Una legge tanto attesa
Tullio De Mauro con Piero Comandé
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attesa
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per tutto l'arco della vita
Le norme e le regole
Testimonianza sul campo
Rai Educational/Democrazia ed
educazione
La tredicesima legislatura (1996/2001) lascia una scuola profondamente
mutata. Le leggi che disciplinano il riordino dei cicli, la parità,
l'autonomia, l'obbligo formativo, l'elevamento dell'obbligo
scolastico, il nuovo esame di Stato, l'istruzione e formazione tecnica
superiore e l'educazione degli adulti hanno ridefinito la posizione
della scuola nella società. E' stato un processo tormentato, non
lineare: un mosaico che si è composto tessera dopo tessera. Talvolta
il movimento riformatore ha dato l'impressione di procedere
percorrendo vecchi sentieri. Quando venne cambiato l'esame di
maturità nel 1997, molti osservatori criticarono che si iniziasse a
costruire il nuovo edificio dal tetto. Reazioni analoghe suscitò
l'elevamento dell'obbligo scolastico di un anno in un sistema di cicli
immutato.
Le vicende politiche del Centrosinistra hanno pesato non poco nello
sviluppo dei provvedimenti legislativi riguardanti la scuola. Non a
caso la riforma accelera e acquista coerenza a partire dal 1999. Al
termine del percorso, ancora non del tutto compiuto, la scuola è
cambiata. Si è ricollocata in una società dove la ricchezza è data
dai beni della conoscenza e dell'informazione e il processo economico
e sociale esige la possibilità e disponibilità ad apprendere per
tutta la vita. Di questo e altro, con un occhio all'attualità
politica, abbiamo conversato con il ministro della pubblica
istruzione, Tullio De Mauro, docente di Filosofia del Linguaggio
all'Università La Sapienza, insigne linguista, che cortesemente ci ha
ricevuti nel suo studio al Ministero di Viale Trastevere.
Professore, la riforma della scuola è finalmente legge dello
Stato. Perché si è dovuto attendere così a lungo?
E' negli anni ‘50 che comincia a manifestarsi una notevole spinta
all’istruzione. Tuttavia il ceto dirigente per la prima parte del
decennio non capisce niente di quello che sta succedendo. Se si va
vedere ci si accorge che c¹è un aumento nelle iscrizioni e c’è
una spinta a proseguire gli studi oltre la licenza elementare. La
risposta iniziale a questo è "torpida e torbida" e viene da
tutti i versanti compreso il Partito Comunista dell¹epoca. Se si
pensa che intellettuali di rango, per esempio Concetto Marchesi,
scendono in campo per protestare contro l’idea che tutti possano e
debbano proseguire oltre la licenza elementare ...
Con quale motivazione?
L'idea era questa: "a che serve avere tutti dottori?" E
guardi che questo concetto si ritroverà più in là ad altri livelli. In realtà non si
chiedeva che fossero tutti dottori, ma che arrivassero, come la costituzione
aveva detto nel ‘48, a 8 anni completi di istruzione scolastica. Il primo
scossone a questo stato di cose si ha nel 1955 quando escono i
risultati del censimento del ‘51. Ci si accorge che il 59,8% della
popolazione adulta di oltre quattordici anni non ha la licenza
elementare. E' un dato che ogni tanti tiro fuori e tutti mi guardano
stupiti. Quel censimento provoca una scossa, la prima vera scossa del
ceto dirigente italiano, da destra a sinistra. Il Mondo e Gli amici
del Mondo organizzano un convegno sulla scuola "secondo la
costituzione", cioè la scuola della durata di 8 anni. E c’è
un’importante relazione di Mario Alicata al comitato centrale del
PCI contro la tesi malthusiana dell’intellettualità comunista.
Il PCI era uno dei pochi partiti, forse l’unico, in cui si discuteva
veramente. In quell'occasione si spiega che la politica culturale non
si fa agganciando violinisti e ballerine o giornalisti di grido o
pittori di chiara fama, ma si fa attraverso la scuola. Si delinea l’impegno
a favore della creazione di una scuola media dell’obbligo unificato
che onori la costituzione.
Come mai non si delinea allora l’idea di una scuola media
unificata alle elementari?
Perché la proposta scatena una battaglia che dura sette anni, un
tempo che per allora era lungo, e che per così dire esaurisce tutte
le energie. L¹idea era che, una volta riformata la scuola media, si
sarebbe poi riformata la scuola superiore. Nel 1962 viene varata la
riforma della scuola media, si convincono anche i cattolici, un ruolo
importante lo hanno la Confindustria e le grandi imprese industriali
che capiscono nel corso degli anni ‘50 quel che la gente aveva già
capito, la gente con due “g”, disprezzata: licenza elementare per
tutti, cosa che allora non c’era (metà dei ragazzini abbandonavano
prima della licenza elementare) e scuola media. Che questa fosse un’esigenza
matura nelle cose della società italiana, risulta dal fatto che un
grande ministro della pubblica istruzione, razzista per convenienza,
ma persona molto capace come Giuseppe Bottai, nel 1939-40 aveva varato
la carta della scuola che prevedeva la scuola media unica e che venne
distrutta come creatura fascista. Negli anni della resistenza e della
liberazione si ritorna alle due scuole separate. Ma l’idea di chi
guardava avanti era che il Paese avesse bisogno di una base di 8 anni
almeno d¹istruzione unificata, comune e gratuita per tutti. In
sostanza oggi si riprende il progetto di Bottai.
E oggi?
Le condizioni sono quelle che Romano Prodi riassunse quando non era
ancora presidente del consiglio, in un dibattito ad un’assemblea di
imprenditori agricoli emiliani: “potete essere ignoranti e ricchi
per una generazione, ma non per due”. Gli otto anni di scuola non
sono ancora una realtà per tutti, c’è un 5% medio nazionale -
questi sono dati segreti, stanno negli annuari ISTAT, però nessuno li
mette in giro - che non completa il ciclo. Fino al 1992-1993 era
l¹8%, e c’è stato in questi anni uno sforzo enorme. Però non
siamo ancora al 100%.
Dagli anni ‘80 si è determinata una spinta alla prosecuzione: un po’
alla volta, lo si vede nell¹andamento statistico, tutti i licenziati
di scuola media, prima al 60, poi al 80 e poi al 90, poi al 95%, si
iscrivono al primo anno delle superiori. Molti durano un anno e poi
abbandonano. La richiesta di istruzione superiore è ancora una volta
una richiesta popolare che i gruppi dirigenti impiegano 10-15 anni per
digerire e cominciare a capire.
Del resto c'è stato bisogno di aspettare la fine degli anni ‘60
perché cominciassero a circolare documenti e richieste per
l¹unificazione del ciclo di base, con molte perplessità. A mia
conoscenza, prima dell’inizio degli anni ‘80 non ci sono proposte formali, sia pure di studiosi o di
insegnanti o di associazione di insegnanti per l’unificazione del ciclo di
base. Si comincia da allora con riferimento ai parametri e alle esperienze
europee che prevedono un ciclo lungo di base.
Che la cosa funzionasse, si capisce dal fatto che nel Governo
Berlusconi l’allora ministro della pubblica istruzione D’Onofrio fa un
piccolo decreto per fronteggiare situazioni di emergenza in luoghi con dove c’era
una contrazione demografica ed era opportuno immaginare degli istituti
comprensivi che accorpassero scuola dell¹infanzia - o, come si
diceva, scuola materna, scuola elementare e media. Si verifica così una sorta
di esplosione: due terzi delle esistenti scuole elementari e medie
chiedono di confluire - e confluiscono - in istituti comprensivi.
Quando, nell’autunno del 2000 sul Corriere della Sera escono
articoli di Angelo Panebianco e di Enzo Biagi che dicono: “Ah, la mia scuola,
che succederà quando metteranno insieme elementari e media!”, entrambi
ignorano che esistono già 3.500 istituti comprensivi, che su 10.000
scuole sono tanti, e che hanno realizzato da alcuni anni esattamente
la fusione di scuola dell¹infanzia, elementari e medie. Con successo, come sappiamo
dai monitoraggi del Ministero. O comunque senza spargimento di sangue.
Maestri e professori imparano a convivere e a progettare unitariamente
e i ragazzini stanno benissimo.
C¹era un esigenza dal punto di vista del confronto internazionale,
del ragionamento educativo sulla necessità, almeno sull’opportunità,
di progettare unitariamente tutta la formazione di base. Dal punto di
vista della risposta popolare poi era un'esigenza stramatura, che si
incanala inaspettatamente, come succede spesso nel nostro Paese, per questa
via. D’Onofrio poveretto si sente in difficoltà quando gli ricordo
queste cose ed esclama: “Ma io volevo fare un’altra cosa!”. E’ vero, ma anche
la
televisione voleva fare un’altra cosa, nel 1955 nessuno pensava che
avrebbe causato l’apprendimento della lingua italiana, che avrebbe
stimolato l’uso del sapone, il miglioramento dell’igiene familiare
e femminile, l’emancipazione delle donne, la riduzione delle
nascite. Adesso piangiamo: la televisione non basta più ad insegnarci
che qualche figlio bisogna farlo, però ci insegnò a non fare 13
figli per ogni donna! Anche questo era preterintenzionale, l’avessero
saputo non avremmo avuto le trasmissioni televisive in Italia.
Cambia qualcosa nel numero di anni di obbligo scolastico?
La riforma prevede 7 anni di scuola di base e 2 anni di scuola
obbligatoria nel quinquennio superiore, perciò 9 anni erano e 9 anni restano.
Quali sono le parole chiave della nuova scuola?
Il primo imperativo è: portare tutti in modo misurato all¹obbligo
formativo a 18 anni. Il secondo è: raggiungere questo obiettivo in modo
realistico, sapendo esattamente cosa stanno imparando gli studenti. Dalle indagini
comparative internazionali sappiamo per esempio che il 20-25% dei
ragazzi e delle ragazze rischia di uscire dalla scuola media con
difficoltà di scrittura e di lettura. Prima della riforma della maturità in esame
di Stato, con delle serie garanzie che mancavano dagli anni ‘60, e prima che
la riforma possa rioperare sui i ritmi e i modi e i livelli effettivi di
apprendimento nella vecchia media del ciclo secondario, ci vorrà
qualche anno ancora: il 50% dei ragazzi usciva con cognizioni storiche,
matematiche e linguistiche molto mediocri, prendendo poi buoni voti
alla maturità.
Perno della riforma è la formazione di un sistema nazionale di
valutazione che affianchi l'opera quotidiana di interrogazione, di emissione di
giudizi, che ci dica man mano per ciascuna regione, istituto, classe e singolo
ragazzo che cosa è stato imparato in capo ad ogni anno di studi.
Questo permetterà di capire che ritorni ci sono nell¹investimento in
Scuola. E ci permetterà anche di capire come intervenire. Già ora sappiamo molte
cose: dopo due anni di lavoro dell¹Istituto Nazionale della
Valutazione cominciamo ad avere le idee abbastanza chiare su come sta
funzionando il sistema scolastico italiano.
Questo va molto meglio di quanto si creda, però con disparità molto
forti. Tutti i dati che abbiamo sono quelli di una scuola molto
reattiva e capace di grandi prestazioni di livello internazionale
nella metà superiore, e invece con cadute al di sotto della media
nella metà inferiore. Queste due metà non seguono lo spartiacque dei
comparti territoriali, anche se certo c'è una maggiore concentrazione delle macchie alte al Centro al Nord e minore
nel Sud. Però nel Nord come nel Sud si denunciano fenomeni di
contrasto stridente a pochi chilometri di distanza, tra un istituto tecnico
oppure un liceo che si presenta con risultati di livello europeo ad un altro che
si presenta con risultati catastrofici.
Allora il problema che una società pensante e pensosa dovrebbe avere
è quello di ridurre con politiche molto mirate queste divaricazioni. Ma
siamo lontani ... le imbecillità e dalle controimbecillità sul buono
scuola credo che ci distrarranno per molti anni dal pensare a cosa fare seriamente.
Il progetto di riforma fa corpo con la volontà di informare
sistematicamente tutti sul reale andamento degli apprendimenti.
L'autonomia delle istituzioni scolastiche cambierà il "fare
scuola" degli insegnanti e l'apprendimento dei ragazzi?
L'autonomia dice alle scuole: "tu ti costruisci il tuo curricolo
a partire da alcune indicazioni standard che vengono distribuite
nazionalmente. Partendo da queste indicazioni, guardando che ragazzi e ragazze hai
nella pancia e che risorse hai a disposizione, costruisci un curricolo che
ti consenta di far raggiungere a tutte e a tutti gli obiettivi previsti,
senza 7 in condotta, senza bocciature. Non esiste più un curricolo nazionale, per realizzare il tuo curricolo tu scuola devi insegnare
almeno queste materie - italiano, matematica - e poi amministri localmente un
20 che può diventare un 25%, anche per rafforzare le materie
obbligatorie: matematica se a quei ragazzi serve più matematica, italiano se serve
più italiano. Quindi al Parini di Milano o al Giulio Cesare di Roma forse
l'italiano si potrà farlo solo nelle ore che fanno parte della quota nazionale, mentre all'istituto professionale di Ponticelli a Napoli
oppure anche in un istituto analogo del Friuli Venezia Giulia, o fuori dai
grandi centri, forse una parte del 20% destinata all'italiano non farebbe
male.
Quarto punto del progetto di riforma, le scuole riescono a dare alle
ragazze e ai ragazzi quelle competenze durevoli, che puntino sulla qualità e la longevità delle competenze acquisite.
L'informazione e lo studio sono funzionali a saper ricominciare
qualche cosa di nuovo durante tutta la vita. Il quarto punto è
correlato al quinto, cioè la creazione ormai avvenuta di centri
territoriali di educazione degli adulti che da due anni a questa parte sono frequentati da centinaia di
migliaia di persone e che sono una novità per il nostro paese. Naturalmente devono svilupparsi, siamo solo all'inizio. Sono una
realtà istituzionale gestita da Comuni, imprese e ministero, nel quadro di
programmazioni regionali. C'è una forte regionalizzazione già
avvenuta di tanti aspetti della vita della scuola e sono questi centri il
contenitore dove dobbiamo tutti poter ritornare per studiare la lingua che non
conosciamo, e magari anche quella che conosciamo, o la storia, o il
gioco degli scacchi. Insomma, tutto quello che intessa lo sviluppo sociale
del paese.
Si può dire che la riforma è funzionale allo sviluppo di
occasioni di apprendimento in tutto l'arco della vita?
E' questo l'obiettivo. Di tutti però, non solo dei professori
universitari e
di qualche giornalista.
Se cambia il quadro politico, pensa che Berlusconi abrogherà la
riforma, e se ciò accadesse quali sarebbero le conseguenze?
Probabilmente si impantaneranno nella faccenda del buono scuola. Non
credo che possano fare molta strada sulla via, che qualcuno di loro ha
immaginato, di togliere il posto agli insegnanti, di iscriverli in un
albo a cui le singole scuole - che poi non si capisce chi siano queste
singole scuole - attingano per assumere i propri insegnanti. Questa è una rivoluzione
di ordinamento molto profonda, bizzarra per alcuni aspetti, e che
credo troverà qualche resistenza non solo nella popolazione, ma anche nella popolazione degli insegnanti che non hanno
ancora ben capito che potrebbero essere esposti al rischio di
diventare professori a contratto anno per anno.
La legge istituisce un sistema educativo pubblico, statale e
paritario, dell'istruzione e della formazione. Dunque ammette non la scuola
privata in genere, che è un diritto costituzionale, ma che i privati possano
costruire delle scuole a certe condizioni di garanzia già definite dalla legge,
a cominciare dal pagamento regolare degli stipendi sindacali agli
insegnanti e ai bidelli, creando un tipo di scuola autonomo rispetto a
quella statale. Questo è già possibile.
Ora ho fatto il caso estremo della defenestrazione degli insegnanti esistenti dal loro posto di ruolo che qualcuno ha agitato nella
galassia della Casa delle Libertà dell' on. Berlusconi. Ma ci sono cose anche
meno estreme che mi paiono difficilmente toccabili. Dal primo
settembre tutti gli istituti scolastici godono di autonomia amministrativa, contabile,
giuridica e didattico/culturale nei limiti degli standard nazionali
definiti dalla legge. In funzione di questo si è creata una figura nuova,
quella del capo d'istituto che viene pagato come un dirigente, e che ha una
funzione dirigente pubblico. Toccare l'autonomia, cioè "scassare"
tutto questo, a me pare difficile.
Eppure la Casa delle Libertà nella sua propaganda elettorale
promette che in caso di vittoria, sospenderà la riforma dei cicli ...
Però questa minaccia è calata e i più pensosi le hanno sostituito
un discorso diverso: l'ha fatto l'onorevole Buttiglione alla
presentazione del libro di Berlinguer, dicendo, vedremo come si incanala per un anno,
poi saremo "nometetici", non "nomoclastici", cioè
ritoccheremo. Che è quello che prevede la legge stessa di riordino
dei cicli, che stabilisce che ogni 3 anni il Parlamento sia costretto
a E uso il termine "costretto" perché il Parlamento non parla volentieri di scuola.
Come mai?
Perché la scuola è un terreno fastidioso, che crea
immediatamente contrasti, perplessità. I professori di educazione
fisica si lamentano perché temono gli si riduca l'orario ... quindi
c'è una sicura opposizione qua e là da parte di segmenti
corporativi. La gente non capisce che sta succedendo, gli effetti
positivi se ci saranno si vedranno dopo cinque, dieci anni. Ecco
perché è importante che il sistema di misurazione e valutazione sia
entrato già in funzione, e che dall'anno prossimo ci dica anno per
anno come stanno andando le cose negli apprendimenti effettivi.
Nella riforma si dà molta importanza alle tecnologie
dell'informazione e della comunicazione (ICT) Che ne pensano gli
insegnanti?
Gli insegnanti se ne stanno impadronendo. Sono più di 400.000
quelli che sanno usare attivamente il computer, cioè i due terzi del loro numero
totale. 80.000 sono già stati formati all'uso intelligentemente
didattico della strumentazione, che ormai è diffusa pervasivamente: nelle
scuole elementari c'è un computer per uso didattico ogni 25 alunni nelle
scuole superiori ogni 10 . Tre anni fa c'era il deserto. E sono state avviate le operazioni di cablaggio delle scuole. Più di
metà ècollegata via satellite, e il flusso satellitare arriva dappertutto.
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