo passabile a
una parte dei cittadini (grazie, apprezziamo, si figuri), ma nel
contempo ne fa uno grande grande a se stesso, non di buongusto, mi
pare.
Mi sembra che qui ci siano non solo l'interesse personale, ma gli
interessi di ceto, se non di classe. Abituiamoci, torneranno utili
categorie messe nel cassetto. Le ha già ritirate fuori Panebianco
accusando en passant i soliti intellettuali ed Eco in
particolare di essere razzisti. Ho notato anche in passato che
Panebianco non ha sempre la famigliarità con le parole che ci si
aspetterebbe da uno che di mestiere scrive, che c'entra il razzismo?
Eco potrà essere uno snob, un elitario, quel che volete, ma il
razzismo?
E comunque il problema esiste, se un leader fa una politica
smaccatamente populista, che si fa, si sta zitti perché non si può
criticare il popolo? Mi ricordo di un episodio a Union Square dove un
poliziotto bianco e uno nero applicando la Giuliani per cacciare un
ragazzotto che suonava la chitarra in un angolo avevano suscitato la
protesta dei passanti. E in un momento caldo il polizitto nero agitava
un manganello sotto al naso di un poveraccio gridandogli:”te la
prendi con me perché sono nero!”
Ma qui il problema non è tanto la qualità dell'elettorato, quanto
quella delle élite. Gli argomenti di dibattito li propongono
le élite e così è stato durante le elezioni. Come Panebianco
sostiene, sta avvenendo un cambio di élite (e probabilmente,
non solo di élite). E’ così, quasi per definizione dato il
meccanismo maggioritario e abbiamo l’occasione per condurre un
esperimento e misurare con precisione la qualità delle nuove élite
e delle loro argomentazioni. A proposito delle quali, mi colpisce
molto che si dia per scontato che le critiche a Berlusconi abbiano
nociuto alla sinistra.
Che lo dicano i vincitori è banale, discorsi da spogliatoio. Ma che
lo ripetano commentatori cosiddetti indipendenti, induce invece a
sottolineare che non c'è nessun dato che confermi questa
affermazione, anzi ci sono molti dati che dimostrano che la
mobilitazione degli ultimi giorni ha avuto successo. La famosa rimonta
c’è stata, il calo di affluenza alle urne è un poco rallentato, a
Milano l'Ulivo ha avuto più voti in assoluto rispetto al passato,
mentre il Polo ne ha persi. Questi sono dati di fatto che si spiegano
solo con una crescente mobilitazione. Ma soprattutto cerchiamo di non
lasciarci fuorviare da ragionamenti capziosi.
E se ci sono analisi da fare, che le si faccia, senza aver paura di
essere definiti razzisti. Il giudizio che si può dare della cultura
politica di una gran parte degli italiani è noto in tutti i testi
della disciplina insegnata all’Università dal professor Panebianco
ed emerge in modo assai netto da tutte le ricerche comparative sulla
cultura civica, da Almond e Verba del 1960 a BIG (Beliefs in
Government) del 1998. E’ una cultura in cui predomina “un insieme
di tratti, che gli analisti chiama[no] con nomi diversi, in ragione
della loro specificità e cioè con i termini di 'familismo', di
'qualunquismo autoritario', di 'xenofobia', di 'conservatorismo
politico economico', di 'disinteresse politico', di 'protesta
individualistica', tratti tra loro fortemente correlati
statisticamente, tanto da meritare la definizione globale di 'sindrome
dell’arretratezza socio-culturale'”.
Non è una descrizione dell’elettorato del Polo, ma l’analisi
degli atteggiamenti di un campione di 7530 giovani tra i 14 e i 25
anni di età, intervistato dall’ISVET all’inizio degli anni 70.
Oggi elettori tra i 44 e i 55 anni d’età. (Carlo Tullio-Altan, La
nostra Italia, Università Bocconi editore, Milano 2000, p.5.) In
passato la moralità delle élite stava nel cercare di
combattere questa cultura politica: da Prampolini, a Rosmini a Dolci,
a Bobbio, l’Italia civile ha sempre cercato di educare ed elevare la
cultura civica.
Oggi è passata la linea opposta e in nome della “democrazia”
questa cultura viene sollecitata, blandita e cinicamente sfruttata
senza remore. Molti però non si riconoscono in un concetto di
libertà che vuole soprattutto liberarsi delle regole. Commettendo una
gaffe, verso i propri sostenitori, Berlusconi non dice “ringrazio
quegli italiani che mi hanno votato”, (che sono comunque meno della
metà di coloro che hanno espresso voti validi e poco meno di un terzo
degli elettori) ma ringrazia tutti gli italiani con un tantino di
megalomania. Sono le meschinità del populismo, ma se la moralità
degli elettori è difficile da valutare, quella delle élite
traspare da ogni atto e da ogni parola.
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