L'insegnamento per tutto l'arco della
          vita 
           
           
           
          Piero Comandé 
           
           
           
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          Le norme e le regole 
          Testimonianza sul campo 
          Rai Educational/Democrazia ed
          educazione
           
          In Italia è raro che un ministro della Repubblica scriva un libro
          sulla sua esperienza di Governo. E' ciò Luigi Berlinguer ha inteso
          fare, ricostruendo ne La scuola nuova (Laterza) i quattro anni
          trascorsi al Ministero della Pubblica Istruzione. In quest’arco di
          tempo, eccezionalmente lungo per le abitudini politiche italiane, è
          stata portata a termine la prima riforma organica della scuola dal
          1923. Non era un’operazione scontata negli esiti perché in Italia
          non è stata mai una priorità. Il Ministero della Pubblica Istruzione
          è stato per molti anni organizzato per gestire le vicende personali
          di centinaia di migliaia di persone pagate poco piuttosto che per
          funzionare come centro di programmazione e di indirizzo. 
           
          Non sorprende dunque che la riforma sia stata portata avanti tra
          l'indifferenza dei più e l'ostilità di molti. Con la legge n.30/2000
          il sistema scolastico italiano è invece giunto ad una svolta,
          trasformandosi da luogo di selezione delle élite tecnocratiche (per
          altro inefficiente) a scuola del “popolo colto”. Del libro e di
          questi cambiamenti hanno discusso "Alla Loggetta", il 23
          marzo, l'attuale ministro della Pubblica istruzione Tullio De Mauro,
          l'onorevole Luigi Berlinguer, l'onorevole Rocco Buttiglione (da più
          parti indicato come candidato al ministero di Viale Trastevere in caso
          di vittoria della Casa delle Libertà), Massimo Belpoliti, insegnante
          e studioso di letteratura e nuovi media, e Marco Panara, il
          giornalista che ha collaborato alla redazione del libro. L'incontro è
          stato un'interessante occasione per saggiare i giudizi e le intenzioni
          delle diverse parti politiche alla vigilia delle elezioni e verificare
          lo stato dell’arte del dibattito culturale. 
            
           
          Spetta a De Mauro spiegare le ragioni storiche della riforma,
          inquadrandola all'interno dell'onda lunga, originatasi alla fine degli
          anni '60, che per decenni ha premuto per il rinnovamento della scuola
          e dello Stato. La riforma si è imposta per forza endogena: era ormai
          ineludibile semplificare, decentrare e rendere più trasparenti i
          centri decisionali. Occorreva dare una risposta a coloro, e sono l'80%
          degli studenti medi, che non scelgono i licei e vogliono una
          formazione spendibile nel mondo del lavoro. La scuola doveva
          finalmente orientare e ciò non era possibile con 243 indirizzi di
          istruzione superiore! 
           
          La nuova scuola sarà quella dell'insegnamento per tutto l'arco della
          vita, dell'educazione degli adulti, del contrasto alla dispersione: un
          sistema integrato che includa tutti i luoghi dove la domanda e
          l'offerta di conoscenza si incontrano. Nascerà così un sistema
          integrato, con un'area comune che non svaluta la cultura umanistica,
          ma rivaluta l'operatività del lavoro. A tale obiettivo concorrerà
          anche l’incontro storico sulla "parità scolastica" tra la
          cultura cattolico democratica e quella della sinistra ortodossa: sono
          migliaia le scuole private che stanno entrando nel sistema pubblico.
          In nuovo assetto - conclude il ministro - è nel contempo
          irreversibile e flessibile: il Parlamento sarà chiamato a valutarne l’attuazione
          ogni tre anni, ma tornare indietro sarebbe un disastro pubblico. 
           
          Tuttavia non sfugge a nessuno che il quadro politico potrebbe cambiare
          dopo le elezioni. "Se vince la Casa della Libertà sarà abrogata
          questa riforma?” Molti formulano questo dubbio, anche pensando alla
          propaganda della destra che ne reclama esplicitamente la sospensione.
          Perciò l'attenzione cresce quando prende la parola Buttiglione. E non
          delude. L'onorevole esordisce filosoficamente notando che la domanda
          da cui partire non è quella contenuta nel libro di Luigi Berlinguer:
          "A che cosa serve la scuola?". Occorre viceversa chiedersi
          "che cosa è la scuola". 
           
          Se, come sostiene il filosofo cattolico, la scuola è il luogo
          d'incontro delle famiglie, degli insegnanti e degli allievi per la
          trasmissione dei valori e dei saperi, nessuna riforma potrà essere
          imposta illuministicamente dall'alto. Occorre assecondare le linee di
          tendenza di questo corpo vivo, dialogare con esso. E’ necessaria una
          pausa di riflessione. Il Governo utilizzerà in primo luogo il sapere
          degli insegnanti e delle famiglie. Lavorerà in orizzontale perché
          c'è più sapere nella base che non nel vertice. 
           
          Buttiglione aggiunge che è utile rileggere lo studio di Vincenzo
          Cuoco sulla rivoluzione napoletana del 1799. In questa prospettiva il
          tentativo di riforma dei Governi di centrosinistra appare come un
          grande sforzo di aggiornamento della pedagogia tradizionale (cioé
          statale) della scuola italiana alla società complessa, destinato ad
          un effimero successo. Anzi, egli ritiene che sia già fallito per le
          resistenze all'interno della maggioranza e per i limiti della
          pedagogia di sinistra che non ha saputo affrontare la domanda
          fondamentale: "Chi ha il diritto di educare?". 
           
          Per il filosofo cattolico questo diritto non appartiene né allo
          Stato, né agli intellettuali, né agli insegnanti, ma solo alle
          famiglie. La scuola non deve essere una funzione dello Stato, ma della
          società e delle famiglie, e deve servire a trasmettere i contenuti
          edi valori che queste ritengono meritevoli di trasmissione alla
          generazione successiva. L'autonomia non è sufficiente: lo Stato deve
          sostenere finanziariamente le famiglie e la loro possibilità di
          scelta. La domanda di formazione non può essere centralizzata, si
          deve consentire una pluralità di modelli formativi pur nel rispetto
          di alcune condizioni di contorno. 
           
          Ogni scuola deve essere libera di inventarsi, occorre incoraggiare la
          creatività degli insegnanti e delle famiglie; la sussidiarietà
          dovrà eliminare qualsiasi differenza tra scuole pubbliche e scuole
          private. La tradizione razionalista crede nel sapere assoluto, afferma
          Buttiglione, che invece sa di sapere "pressapoco", che
          occorre collegare i luoghi che offrono "un pezzetto di
          sapere". Delinea così un'altra visione della società che non è
          quella di Descartes, né quella di Hegel. Sostituisce il controllo di
          efficienza, il diritto privato, al solo controllo di legalità. Punta
          al diritto sostanziale, al risultato, certificato dalla soddisfazione
          delle famiglie che ottengono così quella centralità che oggi non
          hanno. Nel dibattito Rocco Buttiglione preciserà i contorni pratici
          del suo ragionamento, delineando la separazione tra scuola e
          formazione professionale, pur nell'unitarietà del carattere
          umanistico di tutta la cultura, anche di quella tecnica. 
           
          La visione ideologica del deputato dei C.D.U. stimola Massimo
          Belpoliti a lanciare una provocazione ricavata da Italo Calvino:
          "La biblioteca del conte Monaldo è andata in crisi!"
          Dopodiché l'insegnante, studioso di letteratura e nuovi media,
          riporta tutti alla realtà della scuola di oggi. A quell'80% delle
          scuole dove l'insegnamento della letteratura italiana non è più il
          canone, alla relativa marginalità della famiglia nell’educazione
          dei giovani. E’ ormai doveroso - afferma - che si prenda atto che
          quello tecnico è il sapere dominante del XXI secolo e chiama a
          un'etica della conoscenza. La riforma Berlinguer è adeguata a questa
          nuova realtà e difficilmente potrà essere annullata, tuttavia resta
          inevasa la questione di un patto etico tra i politici e chi nella
          scuola lavora. Forse è questa la questione chiave che stenta a
          trovare una soluzione soddisfacente. 
           
          Più volte chiamato in causa, Luigi Berlinguer finalmente interviene,
          non nascondendo una certa amarezza. Quattro anni al Ministero della
          Pubblica Istruzione, una riforma tenacemente voluta: la prima
          revisione organica del sistema d'istruzione e formazione,
          dall'autonomia ai cicli scolastici ai nuovi curricoli della scuola di
          base. Quindi il passaggio a Tullio De Mauro, dopo la dura
          contestazione dei docenti al contratto che superava l'identificazione
          della carriera con l'anzianità. 
           
          Berlinguer lamenta che la riforma sia stata oggetto di critiche
          unilaterali, di semplificazioni e persino di manipolazioni. Sente
          l'esigenza di rettificare. Difende la riforma, respingendo le accuse
          che con essa si sia voluto abolire il liceo classico, ("pupilla
          degli occhi nostri"), insomma di aver progettato una scuola poco
          rigorosa. Aggiunge: “Come se i limiti della cultura italiana
          andassero ricercati in quella direzione e non nell'insufficiente
          preparazione scientifica diffusa! Ed il nuovo esame di Stato non
          avesse posto termine ad un sistema più permissivo per altro
          impregnato di finto rigore e di 'buon cuore'!” 
           
          La riforma è stata contrastata dall'intelligenztia giornalistica
          italiana che forse si è sentita minacciata nei propri fondamenti
          culturali, continua Berlinguer. Ciò perché la nuova scuola sposta
          l'asse della secondaria dalla filosofia, dalle lingue morte, alla
          costruzione del "pensiero", dall'eguaglianza della scuola di
          tutti alla scuola non dell'identicità, ma della diversità. La scuola
          deve diventare lo spazio comune nel quale debbono essere consentiti
          percorsi diversi che, anche se portano a compiti esecutivi, debbono
          essere anche intellettuali. 
           
          E' stato un modello di scuola che l’ex-ministro ritiene
          particolarmente adatto alla società civile a creare la piccola e
          media industria, un modello di sviluppo tipico dell'Italia dove invece
          la grande industria langue. Quindi Berlinguer ricostruisce l'iter di
          una riforma che solo motivi di opportunità politica è stata condotta
          dal tetto alle fondamenta, dalla riforma dell’esame di stato ai
          curricoli dei nuovi cicli. Le leggi Bassanini di riforma dello Stato
          hanno introdotto l'autonomia scolastica (giuridica, contabile,
          amministrativa, didattica e culturale) all’interno della quale il
          Governo di Centrosinistra ha ridefinito la natura pubblica del sistema
          che è diventata una funzione, non coincidente necessariamente con
          l'appartenenza allo Stato. Quindi l'autonomia educativa e didattica
          delle istituzioni scolastiche è stata lo "strapuntino" del
          treno della riforma. 
           
          E' questa - sottolinea Berlinguer - la vera sussidiarietà, sostenuta
          da un’amministrazione centrale rimpicciolita, ma più efficiente,
          che opera finalmente per obiettivi: indirizza, ma non gestisce. Le
          scuole sono destinate a trasformarsi in comunità educanti allargate,
          comunità di affetti non alternative alla famiglia, ma neanche mere
          funzioni di questa. Dove si formano elettivamente la cittadinanza e la
          responsabilità sociale. Il cammino verso questo traguardo - conclude
          Berlinguer - dall’autonomia alla riforma dei cicli è stato lungo e
          tortuoso, spesso compiuto con forzature. Né presso i grandi
          intellettuali, né nel movimento dei lavoratori esisteva una forte
          volontà riformista sul tema. 
           
          Nel discorso dell’onorevole Buttiglione sulla scuola come “corpo
          vivo” e nelle polemiche che hanno caratterizzato la conclusione
          della sua esperienza ministeriale Luigi Berlinguer vede, nonostante
          tutto, confermata la validità della riforma. E’ stata all’altezza
          dei tempi e delle sfide odierne - conclude - C’è ormai una cornice,
          è stato innescato un processo: i docenti saranno i protagonisti di
          questo cambiamento se lo vorranno. Dovranno ripensarsi perché la loro
          posizione è cambiata in una scuola non più protetta ed
          autoreferenziale. 
           
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