Democrazia e retorica deliberativa
Nadia Urbinati
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senza perdere la faccia
Il centrosinistra, anche se
sconfitto, "riparte dal nord". E da Milano.
Democrazia e retorica
deliberativa
Ma con la DC era peggio
Non è razzista chi
critica il populismo
Uno dei temi emersi durante questa campagna elettorale è stato quello
dell’uso della retorica nella politica e, soprattutto, della
retorica populistica come negazione della politica. Il richiamo alla
retorica non è stato mai amato dai democratici moderni -- in forma
più o meno diretta eredi di Rousseau e dell’idea che il bene
generale sia qualcosa che la ragione umana puó scoprire perché e
nella misura in cui viene evitato l’uso della retorica.
Come si sa, Rousseau immaginava che l’assemblea fosse muta e i
cittadini vi votassero per alzata di mano, senza discutere. Il
retaggio era certamente platonico, perché Platone, contro i Sofisti,
definì la retorica come arte dell’occultamento o del travestimento
della veritá con lo scopo di indurre gli interlocutori a scegliere
ciò che, se avessero pensassero con la propria testa, non avrebbero
scelto. La retorica come inganno, dunque.

Senza dubbio, la retorica può essere inganno, e di fatto lo è e lo
è stata molto di frequente. Eppure, l’uso manipolatore della parola
non può comportare escludere il valore della parola, soprattutto in
democrazia, dove non ci sono altre armi se non quelle delle idee
scritte e verbalmente enunciate e scambiate. Alcuni teorici
contemporanei, come Richard Rorty, hanno affrontato questo tema in
maniera diretta, criticando cioé i teorici razionalisti della
democrazia deliberativa (per esempio Habermas), e opponendo loro una
retorica democratica. Anzi, come è avvenuto recentemente nella
campagna elettorale americana, hanno parlato esplicitamente di “populismo
democratico” contro quello “plutocratico”.
Nella società americana, che non ha conosciuto il fascismo, l’uso
del termine populismo non evoca gli spettri che invece evoca nei paesi
europei e in Italia soprattutto. E’ quindi comprensibile che quando,
rispondendo alle quattro domande di Reset sulle ragioni per
votare Ulivo, ho invocato la capacità della sinistra di usare una
retorica democratica, questo possa aver sorpreso negativamente, come
sembra di capire dal riferimento di Corrado Ocone su Caffé Europa
a coloro che propongono di opporre una ‘retorica buona’ contro una
‘retorica cattiva.’
Non penso che Rorty sia convincente nella sua definizione patriottica
di nazione democratica. Ritengo anzi che Habermas offra alla teoria
democratica un paradigma, quello deliberativo, molto più convincente
e generalizzabile. Proprio per questa ragione, la teoria deliberativa
della democrazia non puó evitare di fari i conti con l’uso, la
forma, e i limiti della retorica nel discorso politico. A meno che,
come i realisti (Jon Elster) obiettano, la democrazia non sia altro
che l’arte schumpeteriana di selezionare le élite e di mediare tra
interessi intrasformabili via-ragionamento. Ripensare al ruolo della
retorica nel discorso pubblico é dunque necessario per arricchire la
nozione stessa di deliberazione.

Premesso questo, non mi sembra convincente proporre un’alternativa
tra una “reorica buona” e una “retorica cattiva”. E in
effetti, non era a questo che pensavo quando perlavo della necessità
che la sinistra sapesse usare una retorica democratica. Mi sembra
invece che sia molto piu’ utile distinguere tra una retorica
della deliberazione e una retorica della manipolazione. Una
delle tre figure retoriche che Aristotele distingue è quella “deliberativa”.
Contrariamente alla retorica forense, il cui oggetto sono le azioni
giá avvenute con lo scopo di giudicarle (assolvere o condannare) in
ragione di norme condivise, la retorica deliberativa ha come oggetto
il giudizio su eventi futuri, perché implica una decisione su ció
che si dovrebbe o non dovrebbe fare.
La sua dimensione è quindi quella della possibilità: essa deve poter
orientare la decisione dei partecipanti al dibattito politico in
ragione di un’interpretazione di ciò che può essere utile o buono
per la comunità politica stessa. Questa retorica è deliberativa,
inoltre, perché non intende manipolare le opinioni, ma invece cerca
di individuare le ragioni piú pertinenti affinché chi deve decidere
sia messo nella condizione di avere conoscenze riflessive che lo
aiutino a fare una scelta competente. Nella politica democratica, che
è politica fondata sulla parola e lo scambio di opinioni, ovvero sul
‘libero mercato’ delle idee e delle interpretazioni su questioni
che riguardano tutti, il ruolo della retorica deliberativa é quindi
fondamentale.
La politica democratica è fondata sul riconoscimento della
fallibilità umana, quindi sull’accattazione della regola di
maggioranza: sull’idea cioé che trattandosi di interpretazioni, non
di verità scientifiche, i cittadini possono riconoscere di sbagliare
e devono poter emendare quello che ritengono un errore. Questa
dimensione della possibilità, insieme al riconoscimento della
perfettibilità ma non della perfezione, rende la retorica
deliberativa lo strumento politico piú consono alla comunitá
democratica.
Retorica, però, non significa qui uso arbitrario del giudizio, ma uso
del giudizio in ragione di norme condivise dai partecipanti al
processo politico stesso: un giudizio regolato, pubblico nei
presupposti, nelle forme espressive e negli obiettivi. Infine, un
giudizio contestualizzato, perché relativo a un luogo e a una
comunità specifici.
I criteri che servono a denotare la retorica deliberativa determinano
anche quella che si chiama ‘cattiva retorica.’ La cattiva retorica
non è retorica finalizzata alla deliberazione, e in questo senso non
è democratica. Essa è finalizzata alla vittoria comunque. Il suo
mezzo è per tanto la manipolazione delle conoscenze e delle opinioni
con lo scopo di indurre il cittadino a non vedere altra possibilitá
decisionale che quella proposta.
Anziché dare informazioni, costruire buoni argomenti e accettare la
dialettica, questa retorica esclude il dialogo, demonizza l’avversario
e genera risentimento. Le sue non sono ragioni, ma affermazioni: non
ammettono repliche né emendazione. Pretendono l’inconfutabilitá e
respingono il principio della fallibilità. L’obiettivo della
retorica della manipolazione non è quello di far ragionare chi deve
decidere (per esempio gli elettori) con la propria testa, ma quello di
impedire il ragionamento autonomo.
Da Platone in poi, e in età moderna con Rousseau, è a questa
retorica che i teorici della democrazia pensano quando criticano l’uso
della retorica in politica. Tuttavia, mentre è certamente vero che
questa è cattiva retorica che la buona politica deve cercare di
evitare, è altressí vero che è sbagliato identificare il giudizio
retorico con la retorica della manipolazione. Lo è soprattutto se si
assume una visione della democrazia come deliberazione comune, ovvero
processo pubblico di formazione dell’agenda politica, delle
argomentazioni e infine della decisione.
La retorica deliberativa è una forma di giudizio politico. E’
importante recupare questa tradizione -quella aristotelica-proprio per
impedire che della deliberazione si dia una interpretazione
razionalistica, la quale oltretutto confligge con il pluralismo delle
opinioni che la democrazia presuppone, e dall’altro lato per
resistere all’uso della retorica come arte della manipolazione, come
accade ed è accaduto con i fenomeni di populismo passati e presenti.
Di fronte alla retorica populistica i democratici si trovano spesso
disarmati. Mi sembra tuttavia, che debbano saper recuperare proprio la
dimensione deliberativa della retorica. E’ necessario, proprio
perché la politica democratica non può comunque rinunciare al
discorso pubblico, anzi, deve difenderlo contro un suo uso abritrario
e manipolatore.
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