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In Italia è raro che un ministro della Repubblica scriva un libro sulla sua esperienza di Governo. E' ciò Luigi Berlinguer ha inteso fare, ricostruendo ne La scuola nuova (Laterza) i quattro anni trascorsi al Ministero della Pubblica Istruzione. In quest’arco di tempo, eccezionalmente lungo per le abitudini politiche italiane, è stata portata a termine la prima riforma organica della scuola dal 1923. Non era un’operazione scontata negli esiti perché in Italia non è stata mai una priorità. Il Ministero della Pubblica Istruzione è stato per molti anni organizzato per gestire le vicende personali di centinaia di migliaia di persone pagate poco piuttosto che per funzionare come centro di programmazione e di indirizzo.

Non sorprende dunque che la riforma sia stata portata avanti tra l'indifferenza dei più e l'ostilità di molti. Con la legge n.30/2000 il sistema scolastico italiano è invece giunto ad una svolta, trasformandosi da luogo di selezione delle élite tecnocratiche (per altro inefficiente) a scuola del “popolo colto”. Del libro e di questi cambiamenti hanno discusso "Alla Loggetta", il 23 marzo, l'attuale ministro della Pubblica istruzione Tullio De Mauro, l'onorevole Luigi Berlinguer, l'onorevole Rocco Buttiglione (da più parti indicato come candidato al ministero di Viale Trastevere in caso di vittoria della Casa delle Libertà), Massimo Belpoliti, insegnante e studioso di letteratura e nuovi media, e Marco Panara, il giornalista che ha collaborato alla redazione del libro. L'incontro è stato un'interessante occasione per saggiare i giudizi e le intenzioni delle diverse parti politiche alla vigilia delle elezioni e verificare lo stato dell’arte del dibattito culturale.


Spetta a De Mauro spiegare le ragioni storiche della riforma, inquadrandola all'interno dell'onda lunga, originatasi alla fine degli anni '60, che per decenni ha premuto per il rinnovamento della scuola e dello Stato. La riforma si è imposta per forza endogena: era ormai ineludibile semplificare, decentrare e rendere più trasparenti i centri decisionali. Occorreva dare una risposta a coloro, e sono l'80% degli studenti medi, che non scelgono i licei e vogliono una formazione spendibile nel mondo del lavoro. La scuola doveva finalmente orientare e ciò non era possibile con 243 indirizzi di istruzione superiore!

La nuova scuola sarà quella dell'insegnamento per tutto l'arco della vita, dell'educazione degli adulti, del contrasto alla dispersione: un sistema integrato che includa tutti i luoghi dove la domanda e l'offerta di conoscenza si incontrano. Nascerà così un sistema integrato, con un'area comune che non svaluta la cultura umanistica, ma rivaluta l'operatività del lavoro. A tale obiettivo concorrerà anche l’incontro storico sulla "parità scolastica" tra la cultura cattolico democratica e quella della sinistra ortodossa: sono migliaia le scuole private che stanno entrando nel sistema pubblico. In nuovo assetto - conclude il ministro - è nel contempo irreversibile e flessibile: il Parlamento sarà chiamato a valutarne l’attuazione ogni tre anni, ma tornare indietro sarebbe un disastro pubblico.

Tuttavia non sfugge a nessuno che il quadro politico potrebbe cambiare dopo le elezioni. "Se vince la Casa della Libertà sarà abrogata questa riforma?” Molti formulano questo dubbio, anche pensando alla propaganda della destra che ne reclama esplicitamente la sospensione. Perciò l'attenzione cresce quando prende la parola Buttiglione. E non delude. L'onorevole esordisce filosoficamente notando che la domanda da cui partire non è quella contenuta nel libro di Luigi Berlinguer: "A che cosa serve la scuola?". Occorre viceversa chiedersi "che cosa è la scuola".

Se, come sostiene il filosofo cattolico, la scuola è il luogo d'incontro delle famiglie, degli insegnanti e degli allievi per la trasmissione dei valori e dei saperi, nessuna riforma potrà essere imposta illuministicamente dall'alto. Occorre assecondare le linee di tendenza di questo corpo vivo, dialogare con esso. E’ necessaria una pausa di riflessione. Il Governo utilizzerà in primo luogo il sapere degli insegnanti e delle famiglie. Lavorerà in orizzontale perché c'è più sapere nella base che non nel vertice.

Buttiglione aggiunge che è utile rileggere lo studio di Vincenzo Cuoco sulla rivoluzione napoletana del 1799. In questa prospettiva il tentativo di riforma dei Governi di centrosinistra appare come un grande sforzo di aggiornamento della pedagogia tradizionale (cioé statale) della scuola italiana alla società complessa, destinato ad un effimero successo. Anzi, egli ritiene che sia già fallito per le resistenze all'interno della maggioranza e per i limiti della pedagogia di sinistra che non ha saputo affrontare la domanda fondamentale: "Chi ha il diritto di educare?".

Per il filosofo cattolico questo diritto non appartiene né allo Stato, né agli intellettuali, né agli insegnanti, ma solo alle famiglie. La scuola non deve essere una funzione dello Stato, ma della società e delle famiglie, e deve servire a trasmettere i contenuti edi valori che queste ritengono meritevoli di trasmissione alla generazione successiva. L'autonomia non è sufficiente: lo Stato deve sostenere finanziariamente le famiglie e la loro possibilità di scelta. La domanda di formazione non può essere centralizzata, si deve consentire una pluralità di modelli formativi pur nel rispetto di alcune condizioni di contorno.

Ogni scuola deve essere libera di inventarsi, occorre incoraggiare la creatività degli insegnanti e delle famiglie; la sussidiarietà dovrà eliminare qualsiasi differenza tra scuole pubbliche e scuole private. La tradizione razionalista crede nel sapere assoluto, afferma Buttiglione, che invece sa di sapere "pressapoco", che occorre collegare i luoghi che offrono "un pezzetto di sapere". Delinea così un'altra visione della società che non è quella di Descartes, né quella di Hegel. Sostituisce il controllo di efficienza, il diritto privato, al solo controllo di legalità. Punta al diritto sostanziale, al risultato, certificato dalla soddisfazione delle famiglie che ottengono così quella centralità che oggi non hanno. Nel dibattito Rocco Buttiglione preciserà i contorni pratici del suo ragionamento, delineando la separazione tra scuola e formazione professionale, pur nell'unitarietà del carattere umanistico di tutta la cultura, anche di quella tecnica.

La visione ideologica del deputato dei C.D.U. stimola Massimo Belpoliti a lanciare una provocazione ricavata da Italo Calvino: "La biblioteca del conte Monaldo è andata in crisi!" Dopodiché l'insegnante, studioso di letteratura e nuovi media, riporta tutti alla realtà della scuola di oggi. A quell'80% delle scuole dove l'insegnamento della letteratura italiana non è più il canone, alla relativa marginalità della famiglia nell’educazione dei giovani. E’ ormai doveroso - afferma - che si prenda atto che quello tecnico è il sapere dominante del XXI secolo e chiama a un'etica della conoscenza. La riforma Berlinguer è adeguata a questa nuova realtà e difficilmente potrà essere annullata, tuttavia resta inevasa la questione di un patto etico tra i politici e chi nella scuola lavora. Forse è questa la questione chiave che stenta a trovare una soluzione soddisfacente.

Più volte chiamato in causa, Luigi Berlinguer finalmente interviene, non nascondendo una certa amarezza. Quattro anni al Ministero della Pubblica Istruzione, una riforma tenacemente voluta: la prima revisione organica del sistema d'istruzione e formazione, dall'autonomia ai cicli scolastici ai nuovi curricoli della scuola di base. Quindi il passaggio a Tullio De Mauro, dopo la dura contestazione dei docenti al contratto che superava l'identificazione della carriera con l'anzianità.

Berlinguer lamenta che la riforma sia stata oggetto di critiche unilaterali, di semplificazioni e persino di manipolazioni. Sente l'esigenza di rettificare. Difende la riforma, respingendo le accuse che con essa si sia voluto abolire il liceo classico, ("pupilla degli occhi nostri"), insomma di aver progettato una scuola poco rigorosa. Aggiunge: “Come se i limiti della cultura italiana andassero ricercati in quella direzione e non nell'insufficiente preparazione scientifica diffusa! Ed il nuovo esame di Stato non avesse posto termine ad un sistema più permissivo per altro impregnato di finto rigore e di 'buon cuore'!”

La riforma è stata contrastata dall'intelligenztia giornalistica italiana che forse si è sentita minacciata nei propri fondamenti culturali, continua Berlinguer. Ciò perché la nuova scuola sposta l'asse della secondaria dalla filosofia, dalle lingue morte, alla costruzione del "pensiero", dall'eguaglianza della scuola di tutti alla scuola non dell'identicità, ma della diversità. La scuola deve diventare lo spazio comune nel quale debbono essere consentiti percorsi diversi che, anche se portano a compiti esecutivi, debbono essere anche intellettuali.

E' stato un modello di scuola che l’ex-ministro ritiene particolarmente adatto alla società civile a creare la piccola e media industria, un modello di sviluppo tipico dell'Italia dove invece la grande industria langue. Quindi Berlinguer ricostruisce l'iter di una riforma che solo motivi di opportunità politica è stata condotta dal tetto alle fondamenta, dalla riforma dell’esame di stato ai curricoli dei nuovi cicli. Le leggi Bassanini di riforma dello Stato hanno introdotto l'autonomia scolastica (giuridica, contabile, amministrativa, didattica e culturale) all’interno della quale il Governo di Centrosinistra ha ridefinito la natura pubblica del sistema che è diventata una funzione, non coincidente necessariamente con l'appartenenza allo Stato. Quindi l'autonomia educativa e didattica delle istituzioni scolastiche è stata lo "strapuntino" del treno della riforma.

E' questa - sottolinea Berlinguer - la vera sussidiarietà, sostenuta da un’amministrazione centrale rimpicciolita, ma più efficiente, che opera finalmente per obiettivi: indirizza, ma non gestisce. Le scuole sono destinate a trasformarsi in comunità educanti allargate, comunità di affetti non alternative alla famiglia, ma neanche mere funzioni di questa. Dove si formano elettivamente la cittadinanza e la responsabilità sociale. Il cammino verso questo traguardo - conclude Berlinguer - dall’autonomia alla riforma dei cicli è stato lungo e tortuoso, spesso compiuto con forzature. Né presso i grandi intellettuali, né nel movimento dei lavoratori esisteva una forte volontà riformista sul tema.

Nel discorso dell’onorevole Buttiglione sulla scuola come “corpo vivo” e nelle polemiche che hanno caratterizzato la conclusione della sua esperienza ministeriale Luigi Berlinguer vede, nonostante tutto, confermata la validità della riforma. E’ stata all’altezza dei tempi e delle sfide odierne - conclude - C’è ormai una cornice, è stato innescato un processo: i docenti saranno i protagonisti di questo cambiamento se lo vorranno. Dovranno ripensarsi perché la loro posizione è cambiata in una scuola non più protetta ed autoreferenziale.

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